Dopo aver espulso i Medici, occorreva trovare un nuovo modo per governare Firenze. Come già trent’anni prima, nella restaurata Repubblica si pose subito il problema di quale dovesse essere la forma di governo, e in ultima analisi di quale dovesse essere il criterio sociale di accesso alle cariche pubbliche. Da un lato stavano i rappresentanti delle grandi famiglie fiorentine, nomi come lo stesso Niccolò Capponi, Francesco Vettori, Anton Francesco degli Albizi e Filippo Strozzi. Alcuni di loro avevano collaborato direttamente coi Medici, in passato, ma avevano partecipato anche ai tumulti del venerdì e contribuito alla cacciata dei tiranni. La loro aspirazione era un governo “stretto”, una oligarchia repubblicana in cui gli “ottimi” avrebbero dominato.
L’altra fazione, quella popolare di ispirazione Piagnona, seguendo il dettato savonaroliano considerava tutti i cittadini appartenenti al Consiglio Maggiore potenziali detentori delle massime cariche, e aspirava di conseguenza a un governo “largo”, sul tipo di quelli dei comuni di popolo di tre secoli prima.11
Dal punto di vista sociale la fazione popolare era costituita per la maggior parte da uomini di estrazione più modesta: piccoli mercanti, nobili di secondo piano e persino artigiani facoltosi, i quali potevano rivendicare il beneficio, cioè la pienezza dei diritti di cittadinanza e di popolo per aver avuto propri antenati negli organi di governo superiori durante l’età comunale. Tra loro, come vedremo, non mancavano membri di grandi casate, anche se occorre ricordare che nella Firenze del Rinascimento molte famiglie illustri avevano rami collaterali poveri, con minor prestigio e scarsi legami con il ramo principale: pur disponendo del beneficio, e quindi
9 L.P
OLIZZOTTO, The Elect Nation. The Savonarolan Movement in Florence 1494-1545, Oxford, Clarendon Press, 1994, pp. 341-342.
10
Sulla discussione degli accordi con i castellani si vedano i protocolli del notaio Lorenzo Violi in ASF, Notarile antecosimiano, 21125, ins. 3, cc. 179r-184r (6-9 giugno 1527) ; si veda anche la lettera di Anton Francesco Albizi a Ceccotto Tosinghi, 12 giugno 1527, in BNCF, Fondo Nazionale, II. III.433, c. 15rv. Cfr. AMMIRATO, VI, p. 114.
11
Sul popolo (inteso come movimento politico) e sulla sua ideologia si veda A.POLONI, Potere al popolo.
Conflitti sociali e lotte politiche nell’Italia comunale del Duecento, Milano, Bruno Mondadori, 2010, in
della possibilità teorica di accedere alle cariche di governo, per costoro questa possibilità si realizzava di rado, o anche mai.
Come notò già Rudolf von Albertini, chiarire la posizione del Capponi il rapporto al problema costituzionale non è cosa facile, perché non abbiamo alcuna testimonianza diretta delle sue convinzioni;12 che dunque possiamo soltanto dedurre sulla base della sua azione politica. Sul finire di maggio, ancor prima di esser nominato gonfaloniere, il Capponi scrisse a Donato Giannotti (che allora si trovava a Venezia e che poi sarebbe diventato, per due anni, segretario della restaurata repubblica) chiedendogli una relazione sui principali organismi del governo veneziano, che per i fiorentini – come già ai tempi di Savonarola – continuava a essere un modello di riferimento.13
