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La complessa interazione tra i diversi livelli di governance nella giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di OGM

Costituzione e mercato

3. La complessa interazione tra i diversi livelli di governance nella giurisprudenza comunitaria e nazionale in tema di OGM

L’approdo rivoluzionario, culminato nella dir. 2015/412, è stato fortemente suggerito dalle costanti pressioni esercitate da un numero consistente di Stati membri che, a partire dagli anni Novanta, hanno palesato le loro perplessità in ordine alla coltivazione degli OGM, trovando voce nelle sentenze comunitarie Greenpeace e Monsanto, oltre che nelle recenti vicende nazionali Fidenato-Dalla Libera.

Il tentativo embrionale degli Stati membri di ritagliarsi margini di autonomia in ordine alla coltivazione e alla commercializzazione di OGM è stato primariamente attuato attraverso il ricorso

16 Cfr. considerando 6 dir. 2015/412. 17 Cfr. considerando 6 e 8 dir. 2015/412.

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alle clausole di salvaguardia e alle misure di emergenza previste dal diritto comunitario, oltre che attraverso lo sforzo, effettuato a livello nazionale, di estendere gli spazi di discrezionalità riconosciuti agli Stati nell’ambito delle procedure amministrative dettate dalla normativa comunitaria in materia di immissione in commercio degli OGM19.

Gli aspetti problematici connessi all’espletamento delle procedure di cui alla dir. 1990/220 e al reg. 258/97, sono stati oggetto di importanti pronunce della Corte di Giustizia, inquadrabili nell’ambito del contenzioso amministrativo comunitario.

Segnatamente, la sentenza della Corte di Giustizia, del 21 marzo 2000, Causa C-6/99, Association

Greenpeace France e al. c. Ministère de l’Agriculture et de la Pêche e al. in Racc., 2000, I- 1651 ss 20, avente ad oggetto i profili sostanziali della direttiva n. 1990/22021, intende fornire una definizione del

rapporto esistente tra le competenze della Commissione e quelle delle autorità nazionali nell’ambito della procedura di autorizzazione all’immissione in commercio di prodotti contenenti o costituiti da OGM.

Dalla disamina della pronuncia emerge come la Corte di Giustizia abbia eluso di considerare compiutamente le problematiche connesse al rispetto del principio di precauzione, salvo ribadire che la comunitarizzazione della procedura di immissione sul mercato degli OGM risponde al precipuo scopo di privare gli Stati membri della possibilità di pilotare le decisioni ricorrendo a mere esigenze egoistiche di opportunità politica nazionale.

Da tale angolo visuale si comprende il ruolo svolto dall’amministrazione interna chiamata ad intervenire nella fase conclusiva del procedimento come mera autrice di un atto di esternazione del provvedimento di autorizzazione rilasciato dalla Comunità, i cui elementi risultano già predeterminati a livello sovranazionale.

Tuttavia, nell’ottica di contemperare la complessità degli interessi in lizza, la Corte ha inteso conferire agli Stati membri margini di discrezionalità residua sia nella fase iniziale, condotta dall’autorità nazionale competente e avente ad oggetto l’esame di conformità della notifica, sia nel momento successivo ed eventuale in cui lo Stato, destinatario originario della notifica, intenda tornare sui propri passi, invocando la clausola di salvaguardia per contestare l’inadeguata valutazione dei rischi derivanti dall’immissione in commercio del prodotto contenente OGM.

Il passaggio da un modello di controllo di legalità logico-formale ad un modello teleologico, inteso ad individuare, in un’ottica precauzionale, le soluzioni realisticamente confacenti al caso concreto, inizia ad apprezzarsi nella sentenza della Corte di Giustizia, del 9 settembre 2003, causa C- 236/01, Monsanto Agricoltura Italia S.p.a. e al. c. Presidenza del Consiglio dei Ministri e al., in Racc., I-8105 ss22 la quale focalizza l’attenzione sul principio di precauzione, escludendo ogni applicazione potenzialmente abusiva dello stesso e, dall’altro, scartando le versioni minimaliste del principio.

