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15. Comprensione e interpretazione tra emozione e cognizione.

15.2 I neuroni specchio

Capire le azioni degli altri e le intenzioni che ne sono alla base è una caratteristica della nostra specie, che ci consente di interagire con i nostri simili e di stabilire relazioni empatiche con loro (Fogassi et al., 2007, pp. 735 e segg.). I meccanismi alla base di queste facoltà cognitive sociali erano, fino a non molti anni fa, poco conosciuti. La scoperta dei neuroni specchio nella scimmia e la successiva dimostrazione dell’esistenza di un sistema specchio anche nel cervello umano, hanno messo in evidenza per la prima volta un meccanismo neurofisiologico capace di spiegare molti aspetti della nostra capacità di entrare in relazione con gli altri. I neuroni specchio sono stati scoperti negli anni ’90 nella corteccia premotoria del cervello del macaco (area F5). Essi si attivano sia quando la scimmia esegue un atto motorio finalizzato, come afferrare oggetti con la mano e con la bocca, sia quando osserva un altro individuo eseguire atti motori analoghi (Gallese et al., 1996; Rizzolatti et al., 1996). La risposta visiva dei neuroni specchio può essere evocata solo se lo stimolo osservato è costitutito da una mano o una bocca che interagisce in modo finalistico con un oggetto. Una serie di esperimenti di controllo ha dimostrato che né la visione isolata dell’agente né quella dell’oggetto riescono ad evocare una risposta. Similmente inefficace, o molto meno efficace, è l’osservazione di un atto motorio mimato senza oggetto. Lo stimolo visivo efficace per attivare questi neuroni è quindi l’osservazione di un effettore, mano o bocca, che interagisce con un oggetto. Parte dei neuroni specchio sono specifici per l’esecuzione/osservazione di atti motori singoli, altri invece sono meno specifici, rispondendo all’esecuzione e all’osservazione di due o più atti motori. In circa un terzo dei neuroni specchio l’atto motorio eseguito e quello osservato per evocare la risposta devono essere strettamente congruenti, sia in termini di scopo sia nel modo specifico in cui quest’ultimo viene conseguito. Nei rimanenti neuroni si è riscontrato un rapporto di congruenza di ordine più generale, cioè gli atti motori efficaci eseguiti e osservati corrispondono in termini di scopo, indipendentemente dal tipo di prensione rispettivamente impiegato e osservato dalla scimmia. Questo tipo di neuroni specchio è particolarmente interessante, perché sembra rispondere allo scopo dell’atto motorio indipendentemente dai vari modi possibili di conseguirlo. Ciò potrebbe consentire un livello più astratto di categorizzazione dell’azione. La congruenza tra risposta visiva e risposta motoria è importante perchè suggerisce come lo stesso neurone sia in grado di confrontare ciò che la scimmia fa con ciò che vede fare. In termini più generali quindi i neuroni specchio costituiscono un sistema neuronale che mette in relazione le azioni esterne eseguite da altri con il repertorio interno di azioni dell’osservatore, e si configurano come un meccanismo che consente una comprensione implicita di ciò che viene osservato.

L’importanza dei neuroni specchio nella cognizione sociale ha trovato un’ulteriore conferma dalla scoperta dell’esistenza di un analogo sistema specchio anche nell’uomo. La localizzazione anatomica di questo è stata rilevata mediante le tecniche della PET e della fMRI. Studi iniziali hanno mostrato che durante l’osservazione di differenti atti motori di prensione con la mano si ha un’attivazione delle aree 44 e 45 di Brodmann, del lobulo parietale inferiore e della regione del solco temporale superiore (Rizzolatti e Craighero, 2004; Rizzolatti e Sinigaglia, 2006). Questo circuito corticale corrisponde approssimativamente a quello dei neuroni specchio nella scimmia. I risultati di un recente studio fMRI (Buccino et al., 2001) hanno mostrato che l’osservazione di azioni eseguite da diversi effettori come bocca, mano e piede determina un’azione somatotopicamente organizzata nella corteccia premotoria. Durante l’osservazione delle azioni eseguite dalla bocca si ha un’attivazione bilaterale della corteccia premotoria ventrale (BA 6) e un’attivazione dell’area di Broca. Durante l’osservazione di azioni compiute con la mano, invece, oltre all’attivazione dell’area di Broca si osserva un’attivazione dell’area 6 in una posizione più

dorsale rispetto a quella attivata dalla bocca. Infine, l’osservazione di azioni eseguite con il piede evoca un’attivazione dell’area 6 dorsale. Lo studio ha anche mostrato come nell’uomo, a differenza della scimmia, anche l’osservazione di pantomime senza oggetto induce l’attivazione del sistema specchio. Ogni volta che osserviamo azioni eseguite con diversi effettori si determina quindi una diversa attivazione di settori specifici della nostra corteccia premotoria. Questi settori corticali premotori sono gli stessi che si attivano quando eseguiamo le stesse azioni. Ciò equivale a dire che ogni volta che osserviamo le azioni altrui, il nostro sistema motorio risuona assieme a quello dell’agente osservato.

Una facoltà cognitiva peculiare della nostra specie è sicuramente quella linguistica. Nonostante lo studio dei processi di comunicazione verbale sia stato per decenni oggetto esclusivo della linguistica, negli ultimi anni le tecniche di neuroimaging sono state sempre più utilizzate nel tentativo di localizzare le aree cerebrali del linguaggio umano. In aggiunta a ciò, la scoperta dei neuroni specchio fornisce un ulteriore elemento utile a comprenderne i meccanismi neurofisiologici. Lo studio del linguaggio può essere affrontato quanto meno da due prospettive principali: da un lato considerando l’aspetto semantico-sintattico-lessicale, dall’altro quello fonetico-fonologico. La differenza tra i due approcci potrebbe essere così esemplificata: mediante il primo, l’interesse è rivolto a comprendere come le parole e le frasi che formano il linguaggio sono in grado di evocare nell’ascoltatore le rappresentazioni richiamate dal parlante, mediante il secondo si affronta il problema della trasmissione dell’informazione che permette la comprensione della singola parola, indipendentemente dalla presenza di significato. I neuroni specchio si collocano in questo quadro di riferimento per due ragioni: da un lato, la già ricordata omologia citoarchitettonica tra alcuni settori dell’area F5 della scimmia e l’area di Broca dell’uomo (la regione del giro frontale inferiore considerata il centro motorio del linguaggio), dall’altro, l’esistenza di neuroni specchio acustico- visivi che si attivano durante l’esecuzione, l’osservazione e l’ascolto delle conseguenze sonore di un’azione. Una nutrita serie di evidenze sperimentali suggerisce lo stretto collegamento tra sistema

dei neuroni specchio e semantica del linguaggio, in particolare per quanto attiene ai verbi di azione. Si sa che l’area di Broca, una delle aree classiche del linguaggio, possiede proprietà motorie non

riconducibili esclusivamente a funzioni verbali, e presenta un’organizzazione simile a quella dell’area omologa nella scimmia (F5), attivandosi durante l’esecuzione di movimenti orofacciali, brachiomanuali e orolaringei; inoltre, al pari di F5, essa risulta coinvolta in un sistema di neuroni specchio, che nell’uomo, come nella scimmia, ha la funzione primaria di legare il riconoscimento alla produzione di un’azione. Ciò sembra suggerire che le origini del linguaggio andrebbero ricercate, prima ancora che nelle primitive forme di comunicazione vocale, nell’evoluzione di un sistema di comunicazione gestuale controllato dalle aree corticali laterali (Rizzolatti & Sinigaglia, 2006, pp. 152 e segg.). E poiché le ragioni a sostegno dell’omologia tra le aree F5 e di Broca sono di carattere anatomico e citoarchitettonico, e dunque indipendenti dalla scoperta in entrambe di neuroni specchio, il fatto che quelle aree siano accomunate da un tale meccanismo – e che esso abbia nell’uomo nuove proprietà utili per l’acquisizione del linguaggio – starebbe a indicare, a meno di non pensare a una coincidenza fortuita, che lo sviluppo progressivo del sistema dei neuroni specchio abbia costituito una componente chiave nella comparsa ed evoluzione della capacità umana di comunicare, a gesti prima e a parole poi. Alvin Liberman, che più di ogni altro ha insistito sulla necessità di considerare i presupposti impliciti di qualunque condotta comunicativa, ha mostrato che nella comunicazione linguistica ciò che conta non sono tanto i suoni di per sé, quanto i gesti articolatori che li generano, poiché è da essi che quelli traggono la loro consistenza fonetica – quella per cui, per esempio, percepiamo immediatamente la differenza tra la sillaba ba e un colpo di tosse (Liberman, Whalen, 2000). Se si accetta la sua interpretazione si deve allora riconoscere che la transizione ad un sistema vocale autonomo doveva comportare che i neuroni motori responsabili del controllo dei gesti orolaringei acquisissero la capacità di attivarsi in presenza di suoni prodotti tramite gesti analoghi da altri, ossia che il sistema dei neuroni specchio subisse una riorganizzazione ulteriore, tale da garantire la trasformazione dei suoni verbali nella rappresentazione motoria dei gesti articolatori corrispondenti. Ora, che una riorganizzazione del

genere sia di fatto avvenuta è testimoniato dalla scoperta di un nuovo tipo di neuroni specchio, cui è stato dato il nome di neuroni specchio eco. L’esistenza di questi neuroni è stata suggerita da un esperimento condotto da Fadiga et al. (2002). Essi hanno registrato i potenziali motori evocati (MEP) dai muscoli della lingua in soggetti cui era stato chiesto di ascoltare con attenzione stimoli acustici verbali e non verbali. Gli stimoli erano costituiti da parole, pseudo-parole regolari e suoni bitonali. A metà delle parole e delle pseudo-parole comparivano una doppia f o una doppia r. Ai linguisti è noto che f è una consonante fricativa labiodentale che come tale per essere pronunciata richiede solo lievi movimenti della lingua, mentre r è una consonante fricativa linguopalatale che comporta un marcato coinvolgimento della lingua. Gli esperimenti hanno mostrato che l’ascolto delle parole e delle pseudo-parole contenenti la doppia r determinava una significativa crescita dell’ampiezza dei MEP registrati dai muscoli della lingua rispetto al caso dei suoni bitonali, e delle parole e delle pseudo-parole contenenti la doppia f.

Accertato il legame tra sistema motorio e linguaggio, si può dire anche che il sistema dei neuroni specchio può essere visto come un sistema “metaforico” (Fogassi, 2002, pp. 75 e segg.): esso utilizza infatti il repertorio motorio noto per descrivere qualcosa di ancora ignoto, cioè le azioni svolte da altri individui. Il linguaggio quotidiano è pervaso di metafore, che si riferiscono spesso al rapporto sensoriale o motorio del nostro corpo con l’ambiente in cui il corpo stesso è inserito. Ne sono un esempio le metafore spaziali, dove lo spazio è spesso riferito al corpo: si dice che si è “su” o “giù” per denotare felicità o tristezza, oppure si utilizzano i termini “davanti” o “dietro” per riferirci al futuro o al passato. Un’altra classe di metafore particolarmente significativa, perché usata con con particolare frequenza nel linguaggio quotidiano, è quella delle metafore che si riferiscono al movimento e alle azioni, come per esempio “afferrare un’idea”, “arrampicarsi sugli specchi”, “darsi la zappa sui piedi” e così via. Questi esempi suggeriscono come la metafora non sia un puro artificio linguistico, ma sia la traduzione linguistica del modo con cui il cervello si rappresenta il mondo esterno, rappresentazione derivata dall’interazione stretta tra l’essere biologico e il mondo al di fuori di esso. Se si accetta questa visione biologica della metafora, si può allora dire che anche il sistema nervoso fa uso di metafore, nel senso che esso descrive e spiega qualcosa di ignoto, che deve ancora essere conosciuto (il mondo esterno, per esempio gli oggetti o le azioni eseguite da altri) utilizzando qualcosa di già noto all’essere biologico (per esempio il proprio repertorio motorio). Una configurazione visiva, qual è quella di una mano in movimento che a un certo punto si chiude su un bersaglio, un oggetto, è interpretata in termini motori, che sono quelli che l’individuo conosce meglio, essendo presenti già nel proprio repertorio comportamentale, verosimilmente, almeno in parte, fin dalla nascita. In questo senso il sistema dei neuroni specchio, come descrizione del mondo esterno delle azioni, può essere alla base di una serie di funzioni: il riconoscimento del significato delle azioni, cioè dello scopo che esse rappresentano; l’attribuzione dell’intenzionalità a un altro individuo, sulla base dell’osservazione dei gesti che compie; l’apprendimento di nuove abilità motorie, attraverso processi di imitazione o emulazione; la nascita del linguaggio.

Pertanto il sistema motorio presenta un duplice aspetto, quello esecutivo e quello rappresentativo. L’aspetto esecutivo è senz’altro un modo in cui il sistema motorio ci permette di entrare in relazione con il mondo. Se si desidera raggiungere un luogo o afferrare un oggetto, è sufficiente dare un comando volontario per mettere in moto una catena di neuroni che, in ultima analisi, produrranno la contrazione dei muscoli necessari per eseguire lo spostamento voluto. Se affrontato in questi termini, il problema consiste nel discernere il grado di sofisticazione dei meccanismi nervosi che traducono un comando volontario in una sinergia di muscoli. L’altro aspetto del sistema motorio, quello rappresentativo, è invece più interessante dal punto di vista cognitivo; infatti il sistema motorio, grazie ai meccanismi sopra descritti di mappatura del mondo esterno in termini pragmatici, diviene anche capace di fornirci una semantica degli oggetti e delle azioni. Facendo riferimento a quest’ultimo aspetto, la metafora sembra avere delle strette analogie con i meccanismi rappresentativi del sistema motorio. Nella maggior parte dei casi, infatti, la metafora, per esprimere eventi concettuali, si avvale del patrimonio delle azioni, più che di quello dei movimenti. Si può

