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8. Emozione e comprensione: una realtà biunivoca

8.3 Emozioni come inferenze

La teoria comunicativa di Oatley e Johnson Laird (1996) distingue le emozioni elementari dalle emozioni complesse (Johnson Laird, 2006, pp. 128 e segg.). Le prime sono innate e sono associate a segnali differenziati loro propri, presenti nel cervello e in alcune espressioni facciali universali. Esse comprendono la felicità, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto. L’amigdala è alla base delle emozioni elementari e provoca diverse risposte del sistema nervoso autonomo che preparano l’organismo ad affrontare situazioni di pericolo.

L’ipotesi che vi siano due canali di comunicazione distinti – il rapido segnale dell’insorgere dell’emozione e un più lento messaggio cognitivo – è stata confermata da Le Doux nel caso della

paura. L’informazione percettiva segue due vie: una più rapida collega direttamente il talamo sensoriale, stazione intermedia dell’informazione percettiva, all’amigdala, non passa per la corteccia e dunque il suo segnale è frutto di un’analisi cognitiva grossolana. L’altra via, più lenta, collega il talamo sensoriale all’amigdala passando per la corteccia: si tratta del percorso seguito dal messaggio sulla valutazione cognitiva.

Se le emozioni hanno una funzione comunicativa, quelle elementari devono proiettare una molteplicità di situazioni possibili su un piccolo numero di segnali distinti, collegati con aspetti importanti della vita della specie. Il segnale emozionale che si propaga nel cervello presuppone il collegamento dell’emozione con la rappresentazione di un oggetto. Le emozioni elementari costituiscono la base biologica di quelle emozioni complesse che sembrano caratteristiche della nostra specie.

Le emozioni complesse dipendono da inferenze consce collegate con il modello che abbiamo di noi stessi e, spesso, con il confronto tra possibilità alternative o tra eventi realmente occorsi e possibilità immaginate in storie alternative. Esse dipendono da una regione compresa nei lobi prefrontali del cervello. Secondo la teoria comunicativa le emozioni permettono di prendere decisioni senza perdersi in ragionamenti complessi. La transizione a un’emozione genera un segnale positivo per incoraggiarci a perseverare, o negativo per metterci in guardia da un pericolo incombente. Queste reazioni istintive, che Damasio chiama marcatori somatici, ci permettono di rispondere con uno sforzo di riflessione minimo.

La valutazione cognitiva che conduce a un’emozione può essere conscia o inconscia, ma la transizione all’emozione è sempre inconscia. Non possiamo attivarla o disattivarla a piacere. I sentimenti sono involontari.

I testi letterari possono suscitare emozioni reali riguardanti eventi irreali: si ride o si piange di fronte a quella che sappiamo essere una finzione. Il percorso tra ragionamento ed emozioni procede in entrambi i sensi.

Le inferenze evocano emozioni e le emozioni evocano inferenze. Anche se la cosa più importante per suscitare un’emozione è una transizione inconscia che ha inizio da una valutazione, il primo anello della catena causale può essere un’inferenza conscia. Giungiamo a una conclusione di cui siamo consapevoli e questa produce una transizione inconscia a un’emozione.

Le inferenze che generano un’emozione possono riguardare eventi immaginari o ipotetici. Leggiamo di un incendio in un racconto. Immaginiamo che potrebbe accadere a casa nostra e comincia l’ansia. La capacità di metterci nei anni di qualcun altro fino a immaginare ciò che pensa è il presupposto dell’empatia. Ogni sorta di inferenza, dalle intuizioni inconsce alle deduzioni consce può generare un’emozione.

In una serie di esperimenti Oatley et al. (1996) hanno osservato gli effetti delle inferenze che i partecipanti facevano su alcune storie. Ad esempio, nel racconto di Russel Banks Sarah Cole: a

type of love story, un uomo tronca una relazione sentimentale agendo con grande crudeltà. L’effetto

sui partecipanti ad uno degli esperimenti era di renderli tristi o adirati. Quelli tristi tendevano a ragionare sugli eventi passati della storia, quelli adirati sui futuri.

Le emozioni ci fanno inoltre ragionare sulle loro cause: si pensi al pensiero controfattuale, che concerne un’alternativa immaginaria alla realtà dei fatti. Esso chiama in causa due stati di cose: ciò ch’è accaduto e ciò che sarebbe potuto accadere nella possibilità alternativa, controfattuale, per pensare alla quale è necessaria l’immaginazione. Si prendono in considerazione tali possibilità per imparare dagli errori, per correggere i piani andati a monte, per rallegrarsi in seguito ad un evento fortunato. Molte emozioni complesse, come il rammarico, il senso di colpa e la vergogna nascono così e a loro volta alimentano il pensiero controfattuale.

