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Dalla psicologia cognitiva alla neuroestetica del testo letterario: un inquadramento generale del problema.

5. I processi psicologici dell’interpretazione.

5.1 Dalla psicologia cognitiva alla neuroestetica del testo letterario: un inquadramento generale del problema.

Si cercherà ora di chiarire alcuni concetti chiave inerenti allo studio del fenomeno letterario, i quali hanno due funzioni in ordine alla presente trattazione: quella di riepilogare - ma in termini neuroscientifici - quanto si è detto o toccato sinteticamente finora, e quella di proporre un primo accostamento introduttivo ai correlati neurali di temi chiave come la processazione del testo emotivamente connotato, la metafora, l’emozione, l’immaginazione mentale, l’empatia e la teoria della mente, che, in quanto fenomeni neurofisiologici simultaneamente concorrenti nell’atto della lettura letteraria, saranno successivamente approfonditi alla luce delle più recenti acquisizioni delle neuroscienze cognitive.

Ci sono due elementi standard (Miall, 2009, pp. 235 e segg.) riguardo a ciò che rende letteraria la lettura: il fatto che avvenga un incontro con una ricca e organizzata serie di caratteristiche stilistiche (Miall & Kuyken, 1999) e l’impegno in un rapporto solitamente empatico con i personaggi della narrativa letteraria (Oatley, Mar, 2005).

I conflitti relativi alle emozioni sembrano essere centrali per la complessità estetica dei testi letterari: essi focalizzano l’attenzione del lettore in episodi successivi e organizzano la comprensione da parte del lettore delle questioni chiave. Inoltre i lettori possono sperimentare sguardi introspettivi alla ricerca del significato delle loro emozioni e sottoporsi ad un cambiamento che come risultato produce mutamenti nella comprensione.

Un altro sviluppo a breve termine delle emozioni evocate durante la lettura è il ciclo di defamiliarizzazione-riconcettualizzazione. Nell’incontro con un passaggio stilisticamente ricco gli schemi abituali del lettore possono essere inadeguati per la comprensione: le emozioni evocate dal passaggio forniscono una prospettiva alternativa, dirigendo la ricerca di una nuova comprensione da parte del lettore.

La risultante riconcettualizzazione si verifica nei momenti successivi all’incontro iniziale con il testo. Un’emozione sperimentata durante la lettura nel corso di passaggi particolarmente coinvolgenti spesso contiene un surplus di significato; essa induce un’elaborazione di pensiero maggiore di quella che può essere tenuta in considerazione all’interno del sistema della memoria di

lavoro. Questo può indicare che è stata evocata un’emozione prototipica, connettendo la risposta attuale sia alle precedenti esperienze emotive del lettore, sia alle leggi entro cui l’emozione opera tipicamente.

Dal punto di vista testuale i lettori sono condotti a seguire le emozioni del personaggio (De Vega et al., 1996) e il mondo della sua conoscenza (Graesser et al., 1999). Un testo letterario può fornire un accesso privilegiato alle menti dei personaggi, accrescendo la capacità che fisiologicamente si possiede di “leggere le menti” degli altri (Zunshine, 2006). La lettura letteraria facilita dunque l’indagine relativa alla teoria della mente, fornendo un supporto per l’analisi della simulazione piuttosto che per quella della teoria della teoria (Carruthers, Smith, 1996). Questa capacità offre anche un importante sistema di riferimento per la considerazione dell’empatia, l’abilità di sperimentare le emozioni di un altro come fossero proprie.

Defamiliarizzazione, emozioni, empatia possono essere discussi in rapporto ad alcuni lavori di tipo neuropsicologico. Kane (2004) sostiene che il RH (emisfero destro) controlla un peculiare complesso di processi del linguaggio che sono caratteristici in ordine al testo letterario. Essi includono l’imagery, l’allitterazione, la sinestesia, la sineddoche, la metonimia, il paradosso, l’ironia, la prosodia (cioè il tono emozionale) e le relazioni inerenti alla storia. Le emozioni sembrano essere una componente centrale di tali fenomeni relativi al RH; il tema irrisolto è come l’emozione in questo contesto partecipi a o evochi un’esperienza letteraria in modo distinto, poiché tutte le caratteristiche che Kane cita si può trovare che si verificano anche senza effetto letterario nel linguaggio non letterario.