19 A tale riflessione è pervenuta V. Rinaldi, Il confronto tra Stati membri e Unione europea in materia di OGM nella

giurisprudenza nazionale e comunitaria, in Dir. commercio internaz., 4, 2014, 1011.

20 Corte giust., sent. 21-3-2000, Causa C-6/99, Association Greenpeace France e al. c. Ministère de l’Agriculture et de la Pêche

e al. in Racc., 2000, I- 1651 ss. Sulla sentenza Greenpeace si vedano: I. Canfora, La procedura per l’immissione in commercio

di OGM e il principio di precauzione, in Dir. giur. agr. e ambiente, 2001, 375 ss.; L. Costato, OGM: ora tocca alla Corte, in Riv .dir. agr., 2000, 124 ss.; A. Gratani, La tutela della salute e il rispetto del principio di precauzione a livello comunitario. Quando le autorità nazionali possono impedire la coltivazione di OGM all’interno del proprio territorio, in Riv. giur. ambiente, 2000, 457

ss.

21 Secondo la procedura dettata dalla abrogata dir. 1990/220 l’autorità statale era chiamata ad effettuare l’esame di

conformità della notifica e, in caso di esito positivo, a disporre la trasmissione del fascicolo alla Commissione. Quest’ultima trasmetteva la notifica alle competenti autorità degli altri Stati membri onde consentire agli stessi di proporre obiezioni. In assenza di obiezioni, l’autorità domestica prestava il consenso scritto alla notifica. In caso contrario, la Commissione, all’esito della procedura di comitato, adottava una decisione, anche favorevole, alla quale l’autorità statale dava il consenso.

22 Corte giust., sent. 9-9-2003, causa C-236/01, Monsanto Agricoltura Italia S.p.a. e al. c. Presidenza del Consiglio dei

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La pronuncia in analisi origina da un’articolata vicenda che ha visto la società Monsanto, unitamente ad altre aziende produttrici di grano, impugnare innanzi al TAR Lazio il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4 agosto 2000, volto a sospendere in via cautelare la commercializzazione e l’utilizzo sul territorio italiano di alcune varietà di granturco transgenico.

La Corte di Giustizia, nel pronunciarsi sulla legittimità del decreto italiano, ha disposto che il ricorso alla procedura semplificata di immissione sul mercato (ex art. 5 del reg. 258/97) non ostava all’applicazione della clausola di salvaguardia (ex art. 12 reg. 258/97)23 la quale, in attuazione del

principio di precauzione, permetteva di assumere misure conseguenti senza attendere che l’effettività e la gravità dei rischi fossero scientificamente dimostrate. In tale circostanza, la Corte ha altresì precisato che le misure di tutela assunte dagli Stati in forza di una clausola di salvaguardia, non possono considerarsi validamente motivate laddove si ricorra ad un approccio meramente ipotetico del rischio, fondato su supposizioni prive di fondamento scientifico.

È agevole rilevare che il caso Monsanto aveva ad oggetto la normativa di uno Stato membro intesa a vietare la commercializzazione e l’utilizzo (ma non la coltivazione) di OGM sul proprio territorio nazionale.

In Italia, l’affaire Monsanto è tornato di grande attualità nelle vicende Fidenato e Dalla Libera24 aventi ad oggetto il divieto di coltivazione (non di commercializzazione) della varietà di mais transgenico MON 810, sancito dal decreto ministeriale del 12 luglio 2013 recante «Adozione delle misure d’urgenza ai sensi dell’art. 54 del regolamento n. 178/2002».

Per l’esattezza, il governo italiano, consapevole dell’impossibilità di vietare la coltivazione di OGM sul proprio territorio nazionale ricorrendo all’art. 26 bis della dir. 2001/18, ha inteso modificare la base giuridica di un tale provvedimento restrittivo invocando l’art. 34 del reg. 1829/2003. In buona sostanza, l’esecutivo italiano, dopo aver informato la Commissione circa la necessità di mettere in atto misure di urgenza, ha provveduto ad adottare il decreto menzionato inteso a vietare per un periodo di diciotto mesi la coltivazione del MON 810 nel territorio nazionale.

