4 Dalla lettura allo studio cognitivo della comprensione: prodromi ad un’analisi neurocognitiva dell’interpretazione del discorso letterario
4.2 La comprensione del testo e le inferenze
Si è visto come leggere testi letterari coinvolga processi cognitivi basati su tre fasi: quelli visivi, quelli che convertono l’input visivo in una rappresentazione linguistica e i processi che poi operano nella rappresentazione codificata inferendo informazioni aggiuntive per costruire una rappresentazione generale e coerente del contenuto di un testo (Perfetti, Landi, Oakhill, 2005). A questo livello il lettore integra questa conoscenza nel corrente stato mentale e come esito aggiorna il suo modello mentale del mondo (Harrison, 2004). Questa inferenza ha a che fare con l’abilità di riempire gli spazi vuoti, il non detto del testo (Banich, 2004), così che risulta interessante verificare la connessione tra questo assunto e la teoria letteraria dell’atto della lettura (Iser, 1979).
L’approccio dei modelli mentali ai testi postula una rappresentazione mentale che modellizza lo stato delle cose presente nel testo (Smith, Cognition and Representation, p. 55). Il modello è costruito tramite informazioni linguistiche riguardo al mondo e da inferenze provocate dal testo (Johnson Laird, 1983). Il fatto che il lettore crei collegamenti inferenziali è un tema centrale della comprensione e una ragione per credere che egli costruisca modelli mentali, conformemente a quanto sostiene Johnson Laird. Il modello è costruito in modo incrementale quando il testo procede. Per esempio, la serie di entità nel modello limita la serie di possibili antecedenti per un’espressione anaforica.
Le informazioni proposizionali sono enfatizzate in altri approcci alla rappresentazione, per esempio quelli di Graesser (1981) e di Kintsch e colleghi. Van Dijk & Kintsch (1983), come si è visto, definiscono tre livelli: una forma superficiale di rappresentazione, un testo base proposizionale e un modello situazionale. Quest’ultimo è simile al modello mentale nel fatto che esso integra informazioni derivate dal testo con la conoscenza del lettore. Se alcuni o tutti i tipi di rappresentazioni siano necessari per modellizzare come i lettori comprendano è ancora in discussione. Il punto importante è che le rappresentazioni sono essenziali. Le rappresentazioni semantiche della teoria della rappresentazione del discorso sono vicine, in sostanza, ai modelli mentali postulati da Johnson Laird e colleghi. La teoria formula regole di costruzione che considerano le frasi di un testo come input e consegnano una rappresentazione come output, non cerca di rendere conto del processo mentale attuale coinvolto nella comprensione di un testo.
Vari teorici hanno sostenuto che durante la comprensione dei testi i lettori costruiscono una rappresentazione mentale del testo così come le situazioni in esso descritte (Zwaan & Singer in Miall, 2003). Ad esempio van Dijk e Kintsch (1983) hanno proposto che i lettori, come si è visto in precedenza, costruiscano rappresentazioni mentali della struttura di superficie, del significato semantico esplicitamente veicolato dal testo o dal testo base, e della situazione descritta nel testo, il modello in situazione.
I primi due livelli sono stati talvolta oggetto di discussione: ad esempio, la rappresentazione proposizionale di Johnson Laird (1983, 1996) sembra essere un amalgama della struttura di superficie e del testo base. I ricercatori non concordano in relazione ad un singolo format di rappresentazione per i modelli in situazione. Kintsch (1998) ha largamente considerato i modelli in situazione come rappresentazioni preposizionali, ma ha pure accettato le immagini mentali (costrutto assimilabile a quanto si vedrà sulla mental imagery).