Mar (2004) delinea le componenti della narrativa ed esamina una serie di meccanismi neuropsicologici che potrebbero esserne il portato a livello cerebrale. Ad esempio, il modello della memoria di lavoro episodica di Baddeley fornisce una struttura di riferimento per sviluppare gli scenari ipotetici della narrativa. La memoria di lavoro è un magazzino di capacità limitata che serve a trattenere per breve tempo le informazioni e inoltre a eseguire operazioni mentali sui contenuti di questo stesso deposito. Il contenuto della memoria di lavoro può derivare dagli input sensoriali tramite la memoria sensoriale, ma può anche essere recuperato dalla memoria a lungo termine. Baddeley e Hitch (1974) hanno proposto un modello di memoria di lavoro a tre componenti, formato da un meccanismo esecutivo centrale che controlla due sistemi subordinati deputati alla ripetizione. Essi riflettono il codice specificamente usato nella ripetizione: il circuito fonologico e il “taccuino” visuospaziale. Il meccanismo esecutivo centrale è un centro di comando che presiede alle interazioni tra i due sottosistemi e la memoria a lungo termine e impone il proprio controllo sopra l’esecuzione routinaria dei comportamenti appresi, quando circostanze insolite richiedono una modifica dello schema d’azione usuale; inoltre coordina e pianifica le azioni.

Il lavoro di Beeman e colleghi dimostra poi la codificazione semantica “a grana grossa” del RH, appropriata per le caratteristiche del testo poetico esaminate da Kane; la teoria della mente che permette inferenze riguardo ai personaggi nella narrativa appare localizzata in parecchie strutture del RH, come si vedrà più avanti. Mar sottolinea anche la sensibilità analitica della scansione cerebrale, che può mostrare differenze nella risposta soprattutto del RH tra una storia presentata sia con che senza un titolo (Mar, 2004, p. 1421).

Sembra poi probabile che la risposta iniziale ad un passaggio posto in primo piano attivi l’amigdala (Robinson, 2005, p. 71). Come osservano Davidson et al. (2003) in un commento che corrisponde bene alla sfida posta dalla messa in primo piano di elementi chiave del testo letterario, l’amigdala gioca un ruolo centrale nel coordinare l’arousal corticale e l’attenzione vigile per ottimizzare la processazione sensoria e percettiva degli stimoli associati con contingenze indeterminate, come nuovi stimoli sorprendenti o ambigui (cfr. Epson e Trimble). La prima risposta rapida (la via bassa piuttosto che la più lenta via alta della processazione cognitiva, secondo Le Doux, 1996) può allora connettersi ai ricordi emozionali che forniscono framework alternativi per assegnare significato all’esperienza.

La ricchezza del significato evocato dalla messa in primo piano appare verificarsi presto nella risposta del lettore. Come hanno mostrato Posner e Di Girolamo (2000), mentre la consapevolezza

di un oggetto dipende dai processi che si verificano nei primi 100 msec che precedono l’input, la differenza tra l’attivazione causata da oggetti nuovi e familiari può essere evidenziata nelle aree visuali ventrali entro 155 msec dopo l’input. Questi fatti indicano inoltre che la processazione di stimoli isolati può verificarsi ad un livello alto: selezionare uno stimolo rispetto agli altri non significa che gli items non selezionati non produrranno un riorientamento dell’attenzione. In altre parole la ricchezza del significato nella messa in primo piano non ha bisogno di essere appresa consciamente per influenzare la processazione.

Come hanno trovato Eckstein e Friederici (2006), gli aspetti prosodici del linguaggio, che includerebbero gli aspetti posti in primo piano, nella processazione sono assunti presto: le incongruità nella prosodia sono percepite 300-500 msec dopo l’attacco della parola, fatto che suggerisce l’influenza immediata della prosodia frasale durante lo stadio iniziale di parsing, di analisi sintattica, nella processazione del discorso. Questa scoperta dimostra una iniziale interazione tra le caratteristiche sintattiche (LH) e quelle prosodiche (RH) del discorso.

