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A Firenze, agli inizi di marzo, la monotonia dell’assedio venne spezzata da un inedito fatto d’arme: una sfida a duello, secondo la migliore tradizione cavalleresca, tra il repubblicano Ludovico Martelli e Giovanni Bandini – fiorentino anch’egli, ma militante nel campo imperiale. L’episodio della sfida, in sé, riveste un valore soltanto aneddotico: ma vale la pena di riferirne, non solo perché fu uno dei fatti che più colpirono l’immaginario di cronisti e storici coevi, ma anche in quanto simboleggia bene, a mio avviso, quel carattere di lotta fratricida, di resa dei conti tutta interna all’oligarchia fiorentina che l’assedio aveva assunto. In breve, un paradigma della guerra civile che si stava combattendo, qui trasformata in uno scontro non più sul piano politico e militare, ma su quello personale. Martelli accusava il Bandini, uno dei leader filomedicei, di essere un traditore della patria. Per questo gli aveva fatto recapitare, ai primi di febbraio, un “cartello”, cioè una lettera di sfida, che si dice fosse stata preparata da Silvestro Aldobrandini, uno dei cancellieri della Repubblica.

Il velenoso carteggio di quei giorni tra il Martelli e il Bandini ci è arrivato in una copia seicentesca conservata nell’Archivio di Stato di Firenze.22 Nella prima lettera, scritta a quattro mani e inviata da Firenze al campo imperiale, Lodovico di Giovan Francesco Martelli e Dante da Castiglione (gonfaloniere della Milizia nella compagnia del Vaio) definivano Giovanni Bandini e gli altri fiorentini che si erano schierati con il Papa e con l’esercito imperiale “traditori della libertà”; e li accusavano di aver insultato l’onore delle Ordinanze fiorentine

20 Le prime lettere del Tedaldi che riuscirono ad arrivare a Firenze, dopo la capitolazione, sono quelle del 9 e 10 marzo 1530. Nella prima (ASF, Dieci di Balìa. Responsive, 135, c. 434r) si informano i Dieci che i volterrani «sono alienati dalla divozione di Vostre Signorie», e vengono riepilogati i fatti seguìti nei primi giorni dopo la capitolazione; nella seconda (ivi, c. 427r) è contenuto l’annuncio della tregua stipulata con i volterrani.

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Cfr. la lettera dei Dieci a Bartolomeo Tedaldi, 3 marzo 1530, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 105, c. 170r; e quella di Alessandro Guarini ad Alfonso I d’Este, 7 marzo 1530, in ASMo, Cancelleria Ducale. Estero. Carteggi ambasciatori. Firenze, 15, ins. 9, ad datam.

22 ASF, Miscellanea Repubblicana, 4, ins. 117, doc. 2, Copia de’ cartelli che passorno fra Lodovico Martelli, e

Giovanni Bandini. Dallo stesso documento si apprende che la copia fu «cavata da un libro manuscritto di diversi

cartelli, che al presente, che siamo nel 1612, si trova appresso Girolamo di Giovanni da Sommaia, et questi infrascritti cartelli sono i primi di d. libro».

che a loro dire non sarebbero state truppe adatte al combattimento ma solo da parata. Per questo il Martelli e il Castiglione si dicevano pronti a «combattere noi dua con tre di voi a corpo a corpo in campo franco» per dimostrare come gli altri si sbagliassero circa l’inettitudine delle Ordinanze: una provocazione che il Bandini non poteva subìre senza macchiare il suo onore, e infatti rispose negando di aver detto simili cose, ma accettando la sfida per dimostrare la propria onestà.

Nella risposta del Bandini, datata domenica 6 febbraio, si legge che il cartello del Martelli era arrivato al campo imperiale «sabato a hore 18 alla presenza dell’Illustrissimo principe d’Oranges». Dopo una scambio epistolare di reciproca sfida, durato diversi giorni, il 21 febbraio 1530 l’Orange concesse il campo franco, con salvacondotto ai fiorentini di poter venire e tornar via dal campo cesareo, durante una tregua.23

In realtà, più che la politica, a dividere i due – secondo il racconto del Varchi – pare fosse una questione di donne.24 Entrambi avevano a lungo corteggiato una stessa dama, la piacente Marietta de’ Ricci – nome forse noto ai più per essere stata la protagonista di un romanzo storico sull’assedio scritto nell’Ottocento da Agostino Ademollo.25 La donna, che detto per inciso era già maritata a Niccolò Benintendi, aveva accettato la corte del Bandini, snobbando il Martelli; al quale si presentava adesso l’occasione per vendicarsi mascherando la sfida sotto un pretesto di rivalità politica.

Le lettere ingiuriose tra i due contendenti continuarono a essere scambiate ancora per alcuni giorni, almeno fino al 28 febbraio, come si evince da un riferimento cronologico nel testo. Il luogo del combattimento fu scelto sulla prima altura di Poggio Baroncelli, subito fuori dalla porta di San Piero Gattolino, dove fu appositamente attrezzato un recinto. I duellanti, aveva stabilito l’Orange, avrebbero dovuto presentarsi vestiti con la sola camicia, e armati di spada e guanto di maglia sulla mano destra, insieme a un compagno. Il Martelli aveva scelto come suo secondo quello stesso Dante da Castiglione che aveva firmato con lui le lettere di sfida; il Bandini si portava dietro invece il giovane Bertino Aldobrandi, noto per essere un eccellente spadaccino.

Il duello si svolse nella mattinata del 12 marzo. Ad assistervi si erano presentati molti soldati del campo cesareo, attratti dall’inedito spettacolo. Da Firenze invece non era stato fatto uscire nessuno, con l’esclusione di un piccolo seguito di paggi, servitori e staffieri; ma non c’è dubbio che dagli spalti non furono in pochi a seguire quel che accadeva. Giudice dello scontro principale – quello tra il Martelli e il Bandini, che si svolgeva in un recinto diverso dall’altro

23 ASF, Miscellanea Repubblicana, 4, ins. 117, doc. 3, Copia dela patente del campo franco conceduto l’anno

1530 dall’Ill.mo Principe d’Oranges à Lodovico Martelli, e Dante da Castiglione nell’abattimento fatto tra loro, e Giovani Bandini, e Bertino Aldobrandi. Il documento è stato pubblicato in C.MILANESI, Cartelli di querela e

di sfida tra Lodovico Martelli e Dante da Castiglione da una parte, Giovanni Bandini e Roberto Aldobrandi dall'altra, al tempo dell'assedio di Firenze , «Archivio Storico Italiano», nuova serie, n. 8, 1857 (IV/II), pp. 3-26

(il testo del documento alle pp. 18-19); e ROBERT, II, pp. 466-467. 24 V

ARCHI, II, pp. 43-50. L’episodio del duello è così dettagliatamente descritto dal Varchi da occupare due capitoli del libro XI, il 29 e il 30. Il “pettegolezzo” su Marietta de’ Ricci era arrivato al Varchi da Giovan Battista Busini: cfr. G.MILANESI, p. 173.

25 A. A

DEMOLLO, Marietta dei Ricci, ovvero Firenze al tempo dell’assedio, Firenze, Stamperia Granducale, 1841.

duello – fu lo stesso principe d’Orange, che poi fece stendere dal suo segretario Bernardo Martirano un dettagliato processo verbale dell’accaduto. «Essendo nel steccato con l’arme in mano – vi si legge – da poi lo terzo suono della trombetta vennero ad incontrarse, et combattendo in camisa senza barretta, con un guanto de maglia deritto, et una spata per uno senza niuna altra arma offensiva ne difensiva».26

Dante da Castiglione riportò numerose ferite nello scontro con l’Aldobrandi, che la spada la maneggiava assai meglio di lui. Sarebbe stato sconfitto e ucciso, e già era caduto a terra, quando l’Aldobrandi, nella foga di finirlo, andò a infilzarsi sulla spada dell’avversario, che il fiorentino alzò per difendersi dall’ultimo assalto e riuscì a ficcargli nel collo. L’altra sfida, quella tra i due principali contendenti, ebbe un esito opposto. Fu il Bandini infatti ad avere la meglio: Ludovico Martelli, più volte colpito, fu costretto ad arrendersi. Sarebbe morto pochi giorni dopo, per le ferite riportate; o forse, come ricorda un appunto aggiunto in calce alle lettere di sfida «morì più di dolori, che delle ferite».27

