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Tra febbraio e marzo, intanto, sul teatro di guerra erano arrivati due nuovi personaggi, entrambi destinati a ricoprire un ruolo importante negli avvenimenti dei mesi successivi. Agli inizi di febbraio era giunto a Firenze Giampaolo di Renzo di Ceri degli Orsini. Nato intorno al 1500, era un capitano già molto apprezzato, e aveva combattuto negli anni precedenti in Umbria, in Piemonte, nel Lazio, negli Abruzzi e in Puglia, sempre contro gli imperiali, al soldo ora della Francia ora della Repubblica Veneta. Proprio per i veneziani aveva partecipato negli ultimi mesi del 1529 alla difesa di Barletta, fino a quando la Serenissima non era arrivata a una pace con Carlo V. Al termine del conflitto, e a pace ormai siglata, Giampaolo Orsini era passato agli ordini dei fiorentini, con il beneplacito del re di Francia. Inviato inizialmente alla difesa di Pisa, Giampaolo Orsini avrebbe partecipato ai fatti d’arme dell’ultima fase del conflitto fino alla battaglia di Gavinana, sempre segnalandosi per il suo valore. Dopo la sconfitta della Repubblica sarebbe poi rientrato alle dipendenze del regno di Francia, per il quale avrebbe combattuto fino alla morte, avvenuta in una data imprecisata dopo il 1542.31

Sul fronte opposto, quello imperiale, militò invece il secondo personaggio a entrare in scena nel marzo 1530, Fabrizio Maramaldo. Condottiero di origini napoletane, il Maramaldo era nato sul finire del 1494.32 Per titolo, aveva quello di signore di Lusciano, località non distante da Caserta, che già era stato del padre Francesco. Per stemma, aveva assunto quello di una chiesa diroccata, un tempio della fede rovinato e caduto a terra, con il motto in me manet et ego in ea, come a sottolineare che la fede non gli mancasse a dispetto delle difficoltà. La sua carriera di soldato era iniziata nel 1521. Da allora aveva combattuto un po’ in tutta Italia:

30 BNCF, Magliabechiano, XXV, 555, cc. 156v-157r. Cfr. V

ARCHI, II, pp. 60-61. 31

Per la biografia dell’Orsini si veda la scheda di G.DE CARO, Anguillara, Giampaolo (detto Giampaolo da Ceri

e Giampaolo Orsini), in DBI, III, 1961, ad vocem.

32 La data è incerta. Secondo un appunto contenuto in BNCF, Magliabechiano, XXV, 596, citato in L

UZIO, p. 39, si tratterebbe del 28 dicembre 1494: questa data è avvalorata anche da A. SCORDO, Marramaldo, «Studi araldici», 2007, pp. 1-26. Anticipa di un paio di mesi M.ARFAIOLI,alla voce Maramaldo, in DBI, LXIX, 2007, che ha indicato la data del 28 ottobre dello stesso anno, ricavata da una sintetica nota contenuta in BNCF, II.IV.382, c. 203r.

Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia, Lazio, Umbria, Campania, Abruzzo, Puglia. Bandito dal regno di Napoli nel 1522, per aver ucciso la propria moglie dopo aver scoperto un tradimento, Maramaldo era stato accolto alla corte dei Gonzaga a Mantova, dove era rimasto fino al 1525. Già durante le guerre in Veneto si era distinto per l’estrema ferocia e l’indisciplina delle truppe mercenarie da lui comandate, raccolte quasi interamente nel napoletano. Più tardi, dopo la battaglia di Pavia, Maramaldo passò al servizio del marchese di Vasto, pur rimanendo in buoni rapporti con la famiglia Gonzaga; per incarico del marchese resse per circa 6 mesi, nel 1526, il feudo di Pontremoli, di cui fu governatore; mentre con un Gonzaga, Ferrante, partecipò attivamente al sacco di Roma nel 1527, durante il quale si dimostrò un attivissimo razziatore.33 I denari così ottenuti gli permisero di “mettersi in proprio”, e di assoldare una compagnia di mercenari, affrancandosi dal marchese di Vasto. Alla testa di un colonnello di quasi 4000 uomini, Maramaldo arrivava a partecipare al conflitto su richiesta del principe d’Orange, che già dalla fine di novembre aveva fatto il suo nome a Carlo V, suggerendo che venisse chiamato in Toscana anche per togliere le sue bande dal Regno di Napoli, dove la sua presenza avrebbe potuto portare dei danni.34

La notizia di un suo imminente arrivo sul teatro delle operazioni era nota da tempo non solo ai difensori della Repubblica, ma anche agli alleati degli imperiali. E si spargevano voci incontrollate. Il 6 gennaio un vetturale perugino riferiva al commissario senese di Sarteano (che a sua volta ne scrisse a Siena) che dovevano essere a Todi 3 o 4 mila fanti: non seppe dir da chi fossero comandati quegli uomini, ma si suppose fossero di Maramaldo.35 Sebbene alcune bande fossero in effetti nella zona, Fabrizio non si era ancora diretto verso la Toscana; eppure bastarono queste voci a spargere il panico nella regione, e a far cadere Montepulciano nelle mani dei senesi (28 gennaio).

Maramaldo si mosse a metà di febbraio, con 3000 fanti divisi in 16 compagnie. L’Orange – che era in contatto diretto col temuto condottiero napoletano – lo fece dirigere sul territorio senese, dato che Siena veniva considerata in quei giorni un’alleata poco affidabile, divisa al suo interno e non pienamente favorevole all’impresa contro Firenze.

