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La rinnovata governance della finanza pubblica tra valorizzazione del patrimonio pubblico e tutela dei diritt

La riforma dell’articolo 81 della Costituzione tra flessibilità operativa, valorizzazione del patrimonio pubblico e tutela dei diritt

2. La rinnovata governance della finanza pubblica tra valorizzazione del patrimonio pubblico e tutela dei diritt

Il sistema delineato dalla riforma del 2012 definisce dunque con maggior rigore gli esiti delle procedure di bilancio ed i contenuti dei documenti di finanza pubblica imponendo loro più stringenti obblighi di risultato; ma, al contempo, vi affianca ipotesi derogatorie fin troppo vaghe e scarsamente circoscritte. Il nuovo modello di governance economico-finanziaria che ne deriva impone quindi alcune riflessioni conclusive, generali e di sistema, tra loro strettamente connesse.

Anzitutto, sembra doveroso un maggiore sforzo ricostruttivo verso una “coesistenza pacifica” tra imposizione di vincoli alla finanza pubblica e garanzia e promozione dei diritti civili e sociali. La necessità di ridurre le risorse pubbliche sembrerebbe, infatti, comportare una limitazione dei diritti riconosciuti in capo ai consociati che incorrerebbero così, oltre al tradizionale criterio del bilanciamento con i contrapposti interessi, in un limite intrinseco di natura finanziaria capace di comprimerne ulteriormente il perimetro applicativo sottoponendoli alla c.d. riserva del possibile21.

La riforma del 2012 “costituzionalizzerebbe” quindi il criterio della vincolatività economica cui soggiace lo spazio di espansione dei diritti civili e sociali, definendo un rapporto diretto tra il loro “costo” e la determinazione delle (sempre più scarse) risorse pubbliche destinategli.

A ben vedere però, il rapporto esistente tra esigenze di contenimento della spesa e piena affermazione di tali diritti (e dell’ordinamento liberal-democratico che questi delineano) merita di essere ricostruito non in un’ottica di contrasto ma di complementarietà. Certo, molto dipende da come in concreto i meccanismi di controllo della finanza pubblica vengono attuati, ma il limite alla crescita incontrollata del debito pubblico che questi garantirebbero mirerebbe, con i conseguenti esiti in termini di stabilizzazione economica, a porre l’intero sistema al riparo dai rischi derivanti dalle potenziali degenerazioni dello stato assistenziale e dalle gestioni finanziarie incontrollate che spesso ne scaturiscono. In questa prospettiva allora, anche in attuazione della teoria dei controlimiti, i vincoli di bilancio agirebbero come baluardo rispetto alla compressione che in casi particolarmente gravi (quali il default) proprio quei diritti storicamente subiscono, individuandone un nucleo essenziale da preservare e tutelare.

Inoltre, la riforma del 2012 apre oggi la strada anche ad un sostanziale ripensamento del perimetro operativo riconosciuto alla gestione della finanza pubblica22.

21 Sul principio della c.d. Vorbehalt des Möglichen secondo cui l’erogazione delle prestazioni a carico dello Stato, pur

garantendone un livello minimo essenziale deve sempre tener conto delle disponibilità finanziarie del bilancio pubblico, si vedano i più recenti interventi giurisprudenziali, quali le sent. 10-12-2013, n. 310; 09-07-2014, n. 219; 09- 02-2015, n. 10 e 12-05-2015, n. 155, della Corte costituzionale ed i molti spunti dottrinali, tra cui, A. Pace, Libertà e diritti

di libertà, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2009; A. Ruggeri, “Livelli essenziali” delle prestazioni relative ai diritti e ridefinizione delle sfere di competenza di Stato e Regioni in situazioni di emergenza economica (a prima lettura di Corte cost. n. 10 del 2010), in www.forumcostituzionale.it, 2010; R. Calvano, La tutela dei diritti sociali tra meccanismo europeo di stabilità e legalità costituzionale ed europea, in www.costituzionalismo.it, 2013; C. Padula, Dove va il bilanciamento degli interessi? Osservazioni sulle sentenze 10 e 155 del 2015, in www.federalismi.it, 2015.

22 Sul punto si veda G. Pisauro, La regola costituzionale del pareggio di bilancio e la politica fiscale nella Grande Recessione:

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La flessibilità che pervade l’intero sistema, pur accompagnata dai necessari profili di rigidità23,

consente, infatti, di superare il tradizionale binomio tra riduzione della spesa pubblica (sia questa attuata attraverso tagli lineari o in regime di spending review) ed incremento del debito pubblico, pur finalizzato a promuovere spese d’investimento. In mezzo a questi due poli esiste una terza via che, anche grazie agli esiti ultimi della riforma, sembrerebbe oggi più agevolmente percorribile: quella, cioè, della valorizzazione del patrimonio pubblico.

