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16. La lettura del testo letterario come strumento per la costruzione della competenza emotiva?

16.3 Competenza emotiva e teoria della mente

Il termine competenza emotiva catalizza il significato di risorsa attiva per l’organizzazione mentale e comportamentale che l’emozione riveste per lo sviluppo e risulta definita da alcuni parametri specifici che ne consentono il funzionamento (Barone, Bacchini, 2009). Si è visto come il concetto di competenza si associ a quello di un uso funzionale di un insieme di abilità e conoscenze e implichi per questo un certo grado di efficacia, padronanza e organizzazione. Le ricerche dell’ultimo ventennio hanno contribuito a delineare i percorsi evolutivi attraverso i quali si arriva ad acquisire le diverse capacità implicate nel concetto di competenza emotiva. A un livello di base si collocano tutte quelle abilità impegnate nel riconoscimento e nella comprensione psicologica delle emozioni (Harris, 1989). Esiste a questo riguardo una gradualità di acquisizione scandita da una serie di tappe evolutive di tipo sequenziale che segnalano il passaggio da un’originaria capacità di cogliere e discriminare le cause esterne – indici espressivi, situazioni, ricordi di avvenimenti – come determinanti delle emozioni, a una successiva abilità di tenere in considerazione anche le

componenti mentali in esse implicate – conoscenze, desideri, intenzioni e credenze – e infine una più avanzata competenza che coinvolge la comprensione delle componenti riflessive. È solo a quest’ultimo livello che diventa possibile acquisire la padronanza conoscitiva delle emozioni miste (per esempio amore e odio), delle emozioni morali (come vergogna e senso di colpa) e di alcune strategie di regolazione. Per quanto riguarda le altre componenti siamo in presenza di abilità più complesse, che si manifestano grazie all’acquisizione di altre competenze, come per esempio la regolazione emotiva e le abilità di mentalizzazione. Ciò ch’è emerso fin qui è l’intrinseca integrazione e dinamicità dei diversi elementi che concorrono alla definizione di competenza emotiva; se la consapevolezza delle proprie emozioni rimanda naturalmente allo sviluppo del senso di sé, l’abilità di saperle distinguere e identificare negli altri rimanda alla possibilità di capirne l’origine causativa e allo sviluppo dell’empatia, l’uso di un linguaggio riferito alle emozioni si collega allo sviluppo delle capacità rappresentative e all’incremento delle abilità sociali, mentre la capacità di separare l’espressione emotiva osservabile dall’esperienza soggettiva interna (dissimulando il proprio stato emotivo in funzione del contesto relazionale) si collega con lo sviluppo della mentalizzazione e con lo sviluppo della consapevolezza di come le emozioni incidano sulle relazioni sociali. Infine la capacità di far fronte alle emozioni negative rimanda sia alla conquista dell’autocontrollo emotivo, sia alla più comprensiva abilità di natura regolatoria. Se dunque attraverso questa lettura le emozioni si caratterizzano come risorse psicologiche che si possono gestire usandole all’interno di precise strategie relazionali, è interessante capire quanto spazio abbiano i processi consci e volontari in questa competenza e quanto sia invece ascrivibile a meccanismi di natura automatica o involontaria.

Il problema delle possibilità e delle condizioni che consentono di regolare l’emotività si collega alla considerazione di alcuni aspetti di fondo caratteristici del fenomeno emotivo (Gross, Thompson, 2007). In particolare risulta importante considerare che l’emozione è suscitata da situazioni valutate come rilevanti in rapporto ai propri scopi o obiettivi, che essa implica una serie di cambiamenti a livello di esperienza soggettiva, di comportamento e di correlati neurofisiologici funzionalmente collegati a specifiche strategie d’azione, che questi cambiamenti sono in grado di provocare un’interruzione di ciò ch’era in corso e irrompere nella nostra esperienza soggettiva modificandola. In relazione alla possibilità di modulare le risposte emergenti dall’esperienza emotiva si può riflettere sulla qualità e sulle funzioni assunte dalla regolazione. Nonostante il carattere urgente provocato nell’individuo dalla richiesta emotiva, esiste un’ampia gamma di possibilità di modulazione di quest’ultima, che deve coordinarsi con un set di sistemi di risposta implicati nelle quotidiane transazioni tra l’individuo e l’ambiente.

