16. La lettura del testo letterario come strumento per la costruzione della competenza emotiva?
16.5 I correlati neurali della teoria della mente e dell’empatia.
La capacità di metarappresentazione appare supportata da un sistema neurale ampiamente distribuito (Siegal e Varley, 2002). Questo sistema neurale comprenderebbe (Castelli, 2005) il sistema linguistico, in particolare le abilità grammaticali mediate dall’emisfero sinistro, i lobi frontali, associati alla funzione esecutiva; le regioni temporoparietali, soprattutto l’emisfero destro (fatto che confermerebbe il nesso tra emozione, comprensione del linguaggio figurato ed empatia); i circuiti dell’amigdala. Gli studi condotti con l’uso della PET hanno rilevato un’estesa attivazione delle strutture dei lobi temporali a livello bilaterale (Brunet et al., 2003) o hanno localizzato tale attivazione in aree linguistiche nel LH. Questi studi dimostrano che il sistema linguistico, in particolare le abilità grammaticali mediate dal LH, riveste un importante ruolo nella capacità di mindreading. Inoltre in uno studio fMRI (Rizzolatti et al., 2001) è emersa l’attivazione dei neuroni specchio nell’area di Broca. Il ruolo di tali neuroni è stato confermato anche da altri studi (Chaminade et al., 2002). In questo sistema neurale ampiamente distribuito sembra siano coinvolte anche le regioni temporoparietali, soprattutto il RH (Blakemore, Decety, 2001). Evidenze circa il ruolo dei circuiti dell’amigdala nell’interpretare gli stati mentali altrui vengono soprattutto dagli
studi su soggetti autistici, che hanno rilevato come in questi pazienti caratterizzati da un deficit nella capacità di lettura della mente siano presenti anche anomalie delle strutture corticali e subcorticali, inclusi i circuiti dell’amigdala (Baron-Cohen et al., 2000; Howard et al., 2000).
Sempre nella direzione di individuare circuiti neurali specifici per la teoria della mente, Abu-Akel (2003) cerca di effettuare una mappatura delle aree cerebrali implicate nella capacità di mindreading in base alla tipologia di metarappresentazione richiesta da un certo compito, ovvero di scoprire se nella rappresentazione di stati mentali riguardanti il sé versus stati mentali riguardanti gli altri si attivano differenti aree cerebrali. Vogeley e colleghi (2001) sono stati i primi a rilevare che nella rappresentazione di stati mentali riguardanti il sé sarebbe implicato specificamente il lobo parietale inferiore; esso sarebbe coinvolto anche nelle ricerche che indagano la distinzione tra azioni prodotte dal soggetto e azioni prodotte da altri (Ruby, Decety, 2001). Nella rappresentazione di stati mentali riguardanti l’altro sarebbe implicato specificamente il solco temporale superiore (Gallagher, Frith, 2003). Inoltre vi sarebbero anche ampie regioni coinvolte in entrambe le tipologie di rappresentazioni. Queste zone cerebrali comuni alla rappresentazione di stati mentali relativi al sé e all’altro sarebbero suddivisibili in due ampi gruppi: le strutture del sistema limbico e paralimbico, comprendenti l’amigdala, la corteccia orbitofrontale, la corteccia prefrontale ventrale e dorsale, il giro cingolato anteriore; le strutture della corteccia prefrontale, incluse la corteccia prefrontale dorsale e mediale e la corteccia frontale inferolaterale.
Data la varietà di modi in cui l’empatia può essere definita, probabilmente la posizione meno controversa da prendere è che essa coinvolga aspetti sia affettivi che cognitivi (Pfeifer, Dapretto, pp. 185-187, in Decety, Ickes, 2009). Le componenti affettive possono includere qualche genere di sentimento condiviso o di risonanza emotiva, che può essere conscia o meno. Questa risposta affettiva potrebbe provocare, derivare da o essere concomitante con le componenti cognitive dell’empatia, incluso il ragionamento esplicito riguardo allo stato emotivo di un altro individuo come il mantenere la distinzione tra se stessi e gli altri. Gli studi che esaminano le componenti cognitive dell’empatia confrontano tipicamente l’immaginare o l’osservare situazioni emotive o spiacevoli che accadono a se stessi versus un altro individuo. Una regione attiva in modo consistente in tutti questi tipi di studi è il lobulo parietale inferiore, ch’è un’area associata con un’integrazione multisensoria. La lateralità dell’attività in quell’area (più forte nel LH per le prospettive inerenti al sé e nel RH per quelle inerenti agli altri) potrebbe supportare il processo dell’operare le distinzioni tra il sé e gli altri o dell’attribuzione dell’azione (Decety, Grezes, 2006; Lamm et al., 2007). Vicino, e piuttosto difficile da distinguere negli studi di neuroimmagine funzionale, c’è la giuntura temporoparietale. L’attività in essa, particolarmente nel RH, è stata associata con la determinazione dei contenuti degli stati mentali degli altri (Saxe, Wexler, 2005). Altre due regioni di frequente implicate nei compiti di adozione del punto di vista o di mentalizzazione comprendono i poli temporali e la corteccia prefrontale mediale (Amodio, Frith, 2006). In aggiunta al reclutamento di regioni specificamente coinvolte nell’adozione del punto di vista, il cervello potrebbe distinguere le esperienze personali interne da quelle esterne in due modi: attraverso la latenza della risposta – i dati relativi alla misurazione dei tempi mostrano che le regioni neurali le quali producono risposte simili ad entrambe le prospettive rispondono ancora in anticipo quando le esperienze coinvolgono o sono dirette al sé invece che agli altri; e attraverso la dimensione della risposta – queste regioni rispondono anche più intensamente ai punti di vista relativi al sé rispetto a quelli relativi agli altri (Decety, Grezes, 2006).
