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Un’utile fonte, per capire come Firenze si stesse preparando all’inevitabile guerra contro l’Impero e il Papato coalizzati, si ritrova nella relazione dell’ex ambasciatore veneziano in città, Antonio Surian. Letta al senato della Serenissima il 2 agosto 1533, oltre quattro anni dopo il suo ritorno da Firenze, si riferisce in realtà a un periodo compreso tra la fine di maggio e i primi di agosto 1529,34 quando il Surian aveva già abbandonato la legazione fiorentina dove era stato sostituito da Carlo Cappello.35

28

Per il primo incontro tra il Doria e l’imperatore cfr. A.PACINI, La Genova di Andrea Doria nell’impero di

Carlo V, Firenze, Olschki, 1999, pp. 153-155.

29 Carlo V a Filiberto di Chalon, 22 giugno 1529, in HHStA, LA Belgien, PA 67.5, c. 22rv; una copia in AGR, Audience, 80, f. 76.

30

I Dieci a Francesco Zati, 9 agosto 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 103, cc. 88v-89r. Durante il mese di luglio, per cercare di avere notizie più definite, la Signoria aveva disposto l’invio di una spia a Barcellona: si veda a questo riguardo la lettera dei Dieci a Ceccotto Tosinghi del 4 luglio 1529, ivi, c. 51r.

31 I Dieci a Ceccotto Tosinghi, 14 agosto 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 103, cc. 98v-99r.

32 Non è chiaro cosa fosse questo “segno d’oro”: l’onoreficenza del Toson d’Oro, cui sembra alludere l’espressione, fu infatti concessa al Doria soltanto nel 1531, durante il ventesimo capitolo dell’Ordine a Tournai. Cfr. P. HOUART – M. BENOIT JEANNIN, Histoire de la Toison d’Or. La prodigieuse aventure d’un ordre

éblouissant de Philippe le Bon à nos jours, Bruxelles, Le Cri, 2006, pp. 147-151.

33

L’entrata di Carlo V in Genova è descritta minutamente in due lettere riportate nei Diarii del Sanuto, ma di cui ignoriamo gli autori: cfr. SANUTO, LI, coll. 397-402. Un’accurata descrizione della giornata anche in [L. GONZAGA], Cronaca del soggiorno di Carlo V in Italia (a cura di G.ROMANO), Milano, Hoepli, 1892, pp. 81 e segg.

34

La relazione del Surian fu letta in ottemperanza alla parte presa in Pregadi che obbligava gli ambasciatori a relazionare al Senato al rientro dalle loro missioni. Il Surian, come altri suoi colleghi, tenne dunque la sua relazione a distanza di anni sebbene «tutte le cose alhora occorevano siano al tuto mutate», come disse un altro

Scrisse dunque il Surian che i fiorentini

«hanno il suo capitanio generale don Ercule, figlio de l’Illustrissimo signor duca di Ferrara, quale hanno condutto con omeni d’arme 200 e che’l sia in libertà tener, in loco de ogni 200 omeni d’armi, 200 (cavalli) leggeri. (...) Deve etiam in tempo di guerra, cavalcando la persona sua, aver fanti 1000».36

Comandante in capo delle armate fiorentine, dal gennaio 1529, era appunto il giovane don Ercole II d’Este, figlio di Alfonso I duca di Ferrara e di Lucrezia Borgia.37 Alla sua nomina, che come avrebbe ricordato Giovan Battista Busini era stata fortemente voluta da Alfonso Strozzi e Tommaso Soderini,38 si era giunti grazie all’intercessione del re di Francia. L’erede di casa d’Este, pur riscuotendo dai fiorentini un ricco compenso (9000 fiorini grossi all’anno, equivalenti a 7000 ducati d’oro) di fatto non aveva però mai ricoperto il suo ruolo di Capitano Generale, limitandosi a inviare in Toscana un contingente di cavalleria pesante che operò tra Firenze e Pisa dagli ultimi giorni di marzo 1529 – quando la guerra era ancora lontana – sino alla fine di novembre di quello stesso anno, un paio di mesi dopo l’inizio delle ostilità.39 Mentre si concretizzava sempre più il rischio di una guerra, la partenza per Firenze di don Ercole era stata sollecitata più volte – anche dallo stesso ambasciatore ferrarese Alessandro Guarini – e la Signoria aveva addirittura nominato, alla fine di luglio, prima Alfonso Strozzi, e poi in sua sostituzione Jacopo Guicciardini (fratello dello storico Francesco), come commissari ad acta, con l’incarico di recarsi a Ferrara a prelevare il recalcitrante