Agendo in questa direzione, infatti, oltre alla dismissione dei componenti patrimoniali non più sostenibili (o comunque sottoposti ex lege a regimi di privatizzazione) o rispetto ai quali sia più proficua un’immediata cessione al mercato per esigenze finanziarie di breve periodo24 è possibile

delineare un primo percorso di piena messa a reddito per quegli assets che, se sapientemente valorizzati, consentirebbero, a fronte di un impegno di spesa iniziale, un incremento delle entrate extratributarie ed una maggiore stabilizzazione della finanza pubblica. Ne deriverebbe così, nel lungo periodo, un radicale cambio di prospettiva rispetto al modo con cui guardare all’impiego delle risorse pubbliche25 e, più in generale, al concreto svolgersi dell’attività di gestione dei beni pubblici anche in

direzione del perseguimento delle funzioni cui questi sono destinati e del soddisfacimento dei sottesi interessi generali ad esse connessi.

Tra i settori in cui la necessità di un’opera di razionalizzazione e riqualificazione non fine a sé stessa ma funzionale alla valorizzazione in senso “assiologico” degli assets pubblici appare più incalzante, particolare attenzione merita quello del patrimonio mobiliare dello Stato e degli Enti locali, ovvero delle quote di partecipazione che questi detengono in società miste o totalmente pubbliche ed in particolare in quelle incaricate della gestione e fornitura di servizi pubblici26.

Si tratta di un settore assai peculiare ove le esigenze di compressione del perimetro pubblico e del suo costo sono strettamente connesse proprio alla promozione di quegli interessi pubblici – e dei diritti fondamentali che questi sottendono – emergenti dall’oggetto stesso (il servizio pubblico) dell’attività che tali società svolgono. Tuttavia, pur nella sua specificità, l’analisi dell’impatto dei processi di razionalizzazione della finanza pubblica su questi segmenti del patrimonio pubblico consente comunque di individuare problematiche e principi validi in via generale.

Nelle diverse normative in materia27, accanto ad interventi di riorganizzazione delle strutture

interne delle società pubbliche (anche sul versante dei costi di gestione) e ai vincoli diretti posti in capo alle amministrazioni pubbliche, l’obiettivo di fondo è rimasto, però, prevalentemente quello della mera dismissione delle quote azionarie ritenute non più strategiche e redditizie, secondo logiche di maggior rigore contabile, affiancata da espressi divieti alla loro nuova assunzione (e alla costituzione di tali società).

23 Specie i limiti che questa pone all’incremento della spesa pubblica il cui tasso annuo di crescita, ridimensionato, è

rimesso dalla l. 243/2012 ai documenti di finanza pubblica.

24 Nel rispetto ovviamente dei diversi regimi proprietari stabiliti in materia di beni pubblici dagli art. 822 ss. c.c. e dei

diversi vincoli alla loro alienabilità che questi pongono, su cui G. Colombini (cur.), I beni pubblici tra regole di mercato e

interessi generali, Napoli, Jovene, 2009.

25 Pur non intervenendo direttamente sul versante delle entrate (art. 53 Cost.), la nuova governance della finanza

pubblica consentirebbe, secondo quanto già è avvenuto con il patrimonio immobiliare (benché con risultati non esaltanti) e con quello culturale, di intervenire sulle poste attive di bilancio. Sul punto S. Cassese, I beni culturali: dalla

tutela alla valorizzazione, in Giorn. dir. amm., 1998, 673 ss. e M. Dugato, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità sociale, su www.aedon.mulino.it, 2007.

26 Sul tema, sia consentito il rinvio ad A. Antonelli, Regole per valorizzare il patrimonio mobiliare degli enti locali nel processo

di revisione della spesa, in M. Passalacqua (cur.), Il «disordine» dei servizi pubblici locali. Dalla promozione del mercato ai vincoli di finanza pubblica, Torino, 2015, 209 ss.

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Se questo percorso appare coerente e necessario rispetto al fenomeno delle c.d. società strumentali degli Enti pubblici28 analoghe conclusioni non varrebbero, in applicazione anche di un

doveroso principio di differenziazione, per altre tipologie societarie, tra cui le stesse società incaricate della gestione di servizi pubblici. Per queste seconde, infatti, sembrerebbe assai più convincente intraprendere la strada della valorizzazione “in senso stretto” che unita ai pur imprescindibili e connessi processi di revisione della spesa consentirebbe un reale potenziamento della capacità reddituale dei cespiti patrimoniali che vi sono sottoposti (i.e. il patrimonio azionario) a vantaggio dell’Ente proprietario29.

