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Dopo i fatti di Napoli, il Capponi non tardò ad accorgersi che l’unica speranza di sopravvivenza per la Repubblica stava nel giungere a un compromesso con Clemente VII, con un accordo che occorreva chiudere fintanto che Firenze poteva ancora esercitare un potere contrattuale. In una lettera scritta nel novembre 1528 a Giuliano Soderini, allora ambasciatore fiorentino alla corte di Francia, il Capponi descriveva le prospettive della Repubblica basandosi su un’attenta analisi della situazione. Sul soccorso francese non c’era da fare affidamento: «cotesta Maestà – scriveva il gonfaloniere – con le parole mostra di non voler abbandonare le cose d’Italia, (...) d’altra parte i fatti non corrispondono alle parole». Per il Capponi, che giustamente diffidava della lealtà di Francesco I (e i fatti dei mesi seguenti gli avrebbero dato ragione), Firenze doveva guardarsi soprattutto dal rischio di una possibile alleanza tra il Papato e l’Impero. Desiderando infatti Carlo V «venire in Italia a coronarsi, (...) è da presumere che abbia a contentare e sicurare il Pontefice». Una guerra contro il papa e l’imperatore riuniti sarebbe stato un rischio enorme per Firenze, che non poteva contare né sugli aiuti francesi né sulle proprie forze, ormai ridotte ai minimi termini da anni di guerra e dall’ultima disastrosa impresa napoletana: di conseguenza, argomentava il Capponi, «o saranno di subito vittoriosi, o noi ci avremo a difendere con tanta spesa che presto ci straccheranno, facendo loro la guerra con manco danari che non facciamo noi».15

Le previsioni del Capponi si basavano sui fatti e su una sana dose di realismo (dote che sarebbe poi mancata ai suoi successori) che lo spingeva a dubitare dell’arrivo di consistenti aiuti dall’esterno, in particolare dalla Francia.16 «Questa lega è mezza sciolta», scrisse alcuni mesi dopo al nuovo ambasciatore fiorentino a Parigi, Baldassarre Carducci, riferendosi ai rapporti con i Francesi e soprattutto con i Veneziani; e considerando che il re di Francia «ha grand’animo, discorre bene, ma colorisce male», giungeva alla conclusione che quando «si toccasse con mano che non potessimo sperare dal Cristianissimo, sarebbe meglio pigliar partito» e scendere a patti con il papa, visto che non c’erano «forze da poterci difendere».17 Sul piano militare, la rotta del Lautrec aveva infatti segnato la definitiva scomparsa delle Bande Nere, che si erano sciolte con la resa di Aversa. Molti dei suoi effettivi si sarebbero uniti agli imperiali, e in particolare al colonnello di Fabrizio Maramaldo, che aveva una fama di ferocia ed efficienza militare non inferiore a quella delle Bande: poco più di un anno dopo avrebbero impiegato la loro esperienza bellica contro quella stessa Repubblica per la quale avevano militato. Alcuni capitani, come Giovanni da Turino, Tommaso Còrso, Giuliano e Bernardo Strozzi, Amico da Venafro e Jacopo Bichi, Tommaso e Giovanbattista Gotti (quest’ultimo celebrato sergente maggiore delle Bande), Pasquino Còrso, con parte delle loro

15 Niccolò Capponi a Giuliano Soderini, 18 novembre 1528, in D

ESJARDINS-CANESTRINI, pp. 1003-1010. 16

La diffidenza del Capponi verso le promesse francesi è notata anche in VON ALBERTINI, p. 112. 17 Lettere del Capponi a Baldassarre Carducci del 15 e 20 febbraio, e del 24 marzo 1529 (D

ESJARDINS- CANESTRINI, pp. 1010-1013 e 1021-1027).

sbandate compagnie riuscirono a rientrare a Firenze e si rimisero al servizio della Repubblica. Fu intorno a questo nucleo di esperti capitani che nei mesi successivi si sarebbero ricostituite le fanterie fiorentine,18 mentre sulla città già iniziavano ad addensarsi le nubi dell’ultima tempesta. Dopo la débâcle napoletana divenne comunque necessario ripensare anche il modello di difesa, e ricostituire la Milizia dell’Ordinanza di machiavelliana memoria, arruolata però non nel contado ma dentro le mura:19 al nuovo esercito cittadino, i cui membri portavano a tracolla una fascia verde, avrebbero dovuto partecipare tutti gli uomini atti alle armi tra i diciotto e i quarantacinque anni.20

