15. Comprensione e interpretazione tra emozione e cognizione.
15.1 Empatia, neuroni specchio e linguaggio
L’empatia, una indiretta e spontanea condivisione di affetti, può essere provocata dall’essere testimoni dello stato emotivo di un altro, attraverso l’ascolto della sua condizione o anche la lettura di essa (Keene, 2007). Il termine “empathy” venne coniato da E. Titchener nel 1909 come traduzione del termine tedesco “einfuhlung” (sentire dentro), utilizzato nella seconda metà dell’’800 a proposito dell’esperienza psicologica di godimento estetico. Con questo termine Lipps (1905) aveva voluto sottolineare il fatto che gli oggetti dell’esperienza estetica non sono solo osservati, ma emotivamente compartecipati (Bonino, 2006, p. 384-385). Tale partecipazione emotiva dà luogo alla tendenza mimetica ad assumere in modo inconsapevole una postura corrispondente. Più in generale comporta che chi osserva un certo gesto in un’altra persona si identifichi a tal punto da provare ciò che l’altro sta provando, manifestando la tendenza ad imitare il suo stesso gesto. Anche se la definizione di Lipps si applica a ciò che oggi si preferisce definire “contagio emotivo”, è significativa l’enfasi che sin dai primi studi è stata posta sull’aspetto affettivo dell’empatia. La teorizzazione recente è concorde nel considerare l’empatia un’esperienza sostanzialmente affettiva di condivisione, mediata da processi cognitivi di diversa complessità; ne deriva che l’empatia è considerata un fenomeno multidimensionale e non unitario. Si è giunti a comprendere che non esiste l’empatia in sé, ma che esistono diversi tipi di empatia che si collocano lungo un continuum che va dalle forme più indifferenziate e meno mediate (vale a dire dal contagio, automatico e privo di mediazione cognitiva) a quelle più differenziate e cognitivamente controllate e mediate. Una conferma degli studi psicologici sul contagio è venuta dai più recenti studi neurofisiologici sui neuroni specchio, che si attivano quando un animale osserva un altro animale compiere un movimento e sono alla base dei comportamenti imitativi automatici. A differenza del contagio, l’empatia vera e propria richiede la capacità di riconoscere che gli altri vivono degli stati emotivi differenziati dai propri, che sono discriminati in modo corretto e appropriato, sulla base degli indici trasmessi dai diversi canali espressivi (facciali, gestuali, posturali, ed eventualmente anche verbali). La capacità di riconoscimento delle emozioni è oggi ritenuta un prerequisito indispensabile per l’assunzione della propspettiva dell’altro e per la condivisione empatica. Accanto agli stimoli espressivi svolgono un ruolo importante anche quelli situazionali, vale a dire le concrete situazioni che si associano a particolari stati emotivi. Queste ultime possono suscitare una risposta emotiva solo grazie a un processamento cognitivo, in quanto vengono collegate dal soggetto ad una situazione emotivamente significativa. I processi che mediano la risposta agli stimoli situazionali
sono stati identificati nel condizionamento classico e soprattutto nell’associazione diretta. Sono coinvolte anche la capacità di attribuire correttamente a un evento una causa e quella di generalizzare ad altre persone una certa condizione emotiva, sulla base della propria personale esperienza. Hoffman (1984) parla di empatia egocentrica, nella quale gli stati interni dell’altro restano di fatto oscuri, e il soggetto tende ad attribuire agli altri lo stato emotivo che egli stesso ha sperimentato in situazioni simili. Strayer (1989) parla di una risposta parallela all’emozione dell’altro, sollecitata dalla situazione osservata, e dall’associazione tra quest’ultima e la propria esperienza.
L’empatia più evoluta richiede la massima differenziazione tra l’emozione propria e quella altrui, ed è caratterizzata dal saper condividere, in modo vicario, le emozioni di un altro distinte dalle proprie; diventa così possibile comprendere che il vissuto di un’altra persona può essere molto diverso dal proprio in una situazione simile. Sono essenziali il decentramento da sé, la capacità di assumere la prospettiva dell’altro e la rappresentazione del vissuto dell’altro. L’analisi di quest’ultimo aspetto è stata stimolata, in particolare, dai recenti studi sulla teoria della mente, i quali hanno indagato la capacità di rappresentarsi che cosa un’altra persona si sta rappresentando, di pensare che cosa l’altro pensa (metarappresentazione o rappresentazione di secondo livello).
