Dopo che nel giugno era naufragato il progetto di condurre in comune con Venezia e la Francia una banda di lanzichenecchi, i fiorentini non avevano smesso di sollecitare l’aiuto militare degli alleati. A metà luglio, l’oratore veneziano Carlo Cappello si era fatto da tramite per le richieste avanzate dalla Signoria affinché Venezia inviasse in Toscana un buon contingente di fanteria, per evitare «la jattura d’Italia».52 Negli ultimi giorni del mese, per lettere dell’oratore fiorentino nella laguna, Bartolomeo Gualterotti, a Firenze si seppe che la Serenissima, la Francia e Ferrara stavano preparando un colonnello di tremila fanti per
49 I Dieci a Francesco Ferrucci, 13 ottobre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 104, c. 14v.
50 I Dieci al Comune e Uomini di Empoli, 13 ottobre 1529 : ASF, Dieci di Balìa. Missive, 108, c. 15r, parzialmente trascritta in LASTRAIOLI, p. 24.
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Da quanto risultata dai documenti, il Soderini rimase comunque podestà della città sul Bisenzio. Sulla commissione per Prato cfr. anche la prima lettera di Francesco Zati ai Dieci del 14 ottobre 1529 : in ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 145, c. 342rv; e quanto ricordato dal Busini in BIBLIOTECA MEDICEA LAURENZIANA DI
FIRENZE (d’ora in poiBML), Ashburnham, 637, Lettere di Giambattista Busini a Benedetto Varchi, c. 236r. 52 Cfr. le lettere del Cappello al doge Andrea Gritti del 17 e 26 luglio 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda Serie, 31, cc. 64r-65r; e 73r-75v.
soccorrere l’alleata in pericolo.53 Questa volta Venezia fece la sua parte, e il Senato approvò gli aiuti militari ai fiorentini con 145 voti favorevoli, 40 contrari e 9 astenuti:
«intendendosi li Cesarei del regno spingersi verso Perosa, et Thoscana, habbiamo inviato a Pesaro ultra quelli, che de li havevemo, una altra bona summa de danari per far fanti M/III per conservation, et tutela de quel stato: accioché il prefato signor capitanio nostro possi cum l’animo più libero attender al beneficio delle cose di Lombardia, come fin qui l’ha fatto, et fa cum ogni vigilantia, et bon guberno. Habbiamo contenta al pagamento della terça parte de fanti M/III da esser pagati per il Re Christ.mo, signoria nostra, et Ill.mo signor di Ferrara et mandati in subsidio delli signor fiorentini, indicando noi summamente importare aggiongerli core, et animo à defendersi, come intendemo vogliono fare».54
A Firenze il Gonfaloniere e i Dieci si spesero in grandi ringraziamenti nei confronti del Cappello per l’impegno assunto, chiedendogli comunque di sollecitare il doge affinché i 3000 fanti arrivassero presto: di più, per loro già si pensava a un impiego tattico, chiedendo che con quegli uomini si rinforzassero le guarnigioni veneziane di Ravenna e dell’Urbinate, mantenendole pronte a soccorrere la Romagna toscana o l’Umbria di Malatesta dagli attacchi imperial-papalini.55
Di fatto, nemmeno questa volta i sospirati aiuti militari arrivarono mai. A tirarsi indietro erano stati prima Ferrara e poi la Francia,56 e Venezia non aveva voluto assumersi l’intero onere della condotta.
Con l’inizio delle operazioni militari, la Serenissima non rispose alle richieste fiorentine nemmeno quando si trattava non di arruolare nuove truppe, ma di usare quelle che già c’erano. Alla fine di settembre, quando Perugia e Arezzo erano già cadute, i Dieci chiesero di far convergere sulla Toscana le truppe che Venezia aveva in Urbino, per tentare di riconquistare Arezzo e portare una minaccia alle spalle dell’armata imperiale in avanzata. Contando che almeno questo sarebbe stato fatto, i fiorentini si presero la premura di inviare in Casentino un commissario, Andreolo Zati, ad arruolare truppe per facilitare l’eventuale unione dei due corpi d’armata, quello fiorentino e quello (ipotetico) veneziano. Anche in questo caso tuttavia non se ne fece di nulla, e ai primi di ottobre i Dieci si lamentarono con l’ambasciatore Cappello, ai quali espressero la loro insoddisfazione per aver avuto dalla Serenissima «sole parole e non altro, e che si sta a veder la rovina loro».57
53 Cappello a Gritti, 29 luglio 1529, ivi, cc. 75r-77v.
54 Il Senato di Venezia all’oratore in Francia Marco Minio, 1° agosto 1529 : in ASVe, Senato. Secreti, 53, c. 180rv.
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Cfr. le lettere del Cappello al doge Andrea Gritti del 2 e 4 agosto 1529 in ASF, Carte Strozziane. Seconda Serie, 31, cc. 79r-80r; e 80r-81r.
56 Cappello a Gritti, 7 agosto 1529, ivi, cc. 81v-84v. Occorre aggiungere che dalla già citata lettera degli oratori francesi a Venezia D’Avranches e Joachin del 6-11 maggio 1529, sappiamo che «essi Fiorentini già xii mesi passati in l'altre imprese o spese sì de Lombardia come d'altrove, niente hanno participato o contribuito, et pur sono et obligati».
57 Cfr. le lettere di Carlo Cappello al doge Andrea Gritti del 29 settembre e 6 ottobre 1529 : ivi, cc. 114r-116v; e 116v-119v. La richiesta di muovere le truppe veneziane da Urbino era già stata espressa oltre un mese prima nella lettera dei Dieci a Bartolomeo Gualterotti del 28 agosto 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Legazioni e commissarìe, 48, cc. 5v-6v.
L’ultima speranza si dissolse con la risposta che arrivò il 9 ottobre, in una lettera inviata dal Senato al Cappello, «ritrovandosi noi hora, come a loro signorie è ben noto, li communi inimici in casa propria – si legge nella missiva – essendo quelli già molti giorni nel Bressano, territorio più fertile, et abundante, che alcuno altro delle città nostre». Minacciati direttamente dagli imperiali, che calavano dalla Germania, i veneziani comunicavano di non poter inviare aiuti a Firenze; tuttavia sarebbero stati stanziati 700 ducati, per finanziare l’arruolamento di duecento fanti, che sarebbero dovuti servire alla resistenza di Castrocaro, in Romagna.
«Et speramo nel nostro signor Dio fautore de iuste cause, et desiderij, che mediante la gratia sua, non si volendo sue signorie, come vedemo che fano, a se stesse mancare, conseguiranno quanto che desiderano cum immortal gloria, et beneficio loro, et delli posteri, et laude d’Italia».58
Così i veneziani, «all’approximarsi dello exercito cesareo a quella città», si limitavano a fare tanti auguri alla Signoria fiorentina, per la quale salvezza elevavano preghiere a Dio.
Il 27 settembre l’armata turca di Solimano il Magnifico, sultano di Costantinopoli, metteva sotto assedio Vienna. La notizia arrivò qualche giorno dopo anche a Firenze, e parve un insperato colpo di fortuna, perché poteva distogliere l’esercito imperiale dall’impresa contro la Repubblica.
Vienna, uno dei centri del potere asburgico, era affidata a Ferdinando di Boemia, fratello dell’imperatore Carlo V. Da tempo Ferdinando invocava l’aiuto di Carlo per lanciare una grande offensiva contro i turchi che minacciavano i Balcani e, più in generale, l’intera Europa. Carlo aveva fino ad allora tergiversato, anche perché il suo impero, per quanto vasto e potente, era dissanguato economicamente dalle guerre d’Italia. Adesso, con le armate musulmane fin sotto le mura, gli appelli di Ferdinando si facevano sempre più disperati; e Carlo V, pacificata l’Italia, non aveva più motivo di non correre in aiuto del fratello. La minaccia era seria: mentre in Europa infuriavano le guerre tra Francesco I e Carlo V, Solimano aveva conquistato tutti i Balcani.