Il duello si era dunque concluso in parità: Dante da Castiglione aveva ucciso l’Aldobrandi, il Bandini aveva ferito mortalmente il Martelli (il quale, detto per inciso, non aveva certo dato di sé un’immagine eroica). Lo spettacolo aveva divertito un po’ tutti, e le richieste per altri duelli furono così numerose che fu necessarie proibirli per bando pubblico.28 Solo in un’altra occasione, alla fine di aprile, si fece un’eccezione, per consentire a due campioni delle opposte cavallerie di affrontarsi in torneo. Il duello nasceva in questo caso da una contestazione relativa a un fatto d’armi avvenuto fuori dalla Porta al Prato: la cavalleria fiorentina comandata da Jacopo Bichi, dopo aver compiuto meravigliosi atti di valore che avevano lasciato di stucco gli stessi avversari, era stata costretta a ritirarsi dentro le mura cittadine, senza però essere chiaramente sconfitta. Pertanto, solamente un duello poteva risolvere il punto d’onore su chi fosse stato il vincitore di quella giornata. La sfida si combatteva questa volta tra cavalieri pesantemente armati, secondo la regola del “rompere una lancia”, e il campo per lo scontro fu trovato – durante una tregua d’armi concessa da Malatesta Baglioni – lungo uno dei fossati delle mura. A rappresentare la cavalleria fiorentina Jacopo Bichi aveva scelto il suo luogotenente e portabandiera, Primo da Siena; le cronache non ci hanno invece tramandato il nome dello spagnolo che fu chiamato a difendere l’onore degli imperiali. Al segnale della tromba lo spagnolo e il senese spronarono i cavalli, ponendo in resta le loro lance da torneo. La lancia dello spagnolo si ficcò nell’arcione di Primo e si spezzò, senza riuscire però a disarcionare il cavaliere del Marzocco; contemporaneamente l’asta dell’italiano colpì al petto il campione imperiale, e si spezzò a sua volta in più parti finché il troncone, strisciando sull’armatura, ferì piuttosto gravemente la spalla dello spagnolo. Essendosi rotte entrambe le lance, senza che nessuno dei due cavalieri fosse disarcionato, lo scontro finì così in parità, salvando l’onore di tutte e due le parti.29

26 Processo verbale del duello tra Giovanni Bandini e Ludovico Martelli, del 13 marzo 1530 : anche questo pubblicato in MILANESI, Cartelli..., pp. 23-25; e in ROBERT, II, pagg. 473-475.

27

ASF, Miscellanea Repubblicana, 4, ins. 117, doc. 2.

28 ASF, Signori e Collegi. Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 132, c. 192r, 14 marzo 1530. 29 V

In alternativa ai duelli, la guerra di trincea che si combatteva intorno Firenze lasciava spazio comunque per altre effimere affermazioni di eroismo: come l’impresa compiuta da Armato Del Borgo, un sansepolcrino agli ordini di Giovanni da Turino, che durante il Sabato Santo (16 aprile) si introdusse furtivamente nell’accampamento nemico. Senza farsi notare, Armato si avvicinò agli accampamenti del Cagnaccio, e rubò la bandiera di uno dei reparti. Poi, correndo a perdifiato e inseguito dalle archibugiate degli uomini di guardia, che l’avevano scoperto, riuscì a rientrare dentro le mura della città, sventolando l’ambito trofeo e gridando “Marzocco”. Ricompensato direttamente dal Baglioni con dieci scudi d’oro, qualche giorno dopo il fegatoso soldato ritentò l’impresa: ma al secondo tentativo i colpi d’archibugio furono più veloci di lui, e ferito gravemente ad una spalla morì dopo due giorni d’agonia.30