L’analisi più approfondita dell’evoluzione dell’empatia basata sulla capacità di rappresentarsi gli stati interni dell’altra persona è stata effettuata da Strayer (1993), le cui ricerche hanno evidenziato un aumento della capacità di esperire questo tipo di empatia solo a partire dalla fanciullezza, intorno ai sei-sette anni; anche nell’adulto essa si manifesta con maggiore difficoltà in situazioni di forte coinvolgimento. La capacità di assumere la prospettiva e il ruolo dell’altro è considerata un mediatore cognitivo che rende possibile una condivisione altamente differenziata, ma non si identifica con essa. L’empatia evoluta mediata dalla rappresentazione cognitiva del vissuto altrui è stata definita da Stayer “empatia per risposta partecipatoria”, e da Hoffman “empatia per i sentimenti di un altro”. Al livello massimo di mediazione cognitiva Hoffman pone l’empatia per le condizioni generali di vita di un’altra persona, basata sulla capacità di immaginare situazioni non direttamente osservabili, e l’empatia per interi gruppi sociali; tali capacità diventano possibili solo a partire dall’adolescenza.
Sebbene l’empatia interessi diverse discipline, gli psicologi dello sviluppo e sociali l’hanno studiata nel maggiore dettaglio. Recenti sviluppi negli studi di psicologia della letteratura ed in particolare di linguistica cognitiva hanno diretto l’attenzione su questo tema specialmente in relazione a quello dell’esperienza incorporata, come si è visto in precedenza.
Gli studi condotti mediante fMRI hanno offerto nuove occasioni di riflessione sull’empatia (Keene, 2007). Tania Singer e colleghi (2004) hanno documentato le risposte empatiche dei partecipanti all’esperimento posti a confronto con la testimonianza del dolore fisico di un’altra persona. Questo studio ha aperto nuove vie nella dimostrazione del motivo per cui una persona percepisce di avvertire il dolore di un altro, mentre non sta letteralmente facendo esperienza dell’identica sensazione provata da quello. Singer ha confrontato ciò ch’era accaduto nel cervello di un soggetto in preda a shock, quando le regioni del dolore del sistema limbico (la corteccia cingolata anteriore, l’insula, il talamo e la corteccia somatosensoria) erano accese durante la fMRI, con l’aspetto che il cervello ha evidenziato durante l’osservazione del dolore di un altro. Quando nella stessa stanza i soggetti hanno guardato una persona a cui volevano bene mentre riceveva un dolore acuto, hanno mostrato risposte attive nelle parti affettive della matrice cerebrale del dolore (nell’insula anteriore e nella corteccia cingolata anteriore, nel cervelletto laterale e nel tronco encefalico), ma non nella corteccia somatosensoria del cervello. Le aree affettive del cervello hanno risposto sia al dolore reale che a quello immaginato. Un individuo che non sta attualmente provando dolore, ma sta osservando una persona amata che riceve un trauma, ha mostrato l’attivazione cerebrale delle aree emozionali corrispondenti, ma non di quelle sensorie. L’empatia da sola non ha acceso le aree sensorie del dolore. Singer e colleghi concludono che l’empatia è mediata dalla parte del network del dolore associata con le qualità affettive dello stesso, ma non con le sue qualità sensorie. Essi hanno osservato che i soggetti con i risultati più alti nei test relativi all’empatia generale hanno
mostrato attivazioni più intense in aree stimolate in modo significativo quando i soggetti hanno percepito che il loro partner provava dolore. Essi hanno scoperto anche che gli stessi effetti empatici potrebbero essere suscitati senza un segnale emozionale – in altre parole, i soggetti non avevano bisogno di vedere i loro partner assumere espressioni facciali di dolore per mostrare risposte empatiche. Un segnale “arbitrario” indicante lo stato emotivo di un altro era sufficiente per suscitare empatia.