Conosciuto in occidente come “il Magnifico” e noto al mondo arabo con l’attributo di Qânûnî, “il Legislatore”, per il suo sforzo di conciliare la sharia del Corano con le leggi civili, Solimano era salito al trono nel 1520, all’età di 26 anni. Il sultano era convinto di essere l’unico vero imperatore del mondo, e considerava Carlo V un impostore che andava combattuto con ogni mezzo, cercando all’occorrenza anche l’aiuto dei francesi o dei protestanti (che sentiva vicini ai musulmani per il rifiuto del culto dei santi e la rigorosa semplicità, anche formale, della loro fede).
Nel 1521 Solimano aveva espugnato Belgrado, unica città nei Balcani che era riuscita a resistere. Nel 1522, nonostante le sue imponenti fortificazioni e il valore dei difensori, capitolò anche Rodi, l’isola dei Cavalieri di San Giovanni: l’ultimo baluardo della cristianità in Medio Oriente, che per anni aveva rigettato a mare eserciti di egiziani mamelucchi e di
turchi. Nel 1526 infine gli Ungheresi furono sconfitti nella battaglia di Mohács, consentendo a Solimano di portare i suoi domini fino al confine dell’Impero.59
Il 4 maggio 1529 Solimano aveva lasciato Costantinopoli alla testa delle proprie armate. Solo a fine settembre, tuttavia, fu possibile per i musulmani arrivare a Vienna. Galeotto Giugni, ambasciatore fiorentino a Ferrara, l’11 ottobre informò i Signori di quanto stava accadendo.
«Per un cavallaro venuto da Vienna quale adrivò hiersera qui s’intende il Thurco esserli a capo a Vienna et stringerla forte, et che per sospetto Ferdinando s’hè ritratto, et che in potere del Thurco è venuta la fortezza di Buda, e quando per Cesare non si proveggha di soccorso questo verrà in potere del Thurco il tutto».60
Pressato dalle richieste del fratello Ferdinando, Carlo V iniziò a pensare alla possibilità di ordinare al principe d’Orange, che ancora indugiava con le sue truppe nel Valdarno, di muovere in soccorso di Vienna «et y mener le plus de gens que pourrons de ceulx estans a nostre soulde en ceste Italie». La riconquista medicea di Firenze poteva essere rimandata, quando in gioco era il destino di tutta la cristianità. L’Orange, secondo le istruzioni ricevute, avrebbe dovuto provare a risolvere la questione tramite un accordo, o provando a usare la forza, ma comunque nel più breve tempo possibile, per poi portare il suo esercito a unirsi con il contingente sbarcato in Italia insieme all’imperatore e andare in soccorso di Vienna.61
Purtroppo per i fiorentini, i capricci del tempo, che già avevano ritardato l’avanzata musulmana, convinsero Solimano a desistere dall’impresa: la distanza tra Vienna e Istanbul era troppa perché le linee logistiche potessero essere tenute aperte durante l’inverno passando attraverso i Balcani. Il 14 ottobre, proprio mentre gli imperiali iniziavano ad accamparsi fuori Firenze, le armate musulmane levavano il campo sotto Vienna, abbandonandovi molte delle loro artiglierie.
L’impero asburgico era salvo, e con esso la cristianità, per la quale comunque la minaccia ottomana rimase presente ancora per molto tempo. Per la Repubblica fiorentina iniziava invece una lenta agonia, sebbene la possibilità di un “diversivo” dei turchi contro l’Impero continuasse a lungo ad alimentare le speranze dei Dieci.
Attraverso i propri agenti a Costantinopoli, e in particolare per mezzo dell’ambasciatore presso la Sublime Porta, Alessandro Sacchetti, la Signoria continuò a lungo a sondare le reali intenzioni del Sultano. Già l’anno precedente, sul finire del 1528, la Repubblica aveva fatto ricorso all’aiuto di Solimano, per tentare di risolvere il grave fabbisogno alimentare acquistando grano sui mercati del Levante; ma si trattava di rapporti di natura commerciale che non destavano nessuna meraviglia nell’economia di una città come Firenze. Adesso si trattava di fare un passo in più, e far giungere qualche segnale di incoraggiamento ai turchi per arrivare a stringere un’autentica alleanza politica. «Né sono senza pensiero – scriveva
59 Per il regno di Solimano il Magnifico e il contesto dello scontro tra la Sublime Porta e gli Asburgo per il dominio sull’Ungheria si veda A.BOMBACI –S.J.SHAW, L’impero ottomano, Utet, Torino, 1981, pp. 383-397 : in particolare p. 387.