Il lavoro di Beeman è basato sulla premessa secondo cui il RH fornisce una codificazione semantica a grana grossa in contrasto con il LH. Dunque le associazioni più distanti di parole sono riconosciute meglio quando sono presentate al campo visuale di sinistra (RH) (Beeman, 1998). L’aspetto interessante di questa ricerca e la sua rilevanza per la comprensione dei processi della riposta letteraria è che mentre il LH tende a selezionare associazioni strette nella fase iniziale della processazione, la capacità del RH solo per associazioni più lontane mostra i suoi vantaggi al di là del tempo, in relazione a problemi di insight di un tipo per cui i processi del LH sono inadatti. Bowden e Beeman (1998) chiesero ai partecipanti ad un esperimento di risolvere problemi di insight in cui erano presentate tre parole: essi dovevano poi trovare una quarta parola che si accoppiasse con ciascuna delle tre per creare frasi familiari. Date per esempio high, district e house, la parola della soluzione era school. Dopo 7 o 15 secondi si è trovato che il RH aveva un priming, un innesco maggiore del LH per la parola della soluzione: i partecipanti la pronunciavano più velocemente quando era presentata nel campo visuale sinistro; ad intervalli più vicini (1,25 o 2 sec.) non è apparso un vantaggio del RH. Gli autori suggeriscono che nella processazione iniziale dominano i processi interpretativi del LH, mentre dopo alcuni secondi la processazione più connotativa del RH mostra il suo vantaggio.

Questa ricerca porta anche argomenti a favore di maggiori poteri predittivi della processazione del RH durante il discorso connesso, come nella narrativa: quando si incontra un’interruzione della coerenza, ne consegue da parte del RH una ricerca di informazioni potenzialmente in grado di operare connessioni, che sono state in precedenza attivate attraverso una menzione esplicita, una relazione stretta con parole di input, o una sovrapposizione da parole di input correlate alla lontana (Beeman et al., 2000). Come chiarisce Grafman (2002), il RH può dunque essere esperto nell’integrare o sintetizzare informazioni in tempo utile, ad esempio trovando la morale di una storia.

Il ruolo del RH nei problemi di insight è confermato da uno studio di neuroimmagine: Bowden et al. (2005) riportano che i risultati di fMRI rivelano un incremento del segnale nel giro temporale superiore anteriore destro per le soluzioni relative all’insight rispetto al mancato insight. In uno studio parallelo Coulson e Wu (2005) hanno studiato le risposte agli scherzi e hanno trovato una risposta di spostamento di struttura attribuibile alla processazione del RH, suggerendo la facilitazione, da parte di questo, di significati correlati a distanza. Tali spostamenti nel significato sono caratteristici dei testi letterari più di quelli non letterari, come ha dimostrato uno studio empirico dei lettori di Meutsch e Schmidt (1985).

Queste osservazioni supportano la funzione teorizzata della messa in primo piano nella risposta letteraria, suggerendo che i processi del RH facilitino una riconcettualizzazione analoga alla soluzione di un problema di insight che si verifica a valle della risposta iniziale.

L’emozione, d’altra parte, dirige la ricerca di un contesto appropriato in cui collocare gli aspetti non familiari della messa in primo piano. Le scoperte sperimentali suggeriscono che gli spostamenti del significato siano inibiti durante questa fase. Un supporto preliminare a questa proposta è stato

fornito da Beeman (1998), che ha riportato come durante la risposta alla narrativa, immediatamente conseguente al punto in cui era possibile un’inferenza, il RH può essere stato inibito poiché i partecipanti non hanno mostrato l’innesco (priming: fenomeno per cui uno stimolo viene identificato o elaborato con maggiore facilità quando sia già stato osservato in precedenza dal soggetto) nel tempo di reazione per i target legati all’inferenza nel RH al tempo in cui l’inferenza doveva essere selezionata per l’incorporazione, mentre mostrano l’innesco nella precisione rispetto a questo stesso tempo, suggerendo che l’informazione è stata attivata al di là della base di rilevamento, ma non era facilmente e rapidamente disponibile per l’output. Questa è l’evidenza per ciò che egli chiama ipotesi di inibizione del tentativo. Ne deriva che l’intervallo temporale qui indicato permette all’emozione un qualche sbocco per testare l’ipotesi, consentendo ad essa di collocare il contesto più appropriato per l’interpretazione. Nella lettura del testo letterario l’esempio più interessante di tale intervallo si verifica durante la risposta al sublime: si potrebbe suggerire che la processazione del LH sia disabilitata, mentre l’inibizione provvisoria del RH corrisponde alla sospensione momentanea del pensiero e dell’emozione.