Per comprendere a fondo le implicazioni di un tale processo gestorio occorre anzitutto individuarne quelli che dovranno esserne i principi cardine chiamati a definirne gli obiettivi ed i canoni operativi che diano loro concreta attuazione.

Un primo profilo di analisi riguarda il concetto stesso di valorizzazione. Questa non solo comporta un potenziamento della “ordinaria” attività di gestione del patrimonio pubblico ma, tenuto conto delle specificità materiali degli assets che ne sono oggetto, consente la realizzazione di un’opera di conferimento o accrescimento del valore degli stessi – con conseguente incremento di ricchezza per il soggetto che ne è titolare –, favorendo, nel caso del patrimonio azionario, la messa a reddito e la successiva produzione di maggiori indici economici e finanziari (e profitti) dalle partecipazioni detenute anche accrescendone la capacità patrimoniale30.

Definito il profilo concettuale dell’attività di valorizzazione occorre poi individuare lo spazio materiale entro cui darle corpo tenendo conto che questa, per produrre effetti concreti, non può limitarsi ad investire singole componenti patrimoniali ma deve piuttosto coinvolgere l’insieme complessivo degli assets dell’Ente che vi ricorre guardando, in via generale, a tutte le partecipazioni detenute ed ai rapporti giuridici di natura economica che ne derivano. Sarà così possibile un più efficace potenziamento degli attivi patrimoniali anche grazie agli effetti sinergici che tale operazione produrrebbe in virtù della sua dimensione organica e sistemica31.

Ma il dato operativo di maggior interesse rispetto a questa attività è quello connesso alla possibilità di fare ricorso non solo a poteri ed atti di natura amministrativa-autoritativa, pur dotati di profili contrattuali, ma anche a strumenti di tipo privatistico, societari e finanziari, nonché all’intervento di risorse private. La valorizzazione consente così, al soggetto pubblico di accedere allo strumentario tipico del diritto privato – ed in particolare del diritto societario (si vedano, in tema di società pubbliche, le ipotesi di fusione o aggregazione di società, di internalizzazione delle funzioni

o di quotazione su mercati regolamentati) –, unendovi la possibilità di un diretto coinvolgimento dei

soggetti privati, chiamati ad apportare non solo risorse finanziarie ma anche le conoscenze tecniche (know-how) maturate in quel determinato settore economico.

28 Ove tuttavia rischia di tradursi in un abbandono dei principi di efficienza tipici della gestione societaria con il ritorno

all’esercizio diretto, da parte degli Enti stessi, delle connesse attività.

29 Una simile impostazione sarebbe sembrata in parte emergere dalla legge di stabilità per il 2014 (l. 147/2013) e dalla

legge delega per la riforma della pubblica amministrazione (l. 214/2015).

30 Potenziando cioè non solo la capacità delle partecipazioni detenute di generare flussi finanziari per l’ente detentore

ma, prima ancora, la possibilità che dalla loro titolarità derivino per questo ulteriori e potenzialmente profittevoli situazioni giuridiche di vantaggio (ovvero i connessi diritti proprietari sulla società cui le quote di partecipazione appartengono).

31 Sul versante più strettamente operativo, il processo di valorizzazione richiede poi una preliminare attività di

censimento dei beni cui si rivolge ed una contestuale opera di pianificazione strategica degli interventi da realizzare in direzione della complessiva governance del patrimonio pubblico.

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L’Ente detentore potrebbe allora agire come “collettore” tra pubblico e privato svolgendo un ruolo a tutto campo: non limitandosi a gestire il proprio patrimonio ma, al fine di incrementarne le potenzialità reddituali, potendo intervenire direttamente, pur nel rispetto di taluni vincoli di natura pubblicistica connessi all’attività economica svolta (si pensi agli obblighi di servizio pubblico), sui complessivi profili organizzativi, gestionali e patrimoniali della società partecipata verso la loro valorizzazione industriale32.

Pur dovendone dare una lettura sintetica ed ancorata al tema delle società di gestione dei servizi pubblici locali, è evidente come da tale processo possano emergere spunti ben più generali, interessanti ed originali con cui affrontare la sempre più necessaria opera di ristrutturazione dei bilanci pubblici. