16. La lettura del testo letterario come strumento per la costruzione della competenza emotiva?
16.1 Dall’intelligenza alla competenza emotiva: Howard Gardner
Prima di toccare il tema dell’intelligenza e più specificamente della competenza emotiva, appare utile un’analisi del costrutto dell’intelligenza alla luce delle teorie di Howard Gardner, che consentono di verificare successivamente come la competenza emotiva sia collegata a quelle che lo studioso definisce intelligenze inter- e intra-personale.
In un recente studio Gardner (2004) sostiene che parlando di intelligenza si dovrebbero distinguere almeno tre significati del termine: l’intelligenza come caratteristica della specie, come differenza individuale e come esecuzione appropriata di un compito. Inoltre, nella sua ultima versione della teoria delle intelligenze multiple, Gardner sostiene (Gardner, 2006, pp. 5 e segg.) di voler presentare una visione pluralistica della mente, tale da riconoscere molti e differenti aspetti della cognizione, riconoscendo che gli individui hanno differenti potenziali cognitivi e contrastanti stili cognitivi. Non a caso Gardner introduce il concetto di scuola centrata sul soggetto, la quale tenga conto seriamente di questa visione sfaccettata dell’intelligenza. La sua analisi punta l’attenzione più sulle capacità degli esseri umani che su ciò che costituisce l’intelligenza, ritenendo che che la competenza cognitiva umana sia meglio descritta in termini di serie di abilità, talenti o skills mentali, che lo studioso definisce intelligenze. Tutti gli individui normodotati possiedono in qualche misura ciascuna di queste abilità, differendo nella gradazione e nella natura della combinazione delle abilità.
Gardner sostiene che nella visione psicometrica classica l’intelligenza è definita in senso operativo, tra l’altro, come l’abilità di rispondere agli items dei test di intelligenza, inferendo il fatto che essa non cambi molto con l’età, l’esercizio e l’esperienza, essendo in sostanza un attributo, una facoltà innata dell’individuo.
D’altra parte la teoria delle intelligenze multiple rende plurale il concetto tradizionale. L’intelligenza è una capacità elaborativa di processare un certo tipo di informazione che ha origine
nella biologia e nella psicologia umana e comporta l’abilità di risolvere problemi o plasmare prodotti che di conseguenza fanno parte di un particolare setting culturale o di una comunità. L’abilità del problem solving permette di accostarsi ad una situazione in cui deve essere ottenuto un obiettivo e dev’essere stabilito il percorso appropriato verso di esso. La creazione di un prodotto culturale permette di impadronirsi della conoscenza e di trasmetterla o di esprimere conclusioni, credenze o sentimenti.
La teoria è inquadrata alla luce delle origini biologiche di ciascuna abilità di problem solving: soltanto le abilità che sono universali per la specie umana sono prese in considerazione. L’inclinazione biologica a partecipare in una particolare forma di problem solving dev’essere anche collegata all’educazione culturale di quel dominio. Ciascuna intelligenza deve avere un’operazione o una serie di operazioni centrali identificabili. Come un sistema computazionale basato sull’attività neurale, ciascuna intelligenza è attivata o avviata da certi tipi di informazioni interne o esterne. Essa deve pure essere suscettibile di essere codificata in una sistema di simboli, un sistema di significato congegnato culturalmente che coglie e comunica rilevanti forme di informazioni. Il linguaggio e la matematica sono solo due dei sistemi di simboli pressoché universali che sono necessari per la sopravvivenza e la produttività umana. La relazione di un’intelligenza e di un sistema di simboli umano non è accidentale, infatti l’esistenza di una capacità essenziale di elaborazione anticipa la creazione attuale o potenziale di un sistema simbolico che sfrutta quella capacità. Mentre può essere possibile per un’intelligenza svilupparsi senza un sistema simbolico di accompagnamento, una caratteristica primaria dell’intelligenza umana può essere la sua gravitazione verso tale forma di incorporazione.
Eccetto che in individui anormali le intelligenze lavorano sempre di concerto ed ogni ruolo adulto di particolare raffinatezza coinvolgerà una mescolanza di parecchie di esse. Si tratta dunque, nella versione rivista del saggio di Gardner, dell’intelligenza musicale, corporeo-cinestetica, logico- matematica, linguistica, spaziale, interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale, queste due ultime di recente identificate da Gardner (2006).