L’idea del Capponi era quella di un governo misto, popolare-aristocratico, che garantisse la stabilità istituzionale attraverso un’unione delle fazioni, in maniera da non escludere aprioristicamente nessuna parte politica (compresi i filo-medicei) ma salvaguardando allo stesso tempo la libertà.14 In altre parole il Capponi voleva «riunire i cittadini»,15 costruendo una Repubblica «nella quale ciascuna qualità di cittadini ha facultà di ottenere i desiderii suoi».16 Ma era un progetto forse troppo avanzato, che solo lui e pochi altri spiriti illuminati potevano in quel momento condividere: l’accentuato settarismo della tradizione politica fiorentina, riaccesosi con la restaurazione repubblicana, e il desiderio di rivalsa delle famiglie che erano state messe in disparte dai Medici resero del tutto inefficace ogni azione in tal senso: e l’annunciata «vera pace e unione de’ cittadini», proclamata dalla Signoria, di fatto non fu mai applicata, né concretamente ricercata.17
La fazione popolare, quella più decisamente ostile alla politica moderata del gonfaloniere, ambiva infatti a «più grandezza nello stato popolare e più straordinaria autorità nel governo, mediante la quale potessero più licenziosamente battere quella parte de’ cittadini che con loro non convenivano».18 A guidarla erano Tommaso Soderini, Alfonso Strozzi e Baldassarre Carducci: i «triumviri», come li definì Filippo de’ Nerli nei suoi Commentarij, rappresentanti delle tre diverse anime del movimento popolare. Il primo, l’arci-Piagnone Tommaso di
12
VON ALBERTINI, p. 109. 13
Deve riferirsi probabilmente a questo periodo il Discorso sopra il riordinare il governo della città di Firenze,
a Niccolò Capponi gonfaloniere, di cui si conserva copia in ASF, Manoscritti, 740, cc. 126r-129v, e un secondo
esemplare in ASF, Carte Strozziane. Seconda Serie, 86, cc. 213r-221r. Un altro progetto di riforma, non attribuibile, in ASF, Carte Strozziane, Seconda Serie, 95, ins. 14.
14 Un progetto simile, però coronato dal successo, fu l’unione realizzata a Genova l’anno seguente, grazie al carisma personale di Andrea Doria. Si veda a questo riguardo A.PACINI, I presupposti politici del secolo dei
genovesi: la riforma del 1528, Genova, Società ligure di storia patria, 1990; e più recente C.TAVIANI, Superba
discordia. Guerra, rivolta e pacificazione nella Genova di primo Cinquecento, Roma, Viella, 2008, p. 239 e sgg.
15
DE’NERLI, II, p. 39.
16 Discorso di Donato Giannotti sopra il riordinare il governo della città di Firenze, in ASF, Carte Strozziane. Seconda Serie, 86, c. 213r. A stampa in F.L.POLIDORI (a cura di), Opere politiche e e letterarie di Donato
Giannotti, Firenze, Le Monnier, 1850, pp. 3-15 : la citazione a p. 3. Secondo il calcolo di L.MARTINES, Lawyers
and Statecraft in Renaissance Florence, Princeton, PUP, 1968, pp. 388-389, la differenza tra il regime mediceo
ante-1527 e il regime repubblicano consisteva in un allargamento della cittadinanza politicamente attiva dai 2000-2500 individui sotto i Medici ai 3200-3400 nella Repubblica. Su un totale di popolazione urbana di 50- 60.000 abitanti questo significava passare dal 4% al 6% circa.
17 ASF, Balìe, 44, c. 491r. 18 D
Paolantonio Soderini, divenne rapidamente il vero deus ex machina della politica repubblicana. Cinquantasettenne, in gioventù era stato un acceso sostenitore del Savonarola; ma dopo la morte del Frate era stato anche il fervente sostenitore e l’animatore del riavvicinamento tra i Piagnoni e le due fazioni anti-savonaroliane dei Compagnacci e degli Arrabbiati, quest’ultimi protagonisti dell’assalto al convento di San Marco che nel 1498 aveva portato all’arresto e alla successiva esecuzione del Savonarola.