Intanto però, forte delle sue convinzioni, il gonfaloniere aveva avviato contatti con emissari del papa, per cercare un possibile accordo che soddisfacesse entrambe le parti. Rapporti con uomini legati ai Medici – in particolare con Jacopo Salviati - c’erano stati in realtà fin dall’inizio del gonfalonierato del Capponi, nel giugno 1527. Salviati, già cognato di papa Leone X e uomo tra i più influenti della curia pontificia, era anche imparentato con il Capponi attraverso Francesco Vettori, cognato del gonfaloniere e cugino del Salviati. Per storia personale il Salviati era assai vicino alla parte Piagnona, avendo fatto parte insieme a Domenico e Girolamo Benivieni del circolo ficiniano, ed era dunque l’uomo più adatto per cercare una mediazione. Dopo la restaurazione medicea del 1512, per esempio, era stato lui a proporre – inascoltato – una cooptazione al governo dei Piagnoni, per stemperare le tensioni che nascevano dall’esclusione di una così importante fazione cittadina.21

Per interessamento del Salviati, poco prima del Natale 1527 un inviato pontificio era stato ricevuto a Firenze, prima dal gonfaloniere e poi dalla Signoria, per affrontare le questioni in sospeso con Clemente VII, e i contatti erano proseguiti in maniera riservata almeno fino a tutto gennaio. È probabile, a mio avviso, che oggetto dei colloqui con gli emissari del Salviati fosse il rientro in città dei Medici come privati cittadini, e la possibilità di realizzare una “unione” che pacificasse le fazioni, allargando il numero degli uomini di stato a una parte selezionata della fazione medicea.22 Col passare del tempo, e con il radicalizzarsi della situazione interna, il Capponi – che i suoi oppositori giudicavano troppo tenero con la fazione filo-medicea – si trovò a vedere sempre più limitata la sua liberta d’azione, e a doversi muovere con estrema circospezione. Nel luglio 1528, il gonfaloniere sfogò tutta la propria frustrazione in un colloquio con l’ambasciatore ferrarese Alessandro Guarini, che poi ne riferì al duca Alfonso d’Este:

«Ritrovandomi a parlamento col confaloniere, Sua Signoria si largò parlar con me, dicendomi ambasciatore io mi ritrovo de una mala voglia, et vedendo li andamenti che vanno in questi

18 Si veda nell’appendice documentaria il documento del 19 ottobre 1528, Nota di tutte le genti di pie e di

cavallo della Repubblica Fiorentina.

19

ASF, Provvisioni. Registri, 207, cc. 51r-54v, 6 novembre 1528; la ricostituzione dell’ordinanza «delle fanterie de’ battaglioni del contado et distretto di Firenze» era stata prevista – ma operativamente mai avviata – già dalla provvisione dell’11 giugno 1527, in ASF, Provvisioni. Registri, 206, c. 8rv, che reintroduceva la magistratura dei Nove della Milizia.

20

NARDI, II, pp. 143-144. 21 A.A

NZILOTTI, La crisi costituzionale della Repubblica fiorentina, Firenze, Seeber, 1912, p. 56. 22 S

frangenti, dubito grandemente che in fine non habbiano ad andare a gambe levate, et che questa città non habbia ad andare in ruina, perché non ci siamo governati del modo che ci dovevamo governare, et come sempre ho havuto opinione, et ho proposto, et volevo che si facesse, ma non solamente non ho potuto ottenere per havere havuto contrarij, Thomaso Soderino, Alfonso Strozzi, Antonfrancesco Albici, Baldesar Cardozzi, et molti altri; ma ho havuto imputatione ch’io sia Pallesco, et amico del Papa; e sappiate che non è homo in questa città che havesse ad esser peggio trattato di me, quando ritornasseno Medici; io son stato sempre di opinione che si facesse una unione in questa città, et che si abbracciassero tutti li cittadini, et fosseno una cosa medesma, ma questi altri hanno voluto extimare ad un certo modo per inimici capitali tutti quelli, che per modo di parlare, una sol volta hanno parlato a’ Medici; in tanto che dubito che questa nostra discordia non ne faccia mal capitare».23