Con sentenza TAR Lazio, III quater, del 23 aprile 2014, n. 4410/2014, il Tribunale ha respinto il ricorso per annullamento del decreto in questione, proposto dall’agricoltore friulano, argomentando sulla base del richiamo al principio di precauzione.

Muovendo dall’asserto per cui sarebbe erroneo invocare la precauzione comunitaria allo scopo di legittimare l’adozione di misure di emergenza in presenza di un rischio meramente ipotetico, l’agricoltore friulano ha appellato la sentenza citata innanzi al Consiglio di Stato invocando, in primo luogo, il travisamento di fatto e la violazione degli artt. 34 e 23 del reg. 1829/2003.

Dal canto suo, il Supremo Consesso è pervenuto all’approdo cristallizzato nella sentenza del Consiglio di Stato, III, del 6 febbraio 2015, n. 605/2015, statuendo in ordine alla legittima adozione di misure cautelari provvisorie da parte dello Stato membro qualora la Commissione, nonostante la segnalazione effettuata dalle autorità nazionali, sia rimasta inerte o abbia motivatamente comunicato di non voler intervenire. Tanto posto, a parere del Consiglio di Stato, è ragionevole ricondurre il decreto ministeriale impugnato nel novero di dette misure cautelari in quanto lo stesso rappresenterebbe una misura d’urgenza giustificata dalla necessità di prendere in considerazione la

e precauzione: il rischio alimentare tra diritto comunitario e diritto interno, in Foro it., IV, 2004, 248 ss.; F. De Leonardis, op.cit.,

116; L. Marini, La sostanziale equivalenza dei prodotti alimentari geneticamente modificati alla luce della sentenza Monsanto e

degli sviluppi della normativa comunitaria, in Dir. comm. int., 17, 2003, 854-863.

23 Cfr. punto 114 parte motiva Corte giust., sent. 9-9-2003, causa C-236/01, cit.

24 TAR Lazio, III quater, sent. 23-04-2014, n. 4410/2014 in www.foroitaliano.it e Cons. Stato, III, sent. 6-2-2015, n.

605/2015 in www.giustizia-amministrativa.it. Per un commento E. Blasi, I nuovi margini del potere decisionale degli Stati

europei in materia di organismi geneticamente in Riv. quadrim. dir. ambiente, 1, 2015, 150; T. Di Paolo, Analisi ragionata della giurisprudenza amministrativa. Coltivazione di OGM in Italia: Sentenza T.A.R. n. 4410/2014 e sentenza del Consiglio di stato n. 605/2015 in C. Bottari (cur.), La sicurezza alimentare, Bologna, 2015, 267-271.

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presenza di ulteriori fattori di rischio non precedentemente valutati. Ciò sulla base del rilievo che la concessione di coltivare mais transgenico in base ad un’autorizzazione risalente (datata 1998 e mai rinnovata) rappresenterebbe «una situazione di concreto e attuale pericolo tale da giustificare l’adozione del decreto impugnato».

Per i suesposti motivi il Consiglio di Stato ha statuito in ordine alla fondatezza del decreto ministeriale in questione, definendolo per l’appunto «corretta applicazione del principio comunitario di precauzione».

4. Conclusioni

Nell’attuale società del rischio è tangibile una spinta propulsiva a spostare la funzione di regolazione oltre lo Stato; ciò è particolarmente evidente in materia di food security attesa la rilevanza extranazionale del settore alimentare e le dimensioni necessariamente sovranazionali dei problemi connessi.

Dalla disamina condotta è emersa l’esigenza di conferire unità europea alla funzione della sicurezza alimentare mediante l’instaurazione di un collegamento stabile e formalizzato tra autorità europee, nazionali e Istituzioni dell’UE.

A volte, tale compresenza tra livelli differenziati di governance determina problemi di coordinamento, particolarmente evidenti nel settore delle biotecnologie agro-alimentari, campo elettivo per l’esplosione di conflitti di interesse. Difatti, mentre la Commissione europea ha sempre salvaguardato le esigenze di natura economico-commerciale, guardando al settore degli OGM come campo strategico dell’economia comunitaria; diversamente le istanze di tutela della salute hanno da sempre formato oggetto di prioritaria attenzione a livello nazionale.

