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14. Dalla lateralizzazione emisferica alla embodied cognition: un riepilogo

14.3 Mental simulation

Sin dall’inizio della psicologia scientifica gli studiosi sono stati affascinati dalla stretta relazione tra corpo, cognizione ed emozione. Già nel 1890 James aveva osservato che ogni rappresentazione di un movimento risveglia in qualche grado il movimento attuale che ne è l’oggetto. Oggi si possiede un maggior numero di evidenze sistematiche in ordine ad un legame tra l’emozione e l’embodiment. Il mero pensare riguardo a contenuti emozionali suscita incipienti espressioni facciali (Cacioppo et al., 1988) e attivazioni del cervello simili a quelle che accompagnano gli incontri con reali oggetti emozionali (Damasio et al., 2000).

Allo stesso modo un grande numero di studi ha scoperto che gli osservatori apertamente o di nascosto tendono ad imitare il comportamento di chi hanno intorno, inclusi gesti e posture del corpo, espressioni facciali e anche il tono emozionale della voce. Comunque sia, ci si chiede: perché gli individui assumono espressioni e posture emozionali quando pensano alle emozioni? Perché attivano circuiti neurali simili? Perché imitano le espressioni e i gesti di altri?

Parecchi studi hanno ora chiaramente documentato il ruolo dell’esperienza in fenomeni come l’imitazione automatica. Tale possibilità porta qualcuno a pensare che gli effetti sensorimotori siano in termini causali sottoprodotti inefficaci di processi di ordine più elevato. Altri pensano che un sistema basato su di un apprendimento associativo possa giocare un ruolo causale nel riconoscimento e nella comprensione di azione ed emozione, ma dubitano che ci sia bisogno di assunti oltre l’approccio associativo standard. In contrasto con l’embodied cognition suggeriscono che la partecipazione attiva dei processi sensorimotori sia parte integrante del proceso di percezione emozionale, comprensione, apprendimento ed influenzamento. In base a questa descrizione, la ri- creazione indiretta della condizione di un altro fornisce informazioni riguardo al significato dello stimolo e può andare oltre le associazioni stabilite in precedenza. Se le cose stanno così, l’inibizione o la facilitazione delle risorse somatosensorie dovrebbe influenzare la percezione e la comprensione degli stimoli emozionali.

Nell’ambito della organizzazione della conoscenza concettuale la forte forma della struttura della simulazione non riguarda soltanto l’ordine in cui l’informazione è processata, ma anche la rappresentazione del contenuto intenzionale, includendo sia i concetti dell’oggetto, sia le rappresentazioni sottostanti alle abilità della teoria della mente (Caramazza, Mahon, in Coltheart, Caramazza, eds., 2005, pp. 27). La struttura della simulazione propone l’argomento per cui il comprendere è necessariamente mediato dai processi di produzione, essendo una forma di azione. Quando soggetti adulti guardano una specifica espressione del volto altrui, vengono attivati i muscoli corrispondenti nel viso dell’osservatore (il rilievo avviene attraverso l’elettromiografia). Un’interpretazione simulazionista di tali scoperte assume che la capacità di inferire emozioni dall’osservazione dei volti di altri dipende dall’abilità di simulare le espressioni osservate.

Il problema teorico inerente alla embodied simulation risulta maggiormente cogente per la simulazione le cui evidenze risultano dagli studi sulla simulazione visiva e motoria (Gallese, Lakoff, Rumiati, in Caramazza, 2005).

Va esaminato in prima istanza il luogo d’azione dei neuroni: esperimenti di neuroimmagine funzionale provano la presenza di un cluster posto nella corteccia ventrale premotoria e nel profondo del solco intraparietale. Essi sono stati attivati quando i soggetti hanno visto o sentito stimoli provenienti da uno spazio circostante la loro persona. La significatività è relativa al fatto che una delle aree attivate durante tale percezione è l’area premotoria, che più probabilmente dovrebbe controllare i movimenti diretti ad oggetti nello spazio peripersonale.

In secondo luogo risultano interessanti i neuroni attivati in esperimenti in cui ai soggetti è stato chiesto di osservare, menzionare in silenzio e immaginare di fronte ad oggetti di uso comune. In questi casi c’è stata attivazione della corteccia ventrale premotoria, regione cerebrale attivata quando si verifica l’uso di quegli stessi strumenti per compiere delle azioni.