ambasciatore a Firenze, Marco Foscari, relazionando un paio di settimane prima sul tempo della propria legazione. Pubblicata a stampa dall’Albèri nell’Ottocento, e in una forma più rispondente al testo originale dal Segarizzi quasi un secolo fa, ho rintracciato la Relatio Nobilis Viri Antonij Suriani doctoris et equitis de

legatione florentina in ASVe, Collegio. Relazioni di ambasciatori, rettori e altre cariche, 32 (tomo I), cc. 62v-

71r. Cfr. A.SEGARIZZI (a cura di), Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, vol. III, Firenze, tomo I, Bari, Laterza, 1916.

35 Il Cappello era stato eletto nuovo ambasciatore già il 23 dicembre 1528, a seguito della richiesta del Surian di lasciare la legazione fiorentina. La lettera di commissione, insieme alle istruzioni, fu inviata al Cappello il 10 aprile 1529, e per il suo nuovo incarico ricevette la somma di 130 ducati d’oro al mese, dei quali non avrebbe dovuto render conto alla Serenissima: l’8 dicembre 1529, per venire incontro alle difficoltà economiche dell’ambasciatore, il Senato di Venezia stanziò per lui la somma una tantum di 200 ducati d’oro. Cfr. ASVe, Senato. Secreti, 53, cc. 109v; 144rv; 248r.

Dal suo epistolario sappiamo che il Cappello era giunto in città il 25 aprile, per la festa di San Marco Evangelista patrono di Venezia, e si era insediato il 27, il giorno prima che il Surian abbandonasse Firenze. Cfr. la lettera di Carlo Cappello al Doge Andrea Gritti del 27 aprile 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda Serie, 31, cc. 1v-4r. Il già citato registro in ASVe, Collegio. Relazioni di ambasciatori, rettori e altre cariche, 32 (tomo I), che copre gli anni fino al 1547, non contiene alcuna relazione del Cappello in merito alla sua legazione fiorentina: probabilmente infatti il Cappello non si presentò mai di fronte ai Pregadi, trovandosi dal 1533 e negli anni seguenti come ambasciatore alla corte di Enrico VIII.

36 S

EGARIZZI,p. 115. 37

Sulla condotta di Ercole d’Este agli stipendi dei fiorentini ASF, Signori e collegi. Condotte e stanziamenti, 29, cc. 1v-7r, 1° gennaio 1529.

38 G.M

ILANESI, p. 13. 39

La cavalleria estense iniziò il viaggio di ritorno verso Ferrara, attraverso la Garfagnana, il 4 dicembre 1529, quando la condotta che la legava ai fiorentini era scaduta da qualche giorno (presumibilmente, il 30 novembre). Secondo l’ambasciatore ferrarese a Firenze, Alessandro Guarini, se anche il duca di Ferrara avesse voluto trattenere la cavalleria al servizio dei fiorentini «saria stato impossibile a farci che li fossero rimasti: tanto hanno patito e tanto sono stati male visti et male trattati per questo tempo che sono stati qui in Firenze». Cfr. lettera di Alessandro Guarini ad Alfonso I d’Este, 3 dicembre 1529, in ASMo, Cancelleria Ducale. Estero. Carteggi ambasciatori. Firenze, 15, ins. 8, ad datam.

condottiero.40 Il quale, offeso che si pensasse alla sua mala fede, scriveva al Guarini che si impegnasse di più nel difendere il suo onore nei confronti dei Signori e di terzi:

«al signor oratore veneto, quando vi disse che quei Signori hariano voluto che prima mi fussi condutto a Fiorenza, e poi havessi domandato li fanti maraviglio che non li rispondesti, come io non ho mai detto si non de venirgli quando sii domandato, e che quei Signori vi hanno risposto che quando haranno bisogno di me ve lo diranno tanto a tempo che me ne potrete avisarmi».41

Scrivendo il 23 luglio al Gran Maestro di Francia Anne de Montmorency, in quegli stessi giorni il principe estense (o Duca di Chartres, come aveva preso a firmarsi dopo il suo matrimonio con Renata di Francia) teneva a precisare che ai fiorentini «mandai già son molti mesi le genti de la mia condutta in loro servitio», eppure «anchora non me hanno chiamato». Un paio di settimane dopo, quando attraverso Jacopo Guicciardini don Ercole era stato ufficialmente chiamato a Firenze, una nuova lettera al Montmorency annunciava l’intenzione di partire, a dispetto del «manifesto pericolo» al quale si esponeva per essere «le terre debili, li populi impauriti et di diverse voluntà, et le provisioni non così gagliarde».42 Poi però non se ne fece più di nulla.

Era successo che il duca di Ferrara, sapendo di essere nel mirino della nuova alleanza stabilita tra il pontefice e l’Imperatore, stava in quegli stessi mesi riconsiderando la propria posizione sullo scacchiere internazionale, e si apprestava di lì a poco ad aderire alla pace generale cui aspirava Carlo V: in questi frangenti, era meglio che il giovane don Ercole se ne rimanesse a Ferrara, anziché immischiarsi in un conflitto che vedeva i fiorentini nel ruolo delle vittime sacrificali.43 I tentennamenti dell’Este, che si protrassero per mesi, erano giustificati ufficialmente con difficoltà nel reclutamento dei fanti e con i ritardi della Repubblica nei pagamenti promessi; mentre a Firenze – dove non c’era certo tempo da perdere nell’organizzare la difesa della città – già si pensava a una sua sostituzione. I fiorentini, scrisse il Surian riferendosi ai vertici politici della Repubblica

«se attrovano non ben disposti né contenti de la persona del signor don Ercule, il quale, quando

40

Alessandro Guarini ad Alfonso I d’Este, 16 agosto 1529, in ASMo, Cancelleria Ducale. Estero. Carteggi ambasciatori. Firenze, 14, fasc. 3, ad datam: il Guarini invitava Ercole d’Este a partire per Firenze, sempre che volesse conservare la benevolenza della Signoria nei suoi confronti. La commissione della Signoria ad Alfonso Strozzi, eletto il 25 luglio come inviato a Ferrara per accompagnare a Firenze Ercole d’Este è ricordata nella lettera di Carlo Cappello al doge Andrea Gritti del 26 luglio 1529, in ASF, Carte Strozziane. Seconda serie, 31, cc. 73v-75r; quella a Jacopo Guicciardini, del 30 luglio, in ASF, Dieci di Balìa. Missive, 108, c. 103v, «per accompagnare et condurre alla volta di Pisa la persona dell'Ill.mo signor Don Hercole nostro Capitano Generale con tutte le genti d'arme et fantirie che militano alli stipendi nostri». Le istruzioni date per l’occasione al Guicciardini sono in ASF, Dieci di Balìa. Legazioni e commissarìe, 47, cc. 101v-103r.

41

Ercole II d’Este ad Alessandro Guarini. Da Ferrara, non datata [ma 31 luglio 1529], in ASMo, Cancelleria Ducale. Estero. Carteggi ambasciatori. Firenze, 15, ins. 2.

42 Cfr. le due lettere di Ercole d’Este al Montmorency del 23 luglio e 8 agosto 1529, in BNF, Collection Béthune, Français 8593, f. 35 e 8559, f. 16, pubblicate in MOLINI, II, pp. 236-238.

43

Dopo Cambrai Alfonso I d’Este, secondo l’efficace formula di Guerzoni, si comprò la pace con Carlo V a suon di scudi. Cfr. G.GUERZONI, Di alcune ignote e poco nobili cause del soggiorno bolognese di Kaiser Karl

V, in M.FANTONI (a cura di), Carlo V e l’Italia. Seminario di studi Georgetown University a Villa Le Balze 14-

15 dicembre 2000, Roma, Bulzoni, 2000, p. 207. Secondo lo stesso Guerzoni, ma in questo la sua lettura non è a

mio avviso sufficientemente documentata, il prolungato soggiorno dell’imperatore a Bologna servì a “mungere” gli scudi della vacca estense e degli altri feudatari e vassalli italici (ivi, p. 216).

si conduca da sé a Firenze, senza espetare de essere dimandato, non potria salvo che giovare alle cose sue, perché perseverando quelli signori in questa mala contentezza, potrà accader che, finito lo anno, la condutta sua non serà rifirmata».44