Per le finalità del presente studio è necessario focalizzare l’attenzione sull’intelligenza interpersonale ed intrapersonale. La prima si basa su di una essenziale capacità di notare le differenze esistenti tra gli altri rispetto a sé, in particolare i contrasti nei loro stati d’animo, temperamenti, motivazioni ed intenzioni. Nelle forme più avanzate permette ad un adulto che ne sia normalmente dotato di leggere le intenzioni e i desideri degli altri anche quando sono stati nascosti. Tutti gli indizi della ricerca neuroscientifica suggeriscono che i lobi frontali giochino un ruolo basilare nella conoscenza interpersonale. Un danno in quest’area può causare profondi cambiamenti di personalità, pur lasciando intatte altre forme di problem solving: ad esempio dopo una lesione cerebrale una persona spesso sembra non essere “la stessa persona”. Il morbo di Alzheimer, una forma di demenza, sembra attaccare le parti posteriori del cervello con una particolare intensità, lasciando severamente menomate le capacità di elaborazione spaziale, logica e linguistica. Tuttavia gli atteggiamenti dei soggetti colpiti da tale patologia spesso rimangono forbiti e appropriati dal punto di vista sociale e di continuo si scusano per i loro errori. Al contrario il morbo di Pick, una forma di demenza che è localizzata in regioni più frontali della corteccia, comporta una rapida perdita della capacità di mantenere modalità di rapporto normali.
L’evidenza biologica per l’intelligenza interpersonale comprende due fattori aggiuntivi spesso citati come notevoli per gli esseri umani. Il primo è l’infanzia prolungata dei primati, che include lo stretto attaccamento alla madre. Nei casi in cui la madre o una figura sostitutiva non sia disponibile e non si dedichi al bambino, il normale sviluppo interpersonale è in serio pericolo. Il secondo fattore è la relativa importanza dell’interazione sociale tra gli esseri umani. Abilità come il cacciare, il seguire le tracce e l’uccidere la preda nelle società preistoriche richiedevano la partecipazione e la cooperazione di un grande numero di persone. Il bisogno di coesione, leadership, organizzazione e solidarietà segue naturalmente da questo.
La seconda intelligenza in esame, quella intrapersonale, riguarda la conoscenza degli aspetti interni di una persona: l’accesso alla propria vita sentimentale, la gamma delle proprie emozioni, la
capacità di fare distinzione tra queste emozioni e alla fine di definirle, e di fare ricorso ad esse come mezzo di comprensione e di guida del proprio comportamento.
Un soggetto con una buona intelligenza intrapersonale ha un attuabile ed efficace modello di sé compatibile con una descrizione costruita da osservatori attenti che conoscono intimamente quella persona. Poiché questa intelligenza è la più privata, l’evidenza del linguaggio, della musica o di qualche altra forma più espressiva di intelligenza è richiesta se l’osservatore deve rilevarla mentre è in attività. L’intelligenza linguistica, ad esempio in un testo scritto, serve come mezzo in cui osservare l’intelligenza intrapersonale mentre opera. Come con l’intelligenza interpersonale i lobi frontali giocano un ruolo centrale nel cambiamento della personalità. Un danno all’area più bassa dei lobi frontali è probabile che produca irritabilità o euforia, mentre una lesione alle regioni più alte è più probabile che produca indifferenza, indolenza, lentezza e apatia, un tipo di personalità depressiva. Nelle persone con danno al lobo frontale le altre funzioni cognitive spesso rimangono preservate. Al contrario, tra gli afasici che si sono ristabiliti abbastanza per descrivere le loro esperienze, si trova una costante testimonianza: mentre ci può essere, quanto alla condizione, una diminuzione dello stato generale di vigilanza ed una considerevole depressione, il paziente non avverte in alcun modo di essere una persona diversa. Egli riconosce i propri bisogni, esigenze e desideri, e cerca di soddisfarli nel modo migliore. Il bambino autistico è l’esempio prototipico di un soggetto con indebolita intelligenza intrapersonale, che inoltre può anche non essere in grado di riferirsi a se stesso, per quanto nello stesso tempo possa manifestare abilità rimarchevoli in campo musicale, matematico ed in altri settori non inerenti al rapporto diretto con il sé. L’evidenza evoluzionistica in relazione a una facoltà intrapersonale è più difficile da ottenere, ma si potrebbe congetturare che sia rilevante la capacità di trascendere la soddisfazione di impulsi istintivi. Questo potenziale diventa importante in modo crescente in una specie non sempre coinvolta nella lotta per la sopravvivenza. Le strutture neurali che permettono la coscienza probabilmente formano la base su cui è costruita la coscienza di sé.
In definitiva sia le facoltà interpersonali che intrapersonali sono assimilabili ad intelligenze. Entrambe sono caratterizzate da capacità di problem solving che hanno significato per gli individui e per la specie: l’intelligenza interpersonale permette permette di comprendere gli altri e operare con loro, quella intrapersonale di comprendere se stessi e di operare con il proprio sé. Nel senso di sé dell’individuo si incontra una sincresi di componenti interpersonali e intrapersonali. Inoltre il senso di sé emerge come una delle più straordinarie invenzioni umane: un simbolo che rappresenta tutti i tipi di informazioni riguardo ad una persona e che nello stesso tempo emerge come una invenzione che tutti gli individui costruiscono per se stessi.