Nel dicembre 1500, di fronte alla possibilità di un ritorno armato di Piero de’ Medici, Tommaso Soderini aveva contribuito – insieme al Compagnaccio Alfonso Strozzi – a ricompattare le fazioni del panorama politico fiorentino sulla base del comune programma repubblicano e dell’odio anti-mediceo. Dopo la restaurazione dei Medici, nel 1512, Soderini non aveva fatto mistero della sua ostilità al nuovo regime: ritiratosi nella sua villa a Scandicci, si rifiutò anche di pagare il prestito forzoso che gli era stato imposto in quanto avversario politico, e più tardi avrebbe anche cercato anche di scatenare una crisi economica ritirando le sue quote di Monte.19 Nel 1522 fu coinvolto insieme a Niccolò Valori – forse fu addirittura uno dei mandanti, come si ricava dall’interrogatorio di Niccolò Martelli – nella congiura contro il cardinale Giulio de’ Medici (il futuro Clemente VII), che costò la vita a Luigi di Tommaso Alamanni e a Jacopo da Diacceto.20 Negli anni seguenti continuò a mantenere la leadership dell’opposizione silenziosa alla dominazione medicea, lavorando all’erosione delle differenze ideologiche tra Piagnoni ed Arrabbiati (ormai limitate alla sola venerazione del Frate) e alla loro saldatura definitiva.21
Nel 1527 l’allora ambasciatore veneziano a Firenze, Marco Foscari, descrivendo gli assetti politici della città parlò dei Piagnoni come della più forte tra le tre fazioni cittadine, alla quale appartenevano «quasi tutti li primi uomini di Firenze per prudenza, bontà, parentado, ricchezza, ed ogni altra sorte di estimazione»; mentre agli Arrabbiati appartenevano invece gli «ignobili, cioè dell’arti minori; e sono insomma, per quanto dicono, la feccia di Firenze».22 A parte questa distinzione di censo (che per gli Arrabbiati potrebbe articolarsi ulteriormente, dato che la parte giovanile, ed economicamente più modesta, veniva indicata anche con il nome di Adirati), i due gruppi, dopo quasi tre decenni di alleanza, si erano ormai talmente cementati da risultare a tutti i fini pratici indistinguibili, anche per i comuni avversari Palleschi.23
Con il Soderini, il triumvirato si componeva, come abbiamo visto, di Alfonso Strozzi, già esponente dei Compagnacci, fratello di Filippo, e co-protagonista insieme allo stesso Soderini
19 Su Tommaso di Paolantonio Soderini e sul suo ruolo nel riavvicinamento tra i Piagnoni e gli Arrabbiati si veda POLIZZOTTO, pp. 17, 18, 215 e 321.
20 ASF, Miscellanea Repubblicana, 8, ins. 4, Processo di Niccolò Martelli, senza foliazione. Si veda anche C. GUASTI, Documenti della congiura fatta contro il cardinale Giulio de’ Medici nel 1522, «Giornale storico degli archivi toscani», 3, 1859, pp. 121-232 e 239-267.
21
Secondo POLIZZOTTO, pp. 334-343, il movimento Piagnone era rimasto silenziosamente attivo fin dal 1512, preparandosi alla riconquista del potere: lo dimostrerebbe l’immediata resurrezione e riorganizzazone politica della setta immediatamente dopo la partenza dei Medici.
22
Relazione di Firenze del clarissimo Marco Foscari tornato ambasciatore di quella Repubblica l’anno 1527, in E.ALBÈRI, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, s. II, vol. I, Firenze, All’insegna di Clio, 1839, p. 69. 23 P
nel lungo riavvicinamento con i Piagnoni; e del settantenne dottore in legge Baldassarre Carducci, massimo rappresentante degli Arrabbiati – secondo quanto scrisse Marco Foscari – e grande sostenitore dell’alleanza di Firenze con la Francia: entrambi uomini appartenenti a famiglie di antica origine, che il regime mediceo aveva disprezzato e che temevano adesso di perdere nuovamente la posizione di privilegio appena guadagnata.
Ogni progetto di unione – come quello avanzato dal Gonfaloniere - avrebbe infatti permesso ai “Grandi” che erano stati beneficiati dai Medici, di rialzare la testa e col tempo riguadagnare prestigio e potere. Per questo i «triumviri» tentarono di impedire l’elezione di Capponi al gonfalonierato; e poi, non riuscendovi, cercarono di ostacolarne la politica, senza perdere occasione per screditarne la figura e metterla in cattiva luce sia agli occhi dei Consigli che, più in generale, del popolo. Un’opposizione nella quale il Soderini e lo Strozzi misero a frutto anche il proprio prestigio personale, visto che – secondo quanto scrisse Donato Giannotti – ai due«era attribuito tanto onore che alla loro opinione non era contraddetto».24
Al fianco dei «triumviri», ai vertici della parte popolare, c’erano personaggi come Bernardo da Castiglione, Francesco Carducci, Andreolo Niccolini, Jacopo Gherardi, Giovambattista Cei, Pieradovardo Giachinotti, che negli anni seguenti – sedendo a turno ora tra i Dieci, ora tra i Signori, e comunque consultati nella Pratica – avrebbero determinato le scelte della Repubblica nei momenti più difficili.
Ove non arrivavano i mezzi ordinari dell’azione politica, la parte popolare non esitava a usare quelli straordinari, impiegando bande di giovani facinorosi «a minacciare i cittadini» e per compiere altri atti di violenza contro gli ex esponenti della parte medicea e contro chiunque, nel Consiglio Maggiore o tra gli Ottanta «non consigliavano la città nelle pratiche a modo loro».25 Queste vere e proprie squadracce, sostanzialmente impunite nel loro operato perché godevano di protezione al più alto livello politico, avevano come capi Dante da Castiglione (nipote di Bernardo, e leader degli Adirati), Marco Strozzi detto il “Mammaccia”, Leonardo Bartolini, Giovambattista del Bene detto “il Bogia”, Antonio Berardi detto “Imbarazza”, Giovanbattista Gondi detto “il Predicatore”, Giovan Francesco degli Antinori detto “il Morticino” e Niccolò Machiavelli il giovane (omonimo del celebre Segretario fiorentino) detto “il Chiurli”: molti di loro sarebbero poi entrati a far parte della Milizia dell’Ordinanza, un mezzo come un altro per girare liberamente per la città armati. Come scrisse qualche decennio più tardi Scipione Ammirato, quello che
«affliggeva gli amanti della libertà, era, che tra’ cittadini non si vedeva quell’unione che in tal caso sarebbe stata necessaria. E le persone che intendevano le cose per lor verso si dolevano, che la gioventù sfogando vanamente l’ira contro la casa de’ Medici con guastar l’insegne della lor famiglia infin dalle fabbriche fatte co’ denari lor proprj, offendessero acerbamente l’animo del pontefice».26
24
Cfr. D.GIANNOTTI, Della Repubblica Fiorentina, lib. II, cap. 9, in F.L.POLIDORI, p. 125. 25 D
E’NERLI, II, p. 88. 26 A
Al di là degli atti di inutile vandalismo, le rivalità familiari trovarono il loro sfogo soprattutto nelle persecuzioni economiche e giudiziarie cui furono sottoposti gli uomini che in qualche modo erano stati legati, anche non strettamente, al passato regime: personaggi di primo piano, come Jacopo Salviati, Galeotto de’ Medici, Bartolomeo “Baccio” Valori, Francesco Guicciardini; ma anche di seconda fila come Roberto Alamanneschi, Luigi della Stufa e decine di altri.27 Nei loro confronti l’accusa più comune era quella di non aver pagato imposte, gabelle e gravezze del Comune, ma dove l’argomento fiscale non veniva utilizzato le accuse erano le più varie: dalla violenza sessuale all’omicidio, passando per la blasfemia, la bigamia o semplicemente la propaganda contro il nuovo governo repubblicano.28
La delazione divenne un normale strumento di lotta politica, perfino quando l’accusa era di fatto inesistente: come quella avanzata contro Raffaello Girolami (già ambasciatore in Spagna, gonfaloniere sotto il regime mediceo nel 1524 e destinato poi a essere l’ultimo gonfaloniere della Repubblica) che fu accusato, per le sue passate relazioni, di essere inaffidabile come uomo pubblico e un potenziale traditore.29
Le persecuzioni non risparmiavano nemmeno nomi illustri dell’ambiente repubblicano, personaggi che avevano avuto un ruolo di primo piano nella rivolta anti-medicea, come Anton Francesco degli Albizi e Filippo Strozzi. Persino i cardinali fiorentini alla corte clementina, e lo stesso Clemente VII, furono tamburati (cioè denunciati) come traditori della patria: gli Otto di guardia si dimostrarono comunque riluttanti a procedere contro il Papa, e la stessa Signoria, che convocò due pratiche sulla questione, alla fine lasciò cadere tutto.30 È comunque evidente come attraverso la persecuzione giudiziaria ed economica si colpisse, per interposta persona, Clemente VII, e i personaggi più esposti in questo senso erano naturalmente quelli socialmente più in vista: fossero o no veramente palleschi, si trattava comunque di solito di uomini che avevano maturato un’esperienza politica durante il regime mediceo.