L’esaminare quindi i correlati neurali dell’adozione del punto di vista e delle distinzioni tra il sé e gli altri evidenzia i modi in cui il cervello supporta l’empatia attraverso mezzi cognitivi relativamente espliciti che sono disitinti dai processi che supportano altri tipi di cognizione sociale e non sociale. Questo approccio è parallelo agli approcci comportamentali nel suggerire come la mentalizzazione – il ragionare riguardo agli stati mentali di altri – sia realizzata dalle teorie della naive psychology, che possono essere fatte derivare da moduli innati di dominio specifico (Baron- Cohen, 1995; Lesile, 1987) o sviluppati durante l’infanzia (Gopnik, Meltzoff, 1997), ma che, fatto
assai importante, sono unici in relazione al pensare riguardo ad altri individui. Un approccio alternativo concepisce la mentalizzazione non in termini di serie speciali di regole e processi usati per pensare riguardo ad altri individui, ma piuttosto in termini di come la conoscenza dei propri pensieri e sentimenti può essere usata per capire gli altri attraverso la simulazione, usando il sé come un modello o implicito (Gallese, 2006; Gallese, Goldman, 1998) o esplicito (Decety, Grezes, 2006).
Una serie di studi di neuroimmagine ha dunque esaminato i patterns di attività che sono comuni ad una varietà di situazioni emotive o affettive sperimentate dal sé o testimoniate in altri, che tipicamente centrano l’attenzione sugli aspetti affettivi dell’empatia. Per esempio, network condivisi nella corteccia cingolata anteriore e nell’insula anteriore sembrano essere coinvolti sia nel sentire il dolore sia nell’osservare qualcun altro fare esperienza del dolore (Lamm et al., 2007; Jackson et al., 2006). In modo simile, l’essere disgustati e l’osservare il disgusto degli altri sono esperienze associate entrambe all’attività nell’insula anteriore e nelle aree adiacenti del giro frontale inferiore (Keysers, Gazzola, 2007). Di notevole interesse è poi un network specifico che si ritiene comprenda una rappresentazione mentale condivisa per le azioni in generale (piuttosto che per emozioni specifiche o esperienze affettive) senza badare alla loro origine: il sistema dei neuroni specchio, di cui si è discusso nei capitoli precedenti.
Nella prima parte del periodo tra i tre e i quattro anni l’immaginazione è quasi esclusivamente realizzata nel fingere di giocare con oggetti o altri individui. I bambini hanno bisogno di avere questi puntelli del mondo reale per sostenere i loro voli di fantasia. Tuttavia intorno ai quattro anni molta dell’azione nel gioco è colta dal linguaggio, e inoltre nei bambini dai quattro ai cinque anni è il linguaggio narrativo, piuttosto che gli appoggi e le persone, che vince per quanto riguarda l’attività immaginativa. E così l’immaginazione diventa letteralmente l’immaginazione letteraria, con parole che diventano i partecipanti principali nelle sequenze immaginative – le entità che fanno accadere le cose (Gardner, 1982, p. 173).
Siamo spesso in grado di immaginare la situazione affrontata da altre persone e gli obiettivi che perseguono; possiamo quindi immaginare la reazione emotiva che ne deriva per loro, anche senza provare la stessa emozione. Tuttavia in alcune circostanze esperiamo anche noi una vera emozione. Infatti, quando la situazione altrui viene vividamente ricreata, oppure quando la distanza tra noi e le altre persone è ridotta, sulla base della storia personale o di una strategia deliberata, non ci limitiamo a immaginare la situazione affrontata dalle altre persone. Al contrario, iniziamo a viverla come una situazione vera. La nostra emozione corrisponderà alla loro, e potrà avere gli effetti fisiologici di un’emozione genuina, come le lacrime o le palpitazioni. Così esaminati, i sentimenti empatici non riflettono una comprensione più profonda delle vicissitudini altrui. Essi riflettono invece l’atteggiamento che assumiamo di fronte a tali eventi: possiamo tenerli a distanza, vivendoli come appartenenti al mondo del possibile o della finzione, oppure possiamo accostarci ad essi in misura maggiore e coinvolgerci come accade negli eventi reali (Harris, 1991, p. 85).
Capitolo XVII