dunque arguire come la metafora possa riflettere l’organizzazione delle aree premotorie, che è fondamentalmente costruita su una sorta di vocabolario di azioni. Esso, innescato dagli stimoli visivi, acustici e somatosensoriali presenti nell’ambiente esterno, diventerebbe il modo in cui gli esseri umani rappresentano il mondo. Appare dunque chiaro come questa interpretazione biologica della metafora tramite i mirror neurons sia in accordo con gli studi di Lakoff visti in precedenza, secondo i quali essa è considerata uno schema che consente di derivare rappresentazioni concettuali dal loro substrato sensorimotorio. L’utilizzo della metafora da parte del sistema motorio appare molto importante quando riferito allo studio della nascita del linguaggio: la conoscenza dei meccanismi di un sistema che permetta di riconoscere i gesti altrui attraverso un repertorio motorio noto può essere il punto di partenza per comprendere gli elementi biologici originari da cui può essersi evoluto il più sofisticato livello di descrizione della realtà di cui si dispone. Peraltro queste conclusioni sono in accordo con quanto si è detto a proposito di Lieberman e delle sue considerazioni sul “reptilian brain”.

Si è visto in precedenza come l’area di Broca sia attiva sia durante l’imitazione sia durante l’osservazione di azioni. Tali dati sono stati ritenuti importanti evidenze empiriche che collegano i neuroni specchio al linguaggio (Iacoboni 2008, pp. 82 e segg.). Il fatto che la principale area del linguaggio del cervello umano sia anche cruciale per l’imitazione e contenga neuroni specchio offre una visione del tutto nuova del linguaggio e della cognizione in generale, secondo la quale i processi mentali sono dominati dal corpo e dal tipo di esperienze percettive e motorie che sono il prodotto dei suoi movimenti nel mondo circostante e delle sue interazioni con esso. Questa visione è generalmente chiamata, come si è visto, “embodied cognition” (cognizione incorporata), e la versione dedicata al linguaggio di questa teoria è nota come “embodied semantics” (semantica incorporata). La scoperta dei neuroni specchio ha notevolmente rafforzato questa ipotesi secondo cui cognizione e linguaggio sono incorporati. L’idea principale della semantica incorporata è che i concetti linguistici siano costruiti dal basso verso l’alto (bottom up) utilizzando le rappresentazioni sensorio-motorie necessarie a formulare quei concetti. Quando si parla spesso si usano espressioni metaforiche che si richiamano ad azioni e parti del corpo: dare un calcio al passato, dammi una mano a fare, quello costa un occhio della testa. Secondo l’ipotesi della semantica incorporata, quando si pronunciano, sentono o leggono queste espressioni, di fatto si attivano le aree motorie del nostro cervello implicate nelle azioni eseguite con le parti del corpo citate. Esistono convincenti evidenze empiriche in linea con le predizioni della semantica incorporata: ad esempio, quando dei soggetti leggono una frase che implica un’azione che si allontana dal corpo, del tipo “chiudi il cassetto”, i movimenti delle braccia verso il corpo risultano rallentati. Le interazioni di questo genere tra movimenti del corpo e materiale linguistico sono state indagate in maniera approfondita da Glenberg e Kaschak (2002), che suggeriscono come i concetti siano strettamente legati alle proprietà biomeccaniche dei corpi. È possibile che i neuroni specchiocontribuiscano ad ancorare al proprio corpo e alle proprie azioni la comprensione del materiale linguistico, connettendo nel processo di comprensione del testo letterario, come si ipotizza nel presente lavoro, mental imagery, emozione e metafora? Gallese e Lakoff sono stati i primi a proporre questa ipotesi (2005). Lisa Aziz-Zadeh (Aziz-Zadeh et al., 2006) ha eseguito un esperimento di neuroimaging specificamente mirato a verificare questa ipotesi, chiedendo ad alcuni soggetti di leggere delle frasi che descrivevano azioni della mano e della bocca mentre veniva misurata l’attività cerebrale. Successivamente ha mostrato loro dei video di azioni eseguite con la mano. Mentre leggevano le frasi e guardavano le azioni, i soggetti attivavano specifiche aree del loro cervello conosciute come quelle che controllano i movimenti, rispettivamente, della mano e della bocca. Chiaramente le aree in questione erano aree umane dei neuroni specchio per i movimenti della mano e della bocca, che venivano selettivamente attivate anche quando i soggetti stavano solo leggendo delle frasi che descrivevano azioni della mano e della bocca. È come se i neuroni specchio aiutassero a capire quello che si legge tramite una simulazione interna dell’azione menzionata nella frase. L’esperimento suggerisce che quando si legge un romanzo i neuroni specchio simulano le azioni

che vi sono descritte, come se le stessero compiendo i lettori stessi. La facoltà del linguaggio appare pertanto intrinsecamente legata alla corporeità.

Capitolo XVI

16. La lettura del testo letterario come strumento per la costruzione della competenza

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