La regolazione emotiva si pone dunque all’interno di una funzione di mediazione e di flessibilità. Questa competenza risulta collegata ad un insieme di altre abilità che ineriscono, come si è visto in precedenza, al riconoscimento ed alla espressione delle emozioni, all’inibizione di comportamenti non appropriati, all’attenuazione dell’arousal, all’adattamento del focus attentivo, all’accesso alle risorse di coping ed alla finalizzazione della risposta emotiva. Grazie al coordinamento funzionale con altri sistemi di risposta, le emozioni trovano modalità di espressione modulata ed accentuano il loro potenziale adattivo. C’è ora da chiedersi quale sia l’oggetto della regolazione (Gross, Thompson, 2007): ci si può riferire a pensieri, comportamenti, attivazioni fisiologiche o all’insieme dei processi a cui le emozioni stesse concorrono.

In definitiva, nonostante il carattere di urgenza dell’attivazione emotiva, le fasi di regolazione intervengono introducendo la possibilità di una modulazione dell’emozione, proponendo sostanzialmente una serie di step che, a partire da un cambiamento o da un evento significativo interno o esterno, proseguono con la valutazione di questo in relazione ai propri obiettivi o problemi, con pensieri emozione-specifici, un arousal fisiologico e la tendenza all’azione connessa con l’espressione di pensieri e comportamenti soggettivi. Gli effetti della regolazione riguardano il genere di emozione, l’intensità con cui si manifesta, il tempo di latenza, la durata e la riattivazione. Le aree di influenza del processo regolatorio corrispondono alle diverse componenti dell’emozione, come l’esperienza di essa ed i suoi correlati fisiologici, gli indici espressivi e comportamentali ed il

tipo di azione che ne discende. Gli effetti del processo regolatorio interessano la modificazione dell’appraisal, cioè dei processi valutativi dell’evento che ha suscitato l’emozione, oppure un appraisal secondario inerente alla valutazione delle strategie più efficaci per affrontare la situazione. In sostanza la regolazione può scegliere come focus di intervento l’antecedente emotivo oppure la risposta emotiva.

La competenza emotiva, peraltro, non fa riferimento soltanto a capacità di regolazione emotiva interne al soggetto, ma si caratterizza per la sua natura interpersonale. A questo proposito è necessario approfondire il concetto di teoria della mente, o abilità di mentalizzaziome, che denota la capacità di comprendere le azioni umane facendo riferimento a stati interni come desideri, emozioni, credenze e intenzionalità (Liverta Sempio et al., 2005) e, come tale, è un importante fattore di fondazione e rinforzo della costruzione e del mantenimento delle relazioni con gli altri. La teoria della mente è relativa alle modalità di “funzionamento” degli esseri umani in quanto diversi dagli oggetti inanimati. I suoi punti di partenza sono le emozioni fondamentali (amore, odio, paura) e gli stati fisiologici (fame, sete, dolore, eccitazione), oltre che le percezioni e le sensazioni. Le emozioni e gli stati fisiologici generano i desideri, le esperienze percettive generano e alimentano le credenze. Le azioni producono risultati e questi attivano reazioni emotive congruenti: si è felici oppure tristi quando i risultati soddisfano o meno i propri desideri, si reagisce con soddisfazione o con sconcerto quando i risultati confermano o meno le proprie credenze. In definitiva gli stati mentali chiave sono i desideri e le credenze; essi causano sia le azioni che le reazioni emotive congruenti con i risultati di tali azioni (Camaioni, Di Blasio, 2007, pp. 113). Un notevole dibattito si è acceso tra gli studiosi relativamente al modo in cui la teoria della mente si sviluppa e al ruolo delle componenti innata e appresa in questo sviluppo. Si sono affermate principalmente quattro prospettive teoriche (Ornaghi, Grazzani Gavazzi, 2009): la teoria modulare (modular theory), quella rappresentazionale (theory theory), la teoria della finzione o immaginazione (simulation theory), la teoria interazionista e socio-culturale (interactional and sociocultural theory). I primi tre approcci teorici hanno in comune la concezione di sviluppo cognitivo come un fenomeno intraindividuale, mentre l’ultimo si basa su una concezione di cognizione come un fenomeno situato.

