6. La comprensione in recenti esperimenti di neuroscienza cognitiva.
6.2 Trovare un senso in ciò che accade: la corteccia prefrontale dorsomediale (dmPFC).
Uno dei più importanti risultati degli studi recenti sulla comprensione del testo è l’importanza della corteccia prefrontale dorsomediale (Ferstl et al., 2005; Schmalhofer et al. 2004; Sieborger et al., 2005). Distinta dalla regione leggermente più dorsale in BA 6/8, che è stata di recente associata con la processazione in stato di incertezza e con quella connessa all’errore (Volz et al., 2003), la corteccia prefrontale dorsomediale (BA 8/9/10) sembra essere la più probabile come regione dell’inferenza. In aggiunta ai risultati degli studi che usano il compito di giudizio della coerenza, questa conclusione è supportata dalle scoperte derivanti dagli esperimenti sul ragionamento e dagli studi sui giudizi valutativi. Tuttavia c’è una varietà di altre proposte per la funzione della dmPFC anteriore, che comprendono le riflessioni su uno stato di default in assenza di stimolazione, sui processi autoreferenziali, sui giudizi morali e sull’emozione (Molle et al., 2002). La considerazione più importante connette la dmPFC ai processi della teoria della mente (Frith, Frith, 2003; Saxe et al., 2004). La teoria della mente o mentalizzazione si riferisce all’abilità di attribuire le azioni e le intenzioni di altri alle loro credenze, motivazioni e obiettivi. E infatti la comunicazione e la teoria della mente sono così strettamente interconnesse che sarebbe impossibile separare queste due forze che guidano il comportamento. Da una parte il ragionamento complesso sulle credenze e sulle motivazioni, per esempio nel contesto di un compito di inganno, è facilitato dal linguaggio. Dall’altra la comprensione del testo narrativo coinvolge lo stato della mente dei protagonisti, inclusi i loro obiettivi e le loro emozioni. Dunque Frith & Frith (2003) sostengono che le scoperte sull’attivazione della dmPFC potrebbero riflettere processi concorrenti di teoria della mente piuttosto che particolari attività di inferenza durante la comunicazione. Più specificamente, Gallagher & Frith (2003) hanno postulato che la funzione della dmPFC durante i processi della teoria della mente riguardi il disaccoppiamento dell’informazione dalla realtà. All’opposto i lobi temporali anteriori, che pure sono spesso impegnati durante i compiti della teoria della mente, sono visti come tali da giocare un ruolo nel recupero dei ricordi personali o episodici che consentono una “simulazione dello stato della mente dell’altro” (Vogeley et al., 2001). Non è facile argomentare contro questa proposta e potrebbe essere che le teorie della comprensione del testo debbano essere estese fino ad includere questo aspetto della comunicazione. Tuttavia, adottando questo punto di vista, è una sorta di sfida il fare previsioni riguardanti le circostanze in cui la dmPFC dovrebbe essere particolarmente coinvolta. Perché è più attiva durante l’elaborazione di processi coerenti paragonati a quelli incoerenti? Sulla base dei risultati di uno studio cha ha separato con successo i processi di inferenza da quelli di teoria della mente (Ferstl & von Cramon, 2002), si può postulare un processo più generale che includa sia le componenti di teoria della mente che il produrre inferenze. Questa descrizione fa uso dell’osservazione secondo cui i pazienti con lesioni in quest’area hanno problemi di impulso e di motivazione (Marin, 1991). Dunque la funzione della dmPFC è relativa ad un’integrazione del mondo interiore e della stimolazione esterna. Questa funzione è strettamente connessa al sé di chi comprende e di conseguenza è coinvolta in una larga varietà di compiti, non solo di quelli che usano stimoli autoreferenziali. Tuttavia ciò che è importante nell’ambito degli studi di comprensione del testo è che l’attivazione della dmPFC è osservata quando la sequenza temporale del compito tiene conto della formazione di ipotesi, quando non c’è una risposta giusta o sbagliata ma deve essere stabilito un criterio tipico di risposta, o quando gioca un ruolo la conoscenza previa o l’informazione contestuale. Quest’ultima componente, l’integrazione di nuove informazioni con il contesto di discorso precedente o la conoscenza di background, si riflette spesso nell’attivazione della corteccia cingolata posteriore, che è stata interpretata come connessa all’aggiornamento del modello situazionale. Dato lo stretto legame alla dmPFC attraverso le connessioni pericallosali, si può arguire che l’attivazione accoppiata delle regioni frontomediali e parietomediali rifletta componenti differenti del processo appartenente allo stesso dominio e nello stesso tempo indipendente.