In terza istanza vi sono i neuroni a specchio: diverse metodologie e tecniche sperimentali hanno dimostrato negli esseri umani l’esistenza di un sistema simile a quello osservato nelle scimmie, che armonizza e fa incontrare azione, osservazione ed esecuzione. In particolare è stato evidenziato che durante l’azione e l’osservazione c’è una forte attivazione delle aree premotorie e parietali, che molto probabilmente sono negli umani le aree omologhe rispetto a quelle scoperte nelle scimmie. Gli esseri umani hanno la capacità di immaginare realtà che hanno visto o meno in precedenza, un potere verosimilmente infinito.

La mental imagery è stata considerata a lungo come uno degli aspetti più caratteristici della mente umana, dato che è stata utilizzata per compendiare la sua natura decorporeizzata, disembodied. La mental imagery è stata pensata come astratta e fantastica, lungi e a prescindere dall’essere connessa ad azioni e ad oggetti reali. Le cose stanno diversamente, alla luce delle scoperte neuroscientifiche: si sa ora che l’imagery visuale e motoria sono embodied, incorporate. La prima è relativa al fatto che alcune delle stesse parti del cervello utilizzate nella visione sono usate nell’immaginazione visuale (Farah, 2000; Kosslyn e Thompson, 2000). La seconda postula che alcune delle medesime parti cerebrali usate nell’azione siano impiegate nell’azione motoria (immaginazione del fatto che si verifichi l’azione). Pertanto a livello del cervello l’immaginazione non è separata dalla percezione e dall’azione (Jeannerod, 1994). L’evidenza deriva da diversi studi. Ad esempio il tempo necessario per scandire con la neuroimmagine una scena visiva è virtualmente identico al tempo impiegato per scandire la stessa scena quando è soltanto visualizzata con la mental imagery. Inoltre quando il soggetto si impegna nell’immaginare una scena visuale, si attivano regioni cerebrali (corteccia visiva primaria) normalmente funzionali quando si percepisce la stessa scena visivamente. La motor imagery mostra la stessa natura embodied. Quando si imposta in termini di imagery il compimento di una data azione, ad esempio di tipo fisico, parecchi parametri corporei, come il battito cardiaco e la frequenza respiratoria, si comportano in modo simile a quando si realizza attualmente la stessa azione.

La motor imagery e l’azione reale attivano entrambi un network comune di centri motori cerebrali, come la corteccia premotoria, l’area motoria supplementare, i gangli basali ed il cerebellum. Le attività cognitive tipiche dell’uomo, come l’imagery visuale e motoria, lungi dall’essere disembodied, attivabili secondo modalità libere e di natura simbolica, si servono dell’attivazione delle regioni sensorio-motorie del cervello.

Si rende ora necessario analizzare come questi risultati delle neuroscienze caratterizzino in termini neurali i concetti delle azioni, applicando ad essi la nozione di embodiment. L’attività svolta da ciò che viene chiamato concetto può essere compiuta da schemi caratterizzati da parametri e dai loro valori-indici, schemi che consistono in un network di clusters, gruppi di settori, funzionali. Lo schema è dunque costituito da un network; si tratta di un cluster per ogni parametro e uno per ogni valore del parametro, oltre ad un cluster di controllo: se esso è attivo, ciascuno dei parametri e dei valori che li accompagnano è attivo. Queste sono le condizioni neurali computazionali che nei network si possono definire schemi. Essi si possono riferire alla nozione di concetto, ma non del tutto, dato che i concetti sono stati a lungo tradizionalmente pensati come se fossero riflessioni dirette o rappresentazioni della realtà esterna.

Gli schemi sono la sintesi di una inter-azione e derivano dalla natura del corpo, dalla natura del cervello e dalla natura delle nostre interazioni sociali e fisiche con e nel mondo. Gli schemi non sono dunque puramente interni né sono rappresentazioni pure della realtà esterna.

All’interno di uno schema relativo ad un’azione si potrebbe considerare un agente individuale, un oggetto con parametri fisici, la localizzazione iniziale dell’oggetto, la fase di partenza dell’azione verso il luogo dell’oggetto, la fase centrale di rapporto attivo tra soggetto e oggetto, in cui l’azione è funzionale ai parametri fisici di quest’ultimo, la condizione dello scopo con l’effettuazione dell’azione e lo stato finale con l’agente che controlla l’oggetto. Questa è la struttura dello schema in termini di parametri neurali e di valori-indici.

La valenza simbolica di definizioni del genere di stato finale non significa attribuire al cluster una realtà simbolica, ma un nome al cluster funzionale, che da un punto di vista computazionale si attiva

come unità neurale. Per quanto riguarda la struttura inferenziale dei concetti, essa è una conseguenza della struttura di network del cervello e della sua organizzazione in termini di clusters funzionali. Questa organizzazione cerebrale è una conseguenza della storia evolutiva, dunque del modo in cui il cervello è stato modellato dalle interazioni corporee e con il - nel mondo.

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