60 Galeotto Giugni ai Dieci, 11 ottobre 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 151, c. 30r.
qualche tempo dopo l’ambasciatore veneziano a Firenze, Carlo Cappello, riferendo alla Serenissima su quanto accadeva in città – se si vedranno abbandonati da’ cristiani, di ricorrere al favore ed ajuto del signor Turco».62 Più tardi, la questione sarebbe stata anche affrontata formalmente. Nella seduta del 7 dicembre, quando l’assedio era già iniziato da un paio di mesi, la Signoria fiorentina discusse dell’opportunità di chiedere aiuto a potenze straniere, in particolare a Venezia e all’Inghilterra, per ottenere almeno rifornimenti di viveri. L’idea di «ricercare il Turcho di qualche favore» solleticò i presenti, che arrivarono a concludere che bisognava cercare aiuti ovunque fosse possibile, anche dai turchi: un atto però che doveva essere giustificato di fronte alla Cristianità e persino di fronte al nemico. «Provveggasi a’ viveri – fu la conclusione – ricorrasi in ogni luogo li adiuti facciendo pubblica escusatione al papa et allo imperatore a Roma del Turcho».63
L’episodio è singolare, ma non certo unico nel suo genere. Già il re di Napoli Alfonso II, nel 1494, e più tardi anche Venezia, nel 1509, avevano ipotizzato di chiamare in proprio soccorso i Turchi: in un recentissimo studio, Giovanni Ricci ha dimostrato del resto come nell’Italia del Rinascimento lanciare un “appello al turco” fosse una pratica non del tutto sconosciuta, e anzi più diffusa di quanto si sarebbe portati a pensare.64
Mentre l’assedio si prolungava, e i fatti d’arme si moltiplicavano, gli abboccamenti tra i fiorentini e i turchi proseguirono ancora per alcuni mesi, fino a una misteriosa “missione segreta” iniziata ai primi di aprile del 1530. Ufficialmente si trattava anche in questo caso di un acquisto di grano, commissionato alla legazione fiorentina a Costantinopoli dalla magistratura degli Ufficiali dell’Abbondanza: di fatto si sa che l’ambasciatore Sacchetti aveva ricevuto da Firenze istruzioni riservate, con la raccomandazione di procedere «cautamente et secretissimamente; perché altrimenti saria indarno ogni tua industria et diligentia».65 Di quale natura fosse questo incarico non si può accertare, ma secondo Cecil Roth doveva trattarsi di qualcosa di più importante di una fornitura di cereali, rifornimento che pure era necessario a una città assediata.66 Roth ipotizzò (ma il testo della lettera portato come prova dallo storico inglese non sembra sostenerne l’ipotesi) che il governo fiorentino volesse istigare Solimano a riprendere la propria iniziativa militare contro l’Impero, ottenendo così di distrarre Carlo V con l’apertura di un secondo fronte di guerra. I contatti, qualunque fosse il loro scopo ultimo, proseguirono almeno fino alla metà del maggio seguente. Ma la speranza non si concretizzò mai, e l’appello rivolto dai fiorentini al «Magno Turco» rimase senza risposta.
62 Carlo Cappello ad Andrea Gritti, 26-30 novembre 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 134v-136v.
63
ASF, Consulte e pratiche, 71, cc. 129r-132r: in particolare c. 130v. 64 G.R
ICCI, Appello al Turco. I confini infranti del Rinascimento, Roma, Viella, 2011 : per il caso napoletano e quello veneziano si vedano in particolare le pp. 52 e 97-101.
65
Lettera della Signoria al console a Costantinopoli Alessandro Sacchetti, 8 aprile 1530, in ASF, Signori. Missive I cancelleria, 58, c. 37r.
66 Su questo argomento cfr. R