In agosto una lettera del Salviati diretta al Capponi fu fatta pervenire al gonfaloniere attraverso la corrispondenza diplomatica dell’ambasciatore francese a Firenze, Claude Dodieu.24 Dopo la scoperta di questa missiva furono imposte severe restrizioni ai poteri discrezionali del gonfaloniere, e la sua corrispondenza in uscita venne sottoposta al vaglio dei Dieci. A dispetto delle proibizioni i contatti con il Salviati proseguirono in maniera riservata, al fine di venire a un accomodamento; finché alla metà d’aprile 1529 il Capponi fu accusato di aver allacciato trattative segrete con papa Clemente. L’accusa, non infondata ma certo strumentalizzata in senso politico, era sostenuta dal ritrovamento, avvenuto il 16 aprile da parte di Jacopo Gherardi (uno dei suoi più feroci avversari, che in quel tempo sedeva tra i Signori) di due lettere parzialmente in cifra, provenienti da Roma e firmate da Giachinotto Serragli, uno stretto collaboratore del Salviati.25 Dalla prima lettera, datata 4 aprile, si intuisce che quella non era la prima missiva inviata al Capponi, e che con il gonfaloniere fiorentino esisteva un carteggio: in essa il Serragli chiedeva inoltre di parlare con «Piero vostro» – il figlio del Capponi – «in qualche luogo dove vi paia più comodo et fuori del suddetto (dominio fiorentino) et copertamente a fine non si sappia». 26 Dalla seconda lettera, del 13 aprile, si capiva tuttavia come il Serragli non avesse avuto risposta, visto che chiedeva ancora di «parlare con Piero vostro fuori del Fiorentino, per non avere suspezione, e per dirli alcune cose attinenti alla città, che per farla salva non le replicherò altro, ma vi prego lo facciate risposta presto, perché le cose riscaldano».27

Scoperto nei suoi maneggi, e costretto a dimettersi il 17 aprile 1529, il giorno dopo il Capponi fu sostituito nella carica da Francesco Carducci, uno dei leader dell’opposizione degli

23 Alessandro Guarini ad Alfonso I d’Este, 8 luglio 1528, in A

RCHIVIO DI STATO DI MODENA (d’ora in poi ASMo), Cancelleria Ducale. Estero. Carteggi ambasciatori. Firenze, 15, fasc. 1, ad datam. Pubblicato in ROSSI, I, pp. 279-284.

24

Alessandro Guarini ad Alfonso I d’Este, 20 agosto 1528, in ASMo, Cancelleria Ducale. Estero. Carteggi ambasciatori. Firenze, 15, fasc. 1, ad datam.

25 Un resoconto sui fatti che portarono alla caduta del gonfaloniere è nella parte finale della lettera dei Dieci a Lorenzo Martelli oratore al Saint-Pol, 22 aprile 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Legazioni e commissarìe, 46, cc. 103r-104r. Il Gherardi, che ebbe il ruolo principale nel rinvenimento del carteggio compromettente e nel renderlo pubblico, vi viene indicato semplicemente come «un de’ Signori» (c. 104r). Un sintetico ritratto di Jacopo Gherardi, come uomo infido, sospettoso e fanatico, è tracciato in SEGNI, p. 89.

26

ASF, Signori Dieci di Balìa Otto di Pratica. Legazioni e commissarìe missive e responsive, 74, cc. 123v – 124r.

Arrabbiati, la fazione più radicale del panorama politico fiorentino:28 un uomo di bassi natali («loco, scandaloso e mal fortunado», come lo definì l’ambasciatore spagnolo a Roma, Miçer Mai)29 e decisamente avverso alla politica dei compromessi.

L’elezione del Carducci sorprese i fiorentini. Gli occhi erano semmai puntati su Tommaso Soderini o Alfonso Strozzi, che però non ebbero abbastanza preferenze e furono i primi a rimanere delusi dal risultato.30 Il Carducci (parente dell’anziano Baldassarre, che quattro mesi prima era stato inviato come ambasciatore in Francia, per allontanarlo dalla vita politica fiorentina) era stato fino allora un personaggio di secondo piano. Dotato di una certa eloquenza, non era però di bell’aspetto («occhi strambi, et pallido volto, non haveva né onorevole, né conveniente presenza a tanto onore», lo descrisse il Giovio), e per di più non godeva di un grande patrimonio, anche a seguito del fallimento della sua attività commerciale in Spagna. Il Carducci era stato eletto per otto mesi, e fu sotto il suo gonfalonierato che le cose precipitarono verso la guerra. Il nuovo gonfaloniere infatti «havea abbracciata la Repubblica con intention di doverla governare con quelle maniere, che più piacevano al popolo (…) e d’havere a essere asprissimo nimico de’ nobili, e della famiglia de’ Medici». 31 Con il gonfalonierato carducciano e la radicalizzazione della conflittualità interna si realizzava così – o forse sarebbe meglio dire si completava – lo “slittamento” della Repubblica verso il dominio della parte popolare, fino ad allora contrastato, o per lo meno ritardato, dalla moderazione capponiana.32 La città si trovò completamente asservita al dominio di una fazione che quattro secoli dopo Von Albertini avrebbe anacronisticamente definito, sottolineandone l’ideologia combattiva ed estremista e il populismo demagogico, come “giacobina”.33