Capitolo VII
7. Le emozioni
Si è visto come i processi della lettura del testo letterario coinvolgano arousal emotivi come componente sinergica dei processi interpretativi, processi inferenziali, che si dimostrerà come siano caratteristici anche della processazione metaforica, e processi cognitivo-emotivi legati alla mental imagery. Si procederà ora nell’analisi rispettiva di questi tre temi con l’approccio consueto di ordine psicologico, cognitivo e neurocognitivo.
Secondo Kagan (2007, p. 40), l’ampio dominio dell’emozione umana consiste in quattro gruppi di relazioni indeterminate e liberamente connesse: eventi che fungono da stimolo e cambiamenti nello stato del cervello, cambiamenti nello stato del cervello e sentimenti, con o senza un’involontaria risposta motoria, sentimenti percepiti e interpretazione simbolica imposta ad essi, e sentimenti e comportamenti interpretati.
D’altra parte vale la pena di proporre la definizione data da Antonio Damasio (1999) riguardo all’emozione, che tornerà assai utile nel prosieguo del lavoro.
Lo studioso sostiene che l’emozione e i meccanismi biologici ad essa sottesi sono componente obbligata del comportamento, sia esso conscio o meno. Qualche stadio emotivo è il contorno obbligato del pensiero riguardo a se stessi o all’ambiente che ci circonda. La pervasività dell’emozione nel nostro sviluppo, e di conseguenza nella nostra esperienza quotidiana, connette virtualmente ogni oggetto o situazione nella nostra esperienza, tramite la virtù del condizionamento, ai valori fondamentali della regolazione omeostatica: piacere o dolore, avvicinamento o arretramento, vantaggio o svantaggio personale e, inevitabilmente, bene, nel senso della sopravvivenza, o male, nel senso della morte.
In sostanza, per Damasio (1999, p. 51 e segg.) le emozioni sono complicati insiemi di risposte chimiche e neurali che formano uno schema, un modello; tutte le emozioni hanno un qualche tipo di ruolo regolativo da attuare, che conduce in un modo o nell’altro alla creazione di circostanze vantaggiose per l’organismo che presenta il fenomeno; le emozioni esistono con riguardo alla vita di un organismo, al suo corpo, per essere precisi, e il loro ruolo è assistere l’organismo nel mantenere la vita.
Nonostante la realtà secondo cui l’apprendimento e la cultura alterano l’espressione delle emozioni e danno ad esse nuovi significati, le emozioni sono processi biologicamente determinati dipendenti da gruppi innati di dispositivi cerebrali costruiti nel corso di una lunga storia evolutiva. I meccanismi che producono le emozioni occupano un insieme abbastanza ristretto di regioni subcorticali, che iniziano al livello della parte di cervello posta tra il diencefalo e la spina dorsale e arriva alle posizioni cerebrali superiori, come si vedrà successivamente (sistema limbico, amigdala e aree orbitali e mediali del lobo frontale, cfr. Purves et al., 2008, p. 733); i dispositivi sono parti di un insieme di strutture che regolano e rappresentano gli stati del corpo; tutti i meccanismi possono essere attivati automaticamente, senza una deliberazione conscia; la considerevole entità delle variazioni individuali e il fatto che la cultura giochi un ruolo nell’approntare alcuni elementi induttori non impedisce di ribadire la fondamentale stereotipicità, l’automatismo e lo scopo regolativo delle emozioni.