Per questo Niccolò Capponi, il cui percorso di vita era molto simile a quello di tanti accusati, invitava alla moderazione; e di fatto molti degli inquisiti furono alla fine assolti.31 «Non piacea dunque fra gli altri al gonfaloniere – scrisse ancora l’Ammirato – questo modo di procedere, il quale come uomo prudente conosceva benissimo a petto al poco, anzi niuno
27 Jacopo Salviati fu accusato di aver evaso la gabella sulle doti per i matrimoni di due delle sue figlie, una andata in moglie al signore di Piombino e l’altra «a uno spagnuolo o siciliano» (ASF, Balìe, 46, cc. 104v e 107r); Roberto Alamanneschi fu indagato per aver distolto dalle casse del comune 4000 fiorini (ivi, c. 107r); e Luigi della Stufa fu dichiarato debitore del comune per 3100 fiorini (ivi, cc. 140r-141v).
28 Sulle persecuzioni anti-medicee S
TEPHENS, pp. 208-214.
29 ASF, Otto di guardia e balìa della Repubblica, 201, c. 146r, 4 aprile 1528. Il Girolami fu poi assolto il 18 aprile (ivi, c. 146v). Il 12 febbraio dell’anno seguente venne nuovamente denunciato, e del suo caso si occupò anche la Quarantìa, che però lo rimandò agli Otto per non essere “caso di Stato”: si veda ASF, Otto di guardia e balìa della Repubblica, 204, c. 57rv; e ASF, Signori e Collegi. Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 131, cc. 52r e 55v.
30
POLIZZOTTO, pp. 354-357. 31
STEPHENS, pp. 228-232. Un esempio per tutti la querela tamburata il 21 marzo 1528, contro Palla Rucellai «che ha correspondente il nome con e’ facti», che fu accusato di non aver distrutto (come imponeva un pubblico bando) lo stemma mediceo che spiccava sulla facciata di casa sua; ma solo di averlo ricoperto di un panno di lino impiastrato di gesso, facilmente rimovibile. «Non si può dire che gli habbia ubidito al bando, il bando che li si cancellino, et non si cuoprino», chiosava l’anonimo denunciante. Il Rucellai fu comunque absoluto tre settimane dopo: ASF, Otto di guardia e balìa della Repubblica, 201, c. 121r.
utile, che da queste cose alla città risultava, il gran danno che in processo di tempo gliene potea pervenire».32
Cristo Re
Divisa, e incapace di superare le lotte di fazione, la restaurata repubblica sembrava destinata ad andare «a gambe levate», come avrebbe vaticinato lo stesso Capponi, se il papa fosse prima o poi riuscito a risollevarsi dopo i terribili fatti del sacco di Roma.