La teoria modulare (Leslie, 1991) collega l’acquisizione e lo sviluppo della teoria della mente alla presenza di specifici meccanismi innati, chiamati appunto moduli, che si attivano in momenti specifici dello sviluppo a seguito della maturazione del sistema nervoso. Baron-Cohen (1995) individua quattro moduli distinti, relativi alla genesi e allo sviluppo della teoria della mente: il primo diretto a rilevare l’intenzionalità (Intentionality Detector); il secondo deputato alla elaborazione e alla direzione dello sguardo (Eye-Direction Detector); il terzo finalizzato allo sviluppo della capacità di condividere con altre persone l’attenzione su un medesimo oggetto (Shared Attention Mechanism); il quarto che permette di raggiungere capacità meta-rappresentative (Theory of Mind Mechanism), come quelle necessarie per la comprensione della falsa credenza. La teoria rappresentazionale di Gopnik e Meltzoff (1997) sostiene che le strutture concettuali dei bambini sono teorie come quelle degli scienziati.

La teoria della finzione o immaginazione ipotizza che i bambini comprendano la presenza di desideri e credenze negli altri a partire da un atto di immaginazione di desideri e credenze in se stessi (Harris, 1996). Si tratta cioè di immaginare se stessi nella prospettiva di un’altra persona, simulando la sua attività mentale. Tale capacità di simulazione o assunzione di prospettiva migliora nel tempo, permettendo al bambino di passare da una più precoce comprensione dei desideri ad una più tardiva comprensione delle credenze.

La teoria interazionista e socio-culturale considera centrale nello sviluppo della comprensione della vita mentale il ruolo degli strumenti e delle pratiche culturali di cui il bambino dispone e fa esperienza, primo fra tutti il linguaggio (Nelson, 2007). Più precisamente il bambino, all’interno degli scambi interattivi con il caregiver e con figure familiari sperimenta direttamente (Hobson, 1998) e sente parlare molto presto di intenzioni, desideri, credenze, conoscenze (Astington e Olson,

1995). Inoltre, al di fuori del nucleo familiare, anche i contesti di socializzazione assumono un ruolo decisivo nello sviluppo della comprensione della mente.

Lo sviluppo di una teoria della mente implica dunque che si comprendano stati mentali di natura epistemica, come i desideri, le credenze e le opinioni, e di natura non epistemica, come le emozioni, gli affetti e i sentimenti. Le teorie viste sopra hanno tutte elementi di verità, per cui il problema dovrebbe essere relativo alla demarcazione (Doherty, 2009). L’idea che si comprenda l’emozione attraverso una forma di simulazione e la credenza attraverso un processo maggiormente teoretico appare ragionevole, così come la teoria della mente potrebbe essere implementata entro un’area cerebrale specializzata che potrebbe avere le caratteristiche proposte dai teorici della modularità. In alternativa si può essere forniti di un basilare modulo innato di teoria della mente che ci fa occupare degli stati mentali e permette qualche ragionamento di base della teoria della mente. Sembra probabile che la teoria della mente sia un qualche genere di ibrido delle teorie sopra esposte, per quanto siano necessarie ulteriori ricerche.

Resta peraltro un elemento teorico di particolare rilievo in termini di unificazione, almeno concettuale, delle precedenti teorie sulla teoria della mente, il quale può qui essere ricordato in rapporto a quanto esposto nei capitoli precedenti. C’è in sostanza una crescente evidenza riguardo al fatto che i comportamenti mimetici intersoggettivi, che potremmo considerare come correlati di una contestuale comprensione delle emozioni altrui, siano basati sul sistema dei neuroni specchio (Johnson, 2007; Rizzolatti e Sinigaglia, 2006, p. 146). Si potrebbe dire che i neuroni a specchio contengono la premessa per spiegare la capacità di comprendere le esperienze e le motivazioni degli altri. Questa comprensione può essere utilizzata per scopi sociali positivi (empatia, cooperazione) o negativi (manipolazione, competitività) ed è stata appunto chiamata teoria della mente (Linden, 2009).

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