Tutte le emozioni usano il corpo come loro teatro (milieu interno, sistemi viscerale, vestibolare e muscoloscheletrico), ma le emozioni influenzano pure le modalità operative di numerosi circuiti cerebrali: la varietà delle risposte emotive è responsabile di profondi cambiamenti sia nell’ambito del corpo che del cervello. L’insieme di questi cambiamenti costituisce il substrato delle configurazioni neurali che eventualmente diventano sensazioni delle emozioni.
Il passaggio dall’emozione al sentimento, all’avvertimento del sentimento, è un processo che può essere diviso in cinque parti: 1) coinvolgimento dell’organismo attraverso un induttore di emozione, per esempio un particolare oggetto processato dal punto di vista visivo (si veda successivamente come il concetto di embodied cognition consenta di connettere la visione e l’imagery, per cui il substrato neurale dell’occhio della mente coinvolge elementi della visione inerenti all’informazione visiva propriamente detta: se ne deduce che già l’immaginazione della metafora è il luogo di uno stimolo di tipo emotivo), la cui risultante siano le rappresentazioni visuali dell’oggetto (visivo, proprio del processo della visione, visuale proprio del processo di produzione della immagine mentale, essa stessa in rapporto con apparati neurali si tipo sensorio motorio, come si nota in Gallese, Lakoff, 2005). L’oggetto può essere o meno una costruzione conscia e può essere o meno riconosciuto, perché né la consapevolezza conscia dell’oggetto, né il riconoscimento dell’oggetto sono necessari per la continuazione del ciclo. 2) I segnali conseguenti alla processazione dell’immagine dell’oggetto attivano siti neurali che sono programmati per rispondere alla particolare classe dell’induttore a cui l’oggetto appartiene. 3) I siti di induzione dell’emozione provocano una serie di risposte verso il corpo e verso altre aree cerebrali e scatenano l’intera gamma di risposte di corpo e cervello che costituiscono l’emozione. 4) Le mappe neurali del primo ordine, sia nelle regioni subcorticali che corticali, rappresentano cambiamenti nello stato del corpo, senza considerare se essi sono stati realizzati attraverso un ciclo corporeo (“body loop”), come se questo ci fosse o attraverso i due meccanismi combinati. Emergono i sentimenti. 5) Lo schema dell’attività neurale a livello delle aree di induzione dell’emozione si associa in strutture neurali di secondo ordine. Il proto-sé viene alterato da questi eventi: i cambiamenti che intervengono in esso sono pure collegati in strutture neurali di secondo ordine.
Una descrizione degli eventi precedenti, proposta sottolineando una relazione tra oggetto dell’emozione, l’attività a livello di aree di induzione dell’emozione e il proto-sé viene di conseguenza organizzata in strutture successive di secondo ordine. Dunque non c’è uno stato centrale di sensazione prima che si verifichi la rispettiva emozione, dato che l’espressione dell’emozione precede la sensazione. Il fatto interessante riguardo a questi tre fenomeni – emozione, sensazione, coscienza - è la loro relazione con il corpo: questi tre processi dipendono per la loro esecuzione dalle rappresentazioni dell’organismo e la loro essenza condivisa è il corpo. L’emozione è dunque un insieme complesso di interazioni tra fattori soggettivi e oggettivi, mediati dai sistemi neurali e ormonali (D’Urso, in Barale et al., 2006, p. 374 e segg.), ed è in genere indotta da un evento nel mondo esterno, l’evento emotigeno, suscita un’esperienza consapevole di piacere o dispiacere, uno stato più o meno accentuato di attivazione fisiologica o arousal, ha un contenuto specifico che dà il suo colore a ogni diversa esperienza emotiva, si presenta con un volto caratteristico