Come se non bastasse, il regime repubblicano fu subito messo alla prova da una pestilenza che – scoppiata sul finire del giugno 1527 – imperversò per tutto il corso dell’anno.33 L’epidemia, durante il mese di agosto, arrivò a mietere giornalmente più di trecento vittime, con un picco di cinquecento che fortunatamente durò soltanto tre giorni. Come nel 1348, durante la Peste Nera, chi poteva abbandonava la città, per trasferirsi “in villa”, facilitando in tal modo la diffusione del contagio nelle campagne. Il funzionamento stesso della macchina statale fu praticamente bloccato: molti dei componenti i collegi e gli organi di governo morirono, si ammalarono o lasciarono la città, rendendo impossibile il regolare svolgimento delle adunanze (nelle quali fu anche diminuito il numero legale per la validità delle deliberazioni).34 Fino alla primavera successiva la situazione sanitaria rimase a livelli di estrema criticità, mettendo in forse la stessa sopravvivenza della città e distraendo i vertici politici dai problemi interni ed esterni, per pensare piuttosto al modo di ottenere la salvezza attraverso la grazia divina. A questo scopo, il 15 agosto 1527 fu imposto a tutti i fiorentini di inginocchiarsi e recitare un’Ave e un Paternoster al suono della campana dell’Ave Maria; e la settimana seguente, il 23 agosto, la Signoria decise anche di svolgere una processione per ottenere il perdono dei peccati dei fiorentini, considerati come la causa ultima dell’epidemia.35 Alla fine di febbraio 1528, quando il morbo esaurì la sua virulenza, oltre trentamila persone erano morte in Firenze e nei sobborghi, e forse il doppio nel contado.36
Almeno sul piano militare, la situazione sembrava più rosea, con qualche speranza di vittoria per le armate della Lega anti-imperiale. In particolare, Firenze confidava molto sul nuovo capitano generale delle sue fanterie, il condottiero perugino Orazio Baglioni; il quale, dopo aver contribuito al meglio all’infruttuosa difesa della Città Eterna, era stato congedato dal papa l’8 giugno 1527 e si era messo al servizio dei fiorentini nemmeno tre settimane più tardi, diventando così – dopo la morte di Giovanni de’ Medici – il nuovo comandante delle temibili Bande Nere.37
32 A
MMIRATO, VI, p. 115.
33 I Diarii di Marino Sanuto (d’ora in poi S
ANUTO),a cura di F.STEFANI,G.BERCHET,N.BAROZZI ET AL., 58 voll., Venezia, Tipografia Visentini, 1879-1903 : vol. XLV, coll. 386, 459, 504, 530.
34
ROTH, L’ultima repubblica..., pp. 116-118.
35 ASF, Signori e Collegi. Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 129, cc. 139r e 147r. 36 R
OTH, L’ultima repubblica..., p. 120, che cita i calcoli di G.PARDI, Disegno della storia demografica di
Firenze, «Archivio Storico Italiano», s. V, 1916.
37 La condotta di Orazio Baglioni è del 27 giugno 1527 (ASF, Dieci di Balìa. Deliberazioni, condotte e stanziamenti, 64, cc. 3r-4r). La consegna del bastone avvenne il 21 agosto, come si evince dalla lettera di
Dopo la resa dello Stato della Chiesa, il confronto tra la Lega e l’Impero era proseguito con alterne vicende in Lombardia, in Liguria e nel Regno di Napoli. Nell’estate 1527 il re di Francia – appresa la notizia del sacco di Roma – aveva finalmente deciso di inviare in Italia un proprio esercito, sotto la guida di Odet de Foix, signore di Lautrec, affidando il comando della flotta al genovese Andrea Doria.38 In un primo momento l’arrivo sul teatro di guerra delle forze francesi sbilanciò gli equilibri militari, e le vicende belliche sembrarono volgere a favore degli eserciti dei collegati. In settembre il Doria riuscì a rompere dal mare l’assedio di Genova riconquistando la città alla Francia, mentre l’esercito francese costringeva Alessandria alla resa (12 settembre); il 5 ottobre Pavia fu conquistata e saccheggiata. Prima della fine dell’anno, dopo una complessa trattativa, sia Ferrara sia il marchesato di Mantova facevano il loro ingresso nella Lega, allargando così il fronte anti-imperiale.39
Nel frattempo papa Clemente VII aveva firmato con gli imperiali un trattato di pace (26 novembre), promettendo la convocazione del concilio e cedendo a garanzia della propria buona fede il possesso delle roccaforti di Ostia, Civitavecchia e Civita Castellana. Un secondo accordo era stato siglato lo stesso giorno, con i capitani dell’esercito, a garanzia del