Da quel momento in poi nessun accordo sarebbe più stato ricercato con i Medici. Un chiaro segnale, in questo senso, furono le violenze che nei giorni successivi l’elezione del Carducci si scatenarono contro le proprietà e i simboli palleschi, durante le quali furono lordate e distrutte persino le immagini di Clemente VII e del defunto Leone X, poste come ex-voto nella basilica della Santissima Annunziata. Di queste violenze, a guerra

28 Per la cronologia dei fatti si vedano anche le due lettere dei Dieci a Giovanni Covoni, allora inviato al duca d’Urbino, del 17 e 18 aprile 1529, in ASF, Dieci di Balìa. Legazioni e commissarìe, 46, cc. 99v-100r e 100v- 101r, nella seconda delle quali si annuncia l’avvenuta elezione del Carducci. Con una memorabile arringa difensiva il Capponi sarebbe poi riuscito a discolparsi delle accuse più gravi, quelle che implicavano il tradimento, dimostrando che i contatti con gli emissari pontifici, pur in forma riservata, erano ben conosciuti alla Signoria (vedi VARCHI, I, pp. 462-479; e SEGNI, pp. 97-103). Il 21 aprile l’ex gonfaloniere – per il quale i suoi più astiosi nemici, spinti dal Gherardi, avevano proposto la pena di morte e la tortura – fu simbolicamente condannato a fornire garanzie per 30mila ducati che non avrebbe lasciato il territorio fiorentino per cinque anni, ed esibita la malleveria fu rilasciato «libero et absoluto»: cfr. ASF, Signori e Collegi. Deliberazioni in forza di ordinaria autorità, 131, cc. 66v-68r.

29

Miçer Mai a Carlo V, 11 maggio 1529, in ARCHIVO GENERAL DE SIMANCAS (d’ora in poi AGS), Estado, 848, f. 11. Cfr. BRITISH LIBRARY, Additional Manuscripts (di seguito BL, Add. Mss.), 28578, f. 262; e Calendar of

letters, despatches, and state papers, relating to the negotiations between England and Spain, preserved in the Archives at Simancas and Elsewhere (d’ora in poi CASP), a cura di G.BERGENROTH,P. DE GAYANGOS ET AL., 12 voll., Londra, Longman, Green & Roberts, 1862-1916, Spain, 4.1, doc. 5.

30 G.M

ILANESI, p. 50. 31 P.G

IOVIO, La seconda parte dell’Istorie del suo tempo, Venezia, Bonelli, 1560, pp. 109-115. 32

Ho ripreso il termine “slittamento” dal classico di F. FURET – D.RICHET, La Révolution française, Paris, Hachette, 1965; tr. it. La Rivoluzione francese, Bari-Roma, Laterza, 1974, in particolare il cap. V, pp. 145-186. 33 V

finita, fu accusato di essere il mandante lo stesso Carducci, che in particolare avrebbe ordinato la distruzione della villa dei Medici a Careggi e di quella di Jacopo Salviati a Montughi:34 quest’ultimo un episodio dal significato simbolico, dato che il Salviati era stato la controparte di Niccolò Capponi nella ricerca di una mediazione con Clemente VII.

Una riconciliazione fu invece timidamente proposta ai filo-medicei in città: verso di loro un segnale di apertura da parte del Carducci si ebbe sulla fine di giugno, quando fu varata dal Consiglio Maggiore una legge di amnistia, il cui scopo dichiarato era arrivare alla «vera e perpetua et indissolubile unione, pace et concordia», perdonando tutti i crimini avvenuti fino al 16 maggio 1527 con l’eccezione dei casi di omicidio e di quelli già passati in giudicato. Non è chiaro se si trattasse di un tentativo autentico di conciliazione o piuttosto di una strategia per sottrarre ai Medici la loro base di consenso. In ogni caso, fu un provvedimento tardivo e insufficiente, che non poteva certo fermare la macchina della guerra e forse per questo non fu portato fino in fondo con convinzione.35

Con il gonfalonierato del Carducci – violento, incivile e insolente, avrebbe poi scritto Donato Giannotti36 – sarebbero saliti alla Signoria (e agli altri importanti uffici cittadini) personaggi completamente ignoti alla scena politica fiorentina degli anni precedenti, “uomini nuovi” provenienti dalla borghesia minuta dei piccoli commercianti. Con questa classe dirigente Firenze sarebbe andata verso la resa dei conti con Clemente VII.

34 S

EGNI, pp. 143 e 206. 35

ASF, Provvisioni. Registri, 208, cc. 24v-28r, 26 giugno 1529. È interessante osservare come il linguaggio impiegato nel documento sia evidentemente derivato dalla tradizione di popolo: cfr. POLONI, p. 130.

36 D.G

– V –