Anche in questo caso, come si può vedere, il rapporto tra l’elaborazione di un’ipotesi ed il lavoro dell’immaginazione sembra risultare provato.

8.4 Emozioni e letteratura

Secondo Keith Oatley “l’arte…consiste in simulazioni che si attivano nel nostro sistema cognitivo, e ha la funzione di chiarire meglio la relazione fra le emozioni, gli scopi e le azioni, e quindi migliorare i modelli del sé. La nostra capacità di immaginare e svolgere nella nostra mente i piani degli altri deriva dalla nostra abilità nell’immedesimarci nella simulazione artistica” (Oatley 1997, p. 222). In tutte le società è presente l’uso di raccontare storie finzionali. Alcuni tipi di narrazioni, come storie d’amore o di conflitti in cui il bene è minacciato ma alla fine trionfa sono presenti nelle culture di tutto il mondo (Hogan, 2003).

La narrativa letteraria in quanto funzionale ha al centro dei suoi testi le emozioni. Proprio come l’esperienza delle emozioni primarie è un evento centrale nella terapia centrata sulle emozioni, così la catarsi, come l’ha definita Aristotele, chiarendo la relazione delle emozioni con l’azione umana, è elemento di importanza centrale nel leggere la narrativa (Oatley et al., 2006).

Una spiegazione di ciò viene proposta da Scheff (1989). Egli sostiene che tutte le pratiche sociali, comprese le storie, hanno al centro la possibilità non solo di sperimentare emozioni, ma di sperimentarle in rapporto a ciò che egli chiama la distanza estetica. Scheff sostiene che se eventi emotivamente nocivi sono provati come sconvolgenti, come nel trauma, o se ci distanziamo troppo da essi, come quando ci difendiamo dalle nostre emozioni, allora accumuliamo una sorta di arretrati emotivi che distorcono le nostre vite emozionali. Ciò che fa la narrativa è fornire segnali di ricordo che riportino alla mente le nostre emozioni, ma in un contesto di sicurezza dove possiamo sperimentarle ad una distanza estetica.

Scheff ritiene che sperimentando le emozioni in questo modo possiamo assimilarle alla comprensione di noi stessi con effetti terapeutici. Il messaggio letterario è sotto il controllo della persona coinvolta più di molti tipi di terapia: Cupchik & Laszlo (1994) sostengono che i passaggi finzionali che forniscono un insight sono letti con maggiore lentezza e riflessione di altri tipi di sequenze.

Inoltre la letteratura richiede che il lettore crei per se stesso lo spazio e gli eventi che sono sperimentati, entri in questo spazio e si impegni in esso. Si tratta dello spazio dell’immaginazione, non solo dello scrittore che provvede soltanto a fornire suggerimenti, ma del lettore. Nell’età adulta questo è lo stesso tipo di spazio rappresentato dal gioco nell’infanzia (Winnicott, 1971). Il lettore si accosta al romanzo per goderne e lo apprezza anche quando le emozioni che sperimenta sono negative, come nel thriller, per cui se ne deduce che gli esseri umani preferiscono essere in uno stato emozionale che non esserlo.

Perché si trova divertente l’esperienza delle emozioni? Forse perché quando le si sperimenta esse ci assorbono, e il piacere è un altro modo per dirsi pienamente coinvolti (Goffman, 1961). Ma l’arte può trasformare. Gli eventi in un romanzo non sono sperimentati allo stesso modo in cui li si sperimenta nella vita quotidiana, ma in una sorta di simulazione che non è collegata ai computers, ma alle menti (Oatley, 2004b), o in una sorta di sogno (Miall & Kuiken, 2002). In questo spazio immaginario si sperimentano le emozioni, non quelle dei personaggi, ma le proprie (Oatley, 2002). E come si cambia in ogni attività della vita, tanto più si può essere cambiati quando si entra nello spazio dell’immaginazione emozionale.

Gli esseri umani (Rolls, 2007, pp. 450-451) possono essere molto interessati alle vite emotive degli altri, perché questo può avere un impatto sulle loro stesse vite. Inoltre essi lo sono riguardo a chi sta cooperando con qualcuno, e le chiacchiere riguardo a ciò possono anche aver agito come una pressione selettiva per l’evoluzione del linguaggio (Dunbar, 1996).

In queste circostanze l’interesse affascinato per la rivelazione dei pensieri e delle emozioni degli altri (usando la capacità descritta dalla teoria della mente in Frith & Frith, 2003) e l’empatia che può facilitarlo (Singer et al., 2004) avrebbero un valore adattivo, sebbene sia difficile da un punto di vista computazionale creare un modello delle menti e delle interazioni dei gruppi, e non perdere di

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