In attesa di poter ufficialmente rescindere gli accordi con l’inadempiente rampollo di casa d’Este la Signoria si era rivolta altrove, «parendo a quelli signori non potersi così ben servire della persona di don Ercule per esser troppo giovane ed inesperto».45 In una lettera inviata alla Balìa, l’ambasciatore senese a Firenze Beniamino Boninsegni spiegava: «qui si va pensando creare un altro condottiere invece di Don Hercole, fassi discorso sopra di tre, cioè sopra il signor Renzo, lo Duca di Grevina, e lo signore da Palestrina, doveranno presto risolversi».46 Poi evidentemente si decise di optare per qualcuno che era già da qualche mese agli stipendi della Repubblica, e il comando effettivo delle forze fiorentine venne così affidato a Malatesta IV Baglioni, signore di Bettona e di Perugia, un condottiero esperto («exercitato e pratico», come lo definì Tommaso Soderini) che vantava un curriculum militare di tutto rispetto.47 Il Baglioni era nato nel 1491. Suo padre Giampaolo, che nel 1500 era sopravvissuto alle “nozze rosse” (una cospirazione ordita da un altro ramo della stessa famiglia), fu poi fatto uccidere da papa Leone X de’ Medici nel 1520: chiamato a Roma con un inganno era stato imprigionato, torturato e infine decapitato.48 Con il papato, e con i Medici in particolare, il Baglioni aveva dunque un conto aperto, e questo – nell’ottica dei fiorentini – era un punto a suo favore. A questo bisogna aggiungere che suo fratello, Orazio, era morto al servizio della Repubblica soltanto l’anno prima, nel 1528, al comando delle Bande Nere durante l’impresa di Napoli.49

Discendente di una famiglia di capitani, guerrieri e condottieri di ventura che in passato avevano prestato la loro opera anche per Firenze, la carriera militare di Malatesta era iniziata nel 1511, durante la guerra della Lega Santa. Da allora non aveva mai smesso di combattere, ora al servizio di Venezia, ora della Francia, ora in proprio: la sua lunga esperienza sul campo di battaglia dava una certa garanzia di affidabilità. Personalmente era noto per avere un atteggiamento riflessivo, prudente, per essere versato come stratega e saper giocare d’astuzia; in combattimento poi amava condurre personalmente le azioni, esponendosi direttamente al pericolo. Per di più la nomina a governatore generale del Baglioni, pur se osteggiata dal duca

44

SEGARIZZI, p. 115. 45 Ibidem.

46 Beniamino Boninsegni alla Balìa senese, 25 agosto 1529, in ASS, Balìa, 594, n. 71. Il Boninsegni (o Buoninsegni) fu l’ultimo ambasciatore a Firenze prima della rottura delle relazioni diplomatiche, quasi omonimo, e forse parente, del più noto Bernardino. Quest’ultimo, che pure era stato ambasciatore a Firenze, contrariamente a quanto scrisse il Varchi si trovava in quella stessa estate 1529 – come dimostrano le evidenze documentarie – non a Firenze ma in legazione a Genova, da dove scriveva regolarmente alla Balìa.

47 I capitoli della sua condotta, datata 16 aprile 1529, sono in ASF, Signori e collegi. Condotte e stanziamenti, 29, cc. 10r-13v; un sommario in ASF, Signori Dieci di Balìa Otto di Pratica. Legazioni e commissarìe missive e responsive, 74, c. 114rv. La citazione del Soderini è in ASF, Consulte e pratiche, 71, c. 4v, 3 maggio 1529. 48 Su Giampaolo e più in generale sulla signoria baglionesca di Perugia prima di Malatesta IV si vedano L.D

E

BAGLION, Perouse et les Baglioni: etudes historiques d’apres les chroniqueurs, les historiens et les Archives, Paris, Emile-Paul, 1909; e C.F.BLACK, The Baglioni as Tyrants of Perugia, 1488-1540, «The English Historical Review», vol. 85, n. 335, aprile 1970.

49 Sulla morte di Orazio Baglioni cfr. A

di Ferrara (e si può capire perché, visto che andava in pratica a prendere il posto del giovane don Ercole) era ben vista dal “Cristianissimo”, cioè dal re di Francia.50