Alle domande sul come e perché l’empatia funzioni nei corpi e nei cervelli degli esseri umani si può ancora rispondere soltanto con congetture teoretiche riguardo al substrato fisiologico, sebbene la ricerca basata sulla fMRI sopra descritta e i recenti avanzamenti nello studio dei neuroni specchio abbiano condotto i ricercatori più vicini all’obiettivo di quanto non siano mai stati in precedenza. Si ricordi che l’amigdala, la corteccia temporale anteriore e la corteccia orbitofrontale, così come la sincronia fisiologica del sistema nervoso autonomico sono probabilmente coinvolti nell’empatia, come suggerisce l’evidenza clinica della menomazione emotiva in soggetti con danni cerebrali derivanti da patologie nervose acute o croniche (Rosen et al., 2002). Preston e de Waal (2002) propongono che vedere o immaginare un altro che si trovi in uno stato emozionale attivi rappresentazioni automatiche di quello stesso stato nello spettatore, incluse le risposte a livello fisico e nervoso. Essi ritengono che i processi dell’empatia probabilmente consistano in veloci processi subcorticali riflessivi (direttamente dalla corteccia sensoria al talamo e all’amigdala per la risposta) e in processi corticali più lenti (dal talamo alla corteccia e all’amigdala per la risposta). In modo approssimativo questa descrizione fa una mappa delle forme di empatia rispettivamente da contagio e cognitiva. Il lavoro di Singer conferma questa ipotesi. Le condizioni di vantaggio delle risposte automatiche sono fondate sulla velocità. Le Doux (1996) ha scritto riguardo al modo in cui le risposte inerenti alla paura nell’amigdala forniscono una risposta veloce, e possibilmente tale da salvare la vita, alle minacce provenienti dall’ambiente, che in seguito possono essere valutate poiché la valutazione cognitiva delle minacce leggermente più lenta entra in azione. Ciò che talvolta è definito empatia primitiva può funzionare nello stesso modo, fornendo una prima veloce risposta emotiva alla vista o all’apprendimento inerenti allo stato emozionale di un altro, prima che si verifichi una valutazione cognitiva attraverso una deliberata assunzione di ruolo. Questa descrizione è in accordo con la teoria dell’emozione di Rolls (2002), il quale ipotizza che i meccanismi del cervello umano procurino due percorsi d’azione: uno è un rapido prompt inconscio per una risposta comportamentale, l’altro consiste in una capacità di pianificazione razionale più lenta e mediata dal linguaggio.
L’empatia primitiva, ossia il fenomeno relativo ad emozioni spontaneamente corrispondenti, suggerisce che gli esseri umani sono sostanzialmente simili l’uno all’altro, con una serie limitata di variazioni. Hoffman (2000) crede, per esempio, che le somiglianze strutturali nei sistemi di risposta fisiologica e cognitiva degli individui causino il fatto che sentimenti simili siano evocati da sentimenti simili. Singer e colleghi ritengono che la nostra sopravvivenza dipenda dal funzionamento efficace nei contesti sociali, e che l’emozione che altri avvertono empatizzando contribuisca a quel successo. Essi suggeriscono che la nostra abilità nell’empatizzare si sia evoluta da un sistema per rappresentare i nostri stati corporei interni e gli stati di emotivi soggettivi fino a noi stessi (2004). In altre parole l’empatia prenderebbe parte ad una teoria della mente che connette ri-rappresentazioni di secondo ordine di altri con il sistema che ci permette di predire i risultati degli stimoli emozionali per noi stessi. Ricerche recenti suggeriscono la presenza di un meccanismo a livello neurale che permetterebbe tali rappresentazioni delle azioni degli altri, incluse le espressioni facciali e le posture corporee che possono comunicare stati emozionali: si tratta, come si vedrà meglio più avanti, dei neuroni specchio, che sparano non solo quando si compie un’azione, ma anche quando si osserva un altro che compie la stessa azione. Essi procurano una base per comprendere la lettura della mente da parte dei primati, compresa l’empatia umana (Gallese et al., 2002). Singer postula peraltro un sistema per la rappresentazione dei sentimenti di altri che prende parte al compito di permetterci di comprendere motivi, credenze e pensieri altrui. Questo lavoro
supporta dunque le teorie della psicologia evoluzionistica che enfatizza la funzione adattiva delle nostre relazioni sociali (Cosmides & Tooby, 1992).