e con una specifica tendenza all’azione. L’emozione influenza profondamente i processi cognitivi, in particolare la memoria, la percezione e le decisioni. Essa attiva adattamenti fisiologici diffusi e specifici che sono congrui rispetto ai comportamenti indotti dall’emozione in questione; in linea di massima questi comportamenti sono diretti a uno scopo e hanno una funzione adattiva. Le emozioni si distinguono dagli stati d’animo perché questi ultimi non conseguono ad eventi precisi, sono stati affettivi dei quali si ha una consapevolezza più sfocata e imprecisa, generalmente non si accompagnano a modificazioni fisiologiche o a specifiche tendenze all’azione. Le ricerche confermano la tesi secondo cui le emozioni sono essenzialmente reazioni funzionali, cioè risposte che esistono nella specie umana perché tendono a migliorare l’interazione dell’individuo con l’ambiente. In genere il rapporto tra processi cognitivi ed emotivi viene considerato un rapporto tra principi diversi per motivi essenzialmente culturali, sia perché il nostro modo di pensare predilige la contrapposizione di principi opposti, sia perché si tende a denominare in modo peculiare fasi diverse di un unico processo di elaborazione mentale. Gli stati emotivi guidano decisamente l’attenzione, le preferenze, i giudizi e i processi inferenziali, ma non si tratta di errori del pensiero, anzi, poiché l’emozione ha come fine immediato quello di segnalare dov’è il
nostro interesse e quali sono gli scopi per noi prevalenti, ne consegue che anche l’elaborazione cognitiva è dominata in tal senso.
Le emozioni risultano dunque essere “processi transazionali atti a stabilire, mantenere o modificare le relazioni dell’individuo con l’ambiente (esterno o interno). Un evento o oggetto (interno o esterno) suscita emozione se è rilevante per gli scopi, interessi, bisogni e desideri (inconsapevoli o consapevoli) di un individuo e se è intrinsecamente piacevole o spiacevole. L’emozione è dunque un segnale della rilevanza degli eventi e ha effetti regolatori intra- e inter-personali (ad esempio la gioia segnala all’organismo che l’interazione in corso è piacevole e lo motiva a continuarla)”. Questa sottolineatura teorica evidenzia la funzione adattiva delle emozioni, per cui se ne deduce che competenza emotiva è “la capacità dell’individuo di instaurare, mantenere o modificare tali transazioni in modo efficace e socialmente adeguato”. Essa consiste nella consapevolezza delle emozioni proprie e altrui, nella conoscenza delle “regole di esibizione” delle emozioni, nella capacità di capire e utilizzare il lessico emozionale della propria cultura. Può aumentare o regredire, e variare da un individuo all’altro: se è adeguata a sé e alle circostanze consente di aumentare l'autostima, perché permette di affrontare le emozioni negative “regolandone l'intensità, la durata e la frequenza (cioè padroneggiando la propria esperienza); viceversa, la non - efficacia implica essere travolti dall’intensità, enormità o complessità delle proprie emozioni e reagire agli eventi con l’’inibizione’ e l’’inattività’. L’autoefficacia presuppone il riconoscere e desiderare un certo grado di equilibrio negli stati emotivi, e il sapere come attuarlo” (Zammuner, 2002, pp. 125 – 126 e 129). Va poi ricordato che l’emozione è “un processo che agisce in modo significativo sulle rappresentazioni mentali e sulle motivazioni”, per cui una competenza emotiva evoluta, che consenta di riconoscere e controllare le proprie emozioni, di cogliere quelle altrui, di modularne la manifestazione e di gestirne gli effetti interni, promuove tendenze all’azione e spinte motivazionali, oltre ad essere prova di maturazione cognitiva e sociale (D’Urso, 2002, pp. 223 – 224).