La marcia di Maramaldo per giungere in Toscana era però stata rallentata dalla difficoltà di pagare i propri mercenari, che vantavano diversi mesi d’arretrato; e lui stesso era creditore nei

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Per la biografia del Maramaldo, oltre ai citati ALVISI e LUZIO, si vedano G.DE BLASIIS, Fabrizio Marramaldo

e i suoi antenati, Napoli, Società napoletana di storia patria, 1876; C. VASSALLO, Fabrizio Maramaldo e gli

agostiniani in Asti, Torino, Paravia, 1889; e G.SFORZA, Fabrizio Maramaldo governatore di Pontremoli, Parma, Tipografia Luigi Battei, 1898. Per quanto mi risulta i lavori più recenti sono lo studio erudito di A.CASOLINI,

Marramaldo, signore di Lusciano, Lusciano, Antea, 1982, e la già citata scheda di M. ARFAIOLI in DBI, ad vocem.

34 Filiberto di Chalon a Carlo V, 30 novembre 1529, in HHStA, LA Belgien, PA 68.3, cc. 61r-64v. Non ho trovato alcuna conferma documentaria all’ipotesi, avanzata prima dal Varchi nel libro X della sua Storia (VARCHI, I, p. 615), e poi ripresa dalla storiografia (per esempio ALVISI, pp. 99-100) che Maramaldo fosse arrivato in Toscana di sua spontanea iniziativa, o al limite con il tacito consenso dell’Orange, attirato dalla possibilità di far bottino ma comunque senza l’impegno di una condotta che lo ingaggiasse. La lettura del carteggio tra il principe e l’imperatore dimostra invece che Maramaldo era stato cercato e sollecitato, e ritardato soltanto dalla difficoltà di reperire i fondi necessari a garantire i pagamenti. Si veda al proposito la lettera di Carlo V a Filiberto di Chalon del 27 gennaio 1530, in HHStA,LA Belgien, PA 69.1, cc. 6r-7v.

35 Pier Antonio Paccinelli alla Balìa di Siena, 7 gennaio 1530, citata in A

confronti di Clemente VII. Quattromila uomini allo sbando che risalivano la penisola furono fonte di preoccupazione per più di un governo. Al passaggio dei maramaldini Roma era rimasta in allarme per due giorni. Fermatosi qualche tempo nel viterbese, perché malato, Maramaldo impiegò il tempo prendendo accordi con la Repubblica di Siena. Venendo per combattere i fiorentini, il condottiero napoletano era in teoria un alleato dei senesi. Di fatto quelle soldataglie indisciplinate e senza paga erano però una piaga sia per i nemici sia per gli amici. Arrivato in Toscana, il Maramaldo aveva fatto prima sosta a Buonconvento, nel contado senese. Da qui i suoi soldati – ormai completamente ammutinati e senza più alcuna obbedienza nei confronti del loro condottiero – predavano tutto il territorio circostante, saccheggiando non solo Buonconvento, ma anche Pienza e San Quirico d’Orcia. I senesi, da parte loro, temevano persino che quei poco gestibili alleati si sarebbero rivolti contro la città. Il rischio era concreto, e si sospettava anche che il principe d’Orange stesse usando lo strumento delle bande di Maramaldo per minacciare Siena, e convincerla a rispettare gli impegni presi con l’Impero. In una lettera del 10 marzo alla Balìa, l’oratore senese Francesco Vannini (che agli inizi di febbraio aveva sostituito il Faleri presso il campo cesareo), raccontava appunto che in uno scatto d’ira il principe si era lamentato dei 600 guastatori che Siena aveva promesso di inviare a Firenze e poi non aveva mai mandato. «Doppo pranzo – scrisse il Vannini – ce ne andammo in casa del principe, il quale odito la proposta li parve tempo vendicarsi de li promessi e non mandati guastatori in caso di tanta importantia et con ira giurò volere esso Fabritio tenere per il vostro territorio e mettesse a sacco e facesse il pegio si puo». Passata qualche ora l’Orange si scusò con l’ambasciatore senese, sostenendo di non pensare veramente quanto aveva detto. Il dubbio però rimaneva.36

Il 16 marzo, pur tranquillizzando i senesi, una banda di 300 fanti occupava San Quirico d’Orcia, ufficialmente contro la volontà degli stessi capitani: si erano ammutinati perché non ricevevano le paghe, si giustificò il Maramaldo con Siena.37 Il condottiero napoletano in realtà fece il possibile, insieme al fratello Giovanni Battista, per limitare i danni della sua permanenza sul territorio senese: facendo restituire parte delle prede e degli oggetti rubati e arrivando a fare impiccare 4 dei suoi soldati come esempio per gli altri. Alla fine del mese di marzo le sue truppe avrebbero abbandonato il campo di Buonconvento, per iniziare a portarsi attivamente contro i fiorentini.

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Francesco Vannini alla Balìa di Siena, 10 marzo 1530, in ASS, Balìa, 602, n. 57. Fin dall’inizio dell’impresa fiorentina l’Orange aveva lamentato la scarsa collaborazione dei senesi, i quali da parte loro sostenevano di fare anche troppo. Un documento tratto dai Libri Apothicarum dell’Archivio di Stato di Siena, e pubblicato nell’Ottocento dal Falletti Fossati, dimostra che alla data del 31 dicembre 1529 Siena aveva fornito all’esercito imperiale 18030 libbre di polvere grossa, 906 di fine, 3259 di salnitro, 3130 di piombo, 1917 di chiodi, oltre a 1497 palle di cannone, 14 pezzi d’artiglieria e numerosi altri materiali. Cfr. FALLETTI FOSSATI, I, p. 352. 37 A