Se ne inferisce che un importante aspetto problematico sotteso alla food security va ravvisato nella ricerca di un necessario bilanciamento di valori e interessi sulla base del rilievo che le strategie afferenti la tutela della salute potrebbero collidere con le logiche del liberismo economico.

Nel settore delle biotecnologie agro-alimentari, la ricerca di un punto di equilibrio tra istanze contrapposte ha conosciuto progressivi interventi, recentemente culminati nella dir. 2015/412 intesa ad irrobustire il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri in ordine al potere di limitare o vietare la coltivazione di OGM in una parte o nella totalità del loro territorio.

Invero, trattasi di un tentativo di contemperamento non definitivo in quanto la direttiva in questione provvede esclusivamente a regolamentare il divieto di produrre OGM, lasciando inevase le questioni afferenti la possibilità per gli Stati membri di limitarne e vietarne la commercializzazione sul proprio territorio.

Nell’aprile 2015 sono state avanzate proposte di modifica del reg. 1829/2003 intese a riformare il meccanismo di autorizzazione all’immissione di OGM, nell’intento di introdurre una procedura simile a quella volta a regolamentare l’autorizzazione alle coltivazioni.

Tuttavia, se la dir. 2015/412 ha riscosso ampi consensi, l’eventuale riforma della disciplina delle importazioni, investendo direttamente il principio della libera circolazione oltre che gli interessi sottesi all’industria mangimistica italiana, produrrà resistenze ed effetti di sistema non trascurabili.

Difatti, a fronte di una tale riforma, la dialettica degli interessi in gioco spazierebbe su un piano globale e assumerebbe una fisionomia assolutamente eccentrica.

Segnatamente, al tradizionale conflitto di interessi esistente tra imprese produttrici di OGM, Stati e Commissione, si affiancherebbe un ulteriore contrasto dialettico che vedrebbe in contrapposizione l’interesse europeo di composizione, rappresentato dalla sintesi degli interessi degli Stati membri, e

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l’interesse dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) che, sostanzialmente, si identifica con l’interesse privato dei produttori di OGM.

Alle considerazioni esposte si aggiunga che è in negoziazione, tra Europa e Stati Uniti, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) finalizzato ad armonizzare le normative sul libero mercato allo scopo di ridurre le barriere commerciali che limitano lo scambio di prodotti e servizi, inclusi i prodotti alimentari. In caso di approvazione del Trattato, non può escludersi che le normative europee sugli OGM, maggiormente restrittive rispetto a quelle statunitensi, potrebbero essere impugnate e condannate come barriere commerciali illegali.

In conclusione, atteso che la dimensione globale tende a favorire le esigenze del libero mercato e tenuto in debito conto che l’Unione europea ha assunto obblighi internazionali in seno alla WTO, può ragionevolmente affermarsi che, allo stato dell’arte, non è agevole prospettare una riforma intesa a rafforzare ulteriormente, in un’ottica precauzionale, il margine di manovra concesso agli Stati in ordine alla disciplina di importazione degli OGM.

Abstract

Food system is an area of problematical tensions and implies a hard distribution in competences among National States, European Union together with global Organizations. In order to understand the interactions between these different levels of government, the article focuses on the specific field of the GMOs (genetically modified organisms), considered as a microcosm showing general trend lines. The debate on GMOs is more than ever in the current historical moment in which Europe is trying to define the direction in which to proceed, constantly searching for a reasonable balance between conflicting needs and interests. The dialectical conflict in the field of biotechnology can be structured as follows: on the one hand, the emphasis on the construction of a common European market, which should be implemented through the promotion of free competition as well as the development of trade liberalization; on the other one, the need to protect the fundamental right to health. This conflict has caused the debate since the nineties, influencing the evolution of legislation and case law. From this angle of view, the article aims to analyze EU regulatory actions made in the above mentioned balancing perspective, recently culminated in the Directive 2015/412 enacted by the European Parliament and by the Council of 11 March 2015.

Il ruolo dell’informazione nella disciplina consumeristica e l’ambivalente natura del

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