Pertanto le emozioni possono essere considerate “meccanismi essenzialmente adattivi, disponibili all’organismo per affrontare l’ambiente, che vengono attivati da specifici stimoli ambientali; esse si costituiscono come elementi di mediazione fra gli eventi ambientali in continuo cambiamento e le risposte comportamentali dell'uomo” (Ricci Bitti, 2002, p. 225), il quale è in grado di rappresentarsi “gli stati emotivi altrui cogliendone i segnali espressivi, che possono essere di varia natura: mimici, pantomimici, prossemici, ma anche prosodici ed esplicitamente verbali. Il riconoscimento di questi segnali, congiunto alla conoscenza più o meno schematica della situazione e delle cause scatenanti, ci porta poi a compiere una serie di inferenze e di previsioni sulla dinamica e sull’articolazione dei sentimenti del nostro interlocutore, fino a formulare anticipazioni più o meno esplicite delle sue azioni” (Battistelli, 1997, p. 147).
In definitiva le emozioni sono le “matrici del senso del sé” e “rappresentano il sostrato della vita interiore e della vita di relazione”; dal confronto con esse la persona è condotta a sapere chi è e dove sta andando, identificandole ottiene “un’occasione preziosa per conoscersi e comprendersi, per conoscere e comprendere gli altri, per accettare la propria affettività e quella altrui”. Si tratta di un tema che la pratica educativa tiene in considerazione, dato che la padronanza di sé e l’autonomia implicano il controllo e l’affinamento dell’emotività, non la sua riduzione o disattivazione (Rossi, 2002, pp. 9 – 13).
Per comprendere quali siano i circuiti neurali coinvolti nell’esperienza emotiva (Balconi, 2004, p. 37) occorre determinare più specificamente quali strutture cerebrali intervengono a livello superiore nel controllo delle componenti autonomiche e periferiche. Innanzitutto è necessario tratteggiare le funzioni del sistema limbico. Esso è costituito da un substrato anatomico di sistemi corticali primitivi collocati attorno al tronco encefalico, chiamato da Broca lobo limbico e includente alcune strutture come l’ipotalamo, l’ippocampo, i corpi mammillari, il talamo anteriore e la corteccia del cingolo. Il sistema limbico è filogeneticamente il sistema più antico tra le strutture cerebrali e svolge alcune funzioni psicologiche prioritarie, grazie al fatto che esso possiede una rete articolata
di connessioni con molteplici strutture dei centri corticali superiori, al fine di garantire l’integrazione tra risposte fisiologiche e processi cognitivi. Ad esempio la struttura limbica dell’ipotalamo è connessa alla corteccia, consentendo la diffusione delle informazioni a livello superiore. Ulteriori componenti anatomiche del sistema di processazione delle emozioni sono l’amigdala, i gangli della base, i nuclei del setto e la corteccia frontale. L’amigdala ha alcuni nuclei interconnessi con l’ipotalamo, la formazione ippocampale, la neocorteccia e il talamo. Distinguiamo in particolare i due nuclei principali che intervengono nella regolazione degli stati emotivi: i nuclei del complesso basolaterale e il nucleo centrale. L’amigdala costituisce un punto di raccordo tra il sistema nervoso centrale e quello periferico, con importanti funzioni nel processo cognitivo di comprensione e valutazione della situazione emotiva.