Johnson Laird (1996) ha giudicato i modelli mentali come non proposizionali, ma anche come elementi differenti dalle immagini mentali. Barsalou (1999) ha proposto una visione interamente
diversa, in cui i blocchi di costruzione della rappresentazione mentale non sono astratti e amodali, ma rappresentazioni analoghe chiamate simboli percettivi, che sono il risultato dell’attività percettiva nel cervello. Dunque al momento i modelli in situazione sono meno caratterizzati dalla loro struttura che dal loro contenuto. Molto dello sforzo nella ricerca sui modelli in situazione si è
prodotto verso il delineare quali aspetti delle situazioni descritte siano o meno nei modelli suddetti. A questo punto si rende opportuno citare alcuni assunti generalmente accettati dalla psicologia
cognitiva (Graesser, Bertus, Magliano, in Lorch, O’Brien, 1995), pur con le opportune varianti di scuola, in relazione alla generazione delle inferenze durante la comprensione del testo, ricordando che il concetto di inferenza fa riferimento al processo mentale attraverso il quale si raggiunge una conclusione basata su di un’inferenza specifica, come avviene nel ragionamento logico a partire dalle premesse: in sostanza si traggono conclusioni riguardo al non detto basate su ciò che è attualmente espresso.
Si tratta di ricordare che molteplici fonti di informazione contribuiscono alla generazione di inferenze durante la comprensione: il testo esplicito, il background di strutture di conoscenza del mondo, gli obiettivi del lettore ed il contesto pragmatico di uno scambio comunicativo.
Si esamini il codice di superficie ed il testo base in rapporto al modello in situazione. Questi tre livelli di rappresentazione cognitiva sono conseguiti come un risultato della comprensione. Il codice di superficie preserva l’esatta enunciazione e sintassi di una frase. Il testo base contiene le esplicite proposizioni del testo in una forma che preserva il significato ed un piccolo numero di inferenze, che sono necessarie per stabilire la coerenza locale del testo. Per il modello in situazione si veda quanto esposto in precedenza.
Sono poi molteplici i depositi del ricordo, essendoci tre luoghi della memoria: la memoria a breve termine, la memoria di lavoro e la memoria a lungo termine. La frase corrente che viene processata è mantenuta in una sorta di buffer passivo della memoria a breve termine, che preserva il codice di superficie. La memoria di lavoro è uno spazio attivo per la processazione del testo, in cui è protetto il significato di proposizioni il cui numero, approssimativamente, varia da due a tre prima della frase corrente, in aggiunta ad altre informazioni. La memoria a lungo termine è un vasto deposito di strutture generiche e specifiche di conoscenza, oltre che di segmenti interpretati del testo corrente che non risiedono nelle due precedenti memorie.
Si veda ora il focus dell’attenzione. I lettori costruiscono attivamente un piccolo sottoinsieme di informazioni nella loro attenzione focale conscia. In termini metaforici questo componente è analogo ad una macchina fotografica mentale, che scandisce lo scenario mentale costruito e si focalizza con lo zoom su particolari personaggi, azioni del personaggio, regioni spaziali, eventi inusuali, nuove informazioni e altri punti “caldi” attraverso tutto il corso della comprensione. L’attenzione focale è una costruzione attiva piuttosto che un prodotto passivo di attivazioni passive della conoscenza, ha una capacità limitata e non si può ridurre alle funzioni di processazione del ricordo delle memorie a breve termine e di lavoro. L’attenzione focale è affine all’occhio della mente (Kosslyn, 1980), al fuoco del discorso e al fuoco esplicito.
Si considerino ora l’apprendimento e l’automatismo. Il grado di apprendimento influenza l’accessibilità delle strutture della conoscenza e le unità di informazione all’interno delle strutture della conoscenza. Ad una struttura di conoscenza si accede più rapidamente e con maggiore successo, al punto che essa è sovra-appresa attraverso la ripetizione. Quando una struttura di conoscenza è automatizzata, al suo contenuto si accede interamente ed esso è attivato come una singola rilevante porzione, ad un costo limitato per le risorse di processazione nella memoria di lavoro.
Da ultimo vanno esaminate la convergenza e la soddisfazione della limitazione. Sia l’informazione esplicita che le inferenze ricevono maggiore attivazione al punto che sono sostenute da parecchie fonti di informazione (c’è dunque una convergenza) ed esse soddisfano le limitazioni concettuali imposte da fonti di informazione multiple. Si forma un’inferenza passiva basata sull’attivazione quando essa riceve una sufficiente quantità di attivazione positiva da molteplici fonti di
informazione, e attivazioni inibitorie negative da poche fonti di informazione, qualora ve ne sia qualcuna.