La conferma della significatività dell’emozione è fornita da uno studio della risposta alla narrativa. In un esperimento di fMRI Ferstl et al. (2005) hanno mostrato che l’attivazione del RH in risposta alle incongruità affettive nell’ambito dei racconti è durata fino a 14 sec dall’attacco della parola. La mappatura delle risposte alle storie ha mostrato una dimensione non verbale ed emozionale della reazione. Dopo essere state suscitate dall’informazione emozionale target, le attivazioni prefrontali orbitofrontali e ventromediali, comprendenti il complesso esteso dell’amigdala (il ruolo della quale sarà approfondito più avanti), mostrano che la componente affettiva dei racconti induce direttamente processi che vanno oltre la comprensione del linguaggio.

Dunque il modello situazionale per queste narrazioni comprende una rappresentazione non verbale e non proposizionale della dimensione affettiva. In un contesto letterario come l’incontro con la messa in primo piano sembra probabile che l’emozione fornisca un veicolo di primaria importanza per lo sviluppo di elementi messi appunto in primo piano.

La messa in primo piano sembra dunque avviare una ricca risposta prima della consapevolezza: in anticipo fino a 155 msec, la rivelazione di elementi stilistici non familiari può dare inizio ad un processo di risposta che include aspetti prosodici, affettivi e semantici. Questo è seguito da una fase inibitoria durante la quale l’emozione contestualizza ciò che non è familiare, conducendo all’emergenza di nuovi significati o spostamenti nella prospettiva di un certo numero di secondi a valle rispetto all’insorgenza della messa in primo piano. Diversi studi neuropsicologici, come quelli sulla codificazione “a grana grossa” (coarse coding) aiutano ad elaborare i meccanismi richiesti per questo modello.

Tra gli elementi più salienti della risposta al testo letterario, forse il più rilevante è il senso del trasporto (Green, 2004), dell’essere altrove in un possibile – reale attratti e coinvolti da un processo di “absorption” (Harris, 2000). Tale assorbimento-coinvolgimento che si sperimenta mentre si legge può verificarsi in relazione ad un setting vividamente immaginato, o al senso della presenza del personaggio, oltre che ai tempi in cui esso può consentire al lettore di empatizzare con le emozioni e i motivi di un personaggio e di condividere i suoi obiettivi. Questo effetto è stato descritto per la prima volta da Lord Kames nel diciottesimo secolo. Egli lo ha definito “presenza ideale” e lo ha caratterizzato come un “sogno da svegli” (Kames, 1762 cit. in Miall, 2009). Tale esperienza, come se si vedessero e sentissero eventi che si svolgono prima che li si avverta, può essere talvolta abbastanza potente, tanto da provocare sintomi fisici influenzando il battito cardiaco, la traspirazione o la tensione muscolare (Auracher, 2006). Peraltro questa è stata anche considerata una questione problematica, dato che è difficile spiegare come si possa sperimentare che cosa si avverta come un’emozione reale in relazione ad eventi e personaggi finzionali (Walton, 1990). Ciononostante è una risposta comune non solo ai testi letterari, ma anche a quelli sottoletterari e ad altre forme d’arte come il cinema.

Le regioni cerebrali responsabili dell’interpretazione degli input percettivi sono anche quelli che rappresentano una percezione immaginata. Per esempio le aree visive primarie sono attivate quando

un oggetto è soltanto immaginato, un processo, questo, che coinvolge la percezione che si svolge a ritroso, in termini di top down, come sostien Behrmann (2000). Questi evidenzia anche che la misura e la distanza di un’immagine sono pure rappresentate: ad esempio, quando un soggetto rappresenta un’immagine più estesa, sono attivate parti relativamente più numerose dell’area visuale. Alla luce di questa evidenza Zwaan (2004) avanza la proposta che il lettore sia una sorta di “immersed experiencer”, un soggetto che fa esperienza come se fosse immerso, che usa cioè le descrizioni della situazione e dei personaggi per costruire una simulazione dell’esperienza. Pertanto la comprensione è l’esperienza indiretta, vicaria degli eventi descritti, posta in essere attraverso l’integrazione e la sistemazione in sequenza delle tracce inserite dall’input linguistico a partire dall’esperienza attuale. L’esperienza estetica durante la lettura può coinvolgere una “mental imagery” più vivida o un’emozione più intensa, ma probabilmente richiede una dimensione aggiuntiva.