Fra tutte le strutture menzionate la corteccia orbitofrontale e l’amigdala (Gazzaniga et al., 2005) sono emerse come regioni cerebrali la cui funzione primaria è collegata con l’elaborazione dell’emozione. La corteccia orbitofrontale è la porzione della corteccia prefrontale che si trova alla base del lobo frontale e poggia sulla parete superiore della cavità orbitale. Il suo ruolo è quello di regolare le capacità di inibire, valutare e usare le informazioni sociali ed emotive. Si tratta del processo di decisione sociale ed emotiva di cui si parlerà con riferimento al lavoro di Goldberg. Per poter valutare l’utilità delle azioni la corteccia orbitofrontale deve servirsi di informazioni apprese sulle qualità emotive degli stimoli. Si ritiene che l’apprendimento e la memoria emotiva siano supportati da altre strutture cerebrali interconnesse: la principale tra queste è appunto l’amigdala. Pertanto, dal punto di vista dell’organizzazione neurale, tre componenti sono importanti nella percezione delle emozioni (Dougherty, Shin, Rauch, 2008): l’identificazione del significato emozionale dello stimolo, la produzione di uno stato affettivo in risposta allo stimolo e la regolazione dello stato affettivo. Le moderne tecniche di neuroimmagine funzionale hanno permesso di cominciare a spiegare specifiche regioni del cervello associate con queste componenti della percezione dell’emozione. Poiché un individuo progredisce attraverso questi stadi di processazione dell’informazione emotiva, le regioni del cervello limbico mediano l’identificazione del significato emozionale dello stimolo, mentre la produzione e regolazione dello stato affettivo sono successivamente mediate da quello paralimbico e poi da più regioni cerebrali neocorticali. In modo specifico l’amigdala è principalmente coinvolta nell’identificazione del significato emozionale dello stimolo. Poi sono in primo piano coinvolte nella produzione di uno stato affettivo le regioni paralimbiche ventrali anteriori, come la corteccia prefrontale ventrale (che vedremo implicata nella mediazione della processazione di cambiamenti di gruppi di ipotesi in Vartanian, Goel, 2007), lo striato ventrale e la corteccia cingolata rostroventrale anteriore. Va poi precisato che la corteccia orbitofrontale è un subterritorio della corteccia prefrontale ventrale che si ritiene sia cruciale, come si è visto in precedenza, per la produzione di stati affettivi. Da ultimo va rilevato che regioni neocorticali come la corteccia ventrale prefrontale e la corteccia cingolata anteriore dorsale sono pure implicate nella regolazione degli stati affettivi.
Nell’attuale panorama della ricerca neuroscientifica (Gallese, 2006, pp. 381 e segg.) sulle emozioni si distinguono posizioni come quella di Panksepp (1998) che propone un modello evolutivo delle emozioni privilegiandone gli aspetti sottocorticali. Secondo Panksepp le emozioni di base come la paura, la rabbia, la gioia, le motivazioni primarie e gli affetti sensoriali come il dolore sarebbero determinati dall’attività di una serie di circuiti sottocorticali comuni a tutti i mammiferi, comprendenti strutture del tronco dell’encefalo, come la sostanza grigia periacqueduttale mesencefalica, e connesse con regioni diencefaliche del lobo limbico come l’ipotalamo e l’amigdala. Questi circuiti controllano il comportamento appetitivo e la ricerca di ricompense, rabbia, collera, ansia, paura e il cosiddetto sistema del panico, concernente situazioni sociali di distacco e attaccamento. Partendo da un modello in apparenza radicalmente riduzionista, Panksepp dialoga con la psicanalisi giungendo a suggerire una possibile omologia tra i sistemi sottocorticali dell’istintività emozionale e il mondo freudiano dell’Es. Fondamentali sono anche i contributi di Le Doux (1996), incentrati soprattutto sullo studio dei circuiti nervosi e dei meccanismi
neurofisiologici alla base della paura, e delle reazioni comportamentali e del condizionamento ad essa connessi. Queste ricerche hanno evidenziato il ruolo chiave dell’amigdala nell’orchestrazione di una serie di complessi meccanismi caratterizzanti vari aspetti della vita di relazione, e in particolare delle emozioni. L’amigdala, un complesso di nuclei localizzati nella porzione mediale del lobo temporale, è coinvolta nell’apprendimento e nei processi di memorizzazione implicita, nell’influenza emozionale dei processi attentivi e percettivi, nella regolazione del comportamento emotivo e sociale (Phelps & Le Doux, 2005). L’amigdala riceve afferenze viscerali dal corpo attraverso la proiezione vagale dal nucleo del tratto solitario. Riceve inoltre connessioni sensoriali