Connessa al modello della lettura di Zwaan è la scoperta dei neuroni specchio. Osservati per la prima volta nella scimmia, si è scoperto che singoli neuroni si innescavano sia quando la scimmia compiva un’azione specifica (ad esempio stendere la mano per afferrare un oggetto), sia quando la scimmia osservava un suo simile che realizzava la stessa azione. Si è notato che i neuroni sono del tutto specifici: se la mano era stesa senza afferrare un oggetto, il neurone non veniva attivato. Più recentemente i neuroni specchio, compresi i neuroni che svolgono una più ampia serie di funzioni, sono stati trovati negli esseri umani. Gallese e Goldmann (1998) suggeriscono che la funzione dei neuroni specchio sia quella di facilitare il “mind reading”, la lettura della mente, cioè che essi consentano ad un osservatore di rappresentare gli obiettivi e i fini di un altro, aiutando ad anticipare se le intenzioni dell’altro sono amichevoli od ostili. Rizzolatti (2005) sottolinea come i neuroni specchio della scimmia nel solco temporale superiore siano reattivi rispetto a vari movimenti del corpo, senza contare che questa regione è anche connessa all’amigdala e ad altri centri dell’emozione. Questo suggerisce che si può verificare anche la simulazione delle risposte emozionali.

La scoperta dei neuroni specchio fornisce dunque anche un meccanismo che aiuta a comprendere la cognizione sociale, il modulo della teoria della mente che permette di leggere le menti degli altri. Delle due spiegazioni standard della teoria della mente l’attività dei neuroni specchio supporta una visione della simulazione in contrasto con quella della teoria della teoria (Gallese, Goldmann, 1998). L’approccio della teoria della teoria sostiene che noi usiamo leggi casuali ed esplicative per connettere gli eventi esterni agli stati interni, dunque che ragioniamo in relazione a leggi causali tacitamente comprese. La teoria della simulazione sostiene che gli individui usano i loro meccanismi mentali per calcolare e predire che cosa gli altri pensino, sentano o facciano. In sostanza ci si pone al posto dell’altra persona e si capisce che cosa significhi la loro esperienza. In questo senso il sistema dei neuroni specchio costituisce il fondamento dell’esperienza dell’empatia, che spesso è un’importante componente della nostra risposta alla narrativa (Keen, 2006, p. 211). Un’evidenza del ruolo dei neuroni specchio durante la lettura e della loro attivazione delle risposte empatiche e delle altre risposte affettive è presente in diversi studi. Boulenger et al. (2006) riportano un’interazione tra la lettura ed il sistema motorio entro i 200 msec dell’attacco della parola. In questo studio, quando un particolare movimento di estensione aveva luogo mentre il partecipante simultaneamente processava un verbo di azione, si è verificata l’interferenza quando il movimento ha sollecitato differenti muscoli effettori rispetto a quelli implicati nel verbo d’azione. Questa scoperta suggerisce che la percezione di una parola di azione e non la percezione di un’azione di per sé sarebbe sufficiente ad innescare il sistema dei neuroni specchio. Il linguaggio ed i sistemi motori sembrano dunque condividere le rappresentazioni neuronali.

Hauk e Pulvermuller (2004) hanno trovato che nel corso della lettura di parole riguardanti azioni per mezzo del viso, del braccio o della gamba si verifica una attività neuronale topografica, location-specific. Questa evidenza indica la presenza di neuroni specchio nella corteccia motoria. Gli studiosi propongono che i neuroni connessi alle azioni siano attivati all’inizio, quando le parole

stanno per essere processate, e che essi rivestano un ruolo cruciale per l’identificazione di queste parole.

Scoperte simili, riguardanti la risposta del linguaggio al sistema dei neuroni specchio per specifiche azioni motorie sono riportate da Garbarini e Adenzato (2004), Grafton et al. (1997), Oliveti et al. (2004) e Tettamanti et al. (2005). Iacoboni (2005) mostra che i neuroni specchio si trovano negli esseri umani nell’area BA 44, che rappresenta i movimenti della mano e della bocca, un’area che fa parte anche dell’area di Broca, responsabile della funzionalità del linguaggio. Quest’area gioca pertanto negli esseri umani un ruolo importante nell’imitazione, in aggiunta alla responsabilità per il linguaggio, suggerendo una continuità evolutiva (si veda più avanti la tesi di Lieberman sull’evoluzione del sistema linguistico dai gesti al linguaggio) tra la ricognizione dell’azione, l’imitazione ed il linguaggio.

I neuroni specchio appaiono anche sottesi alla capacità di simulare le esperienze del tatto e dell’emozione. Keysers et al. (2004) in uno studio di fMRI hanno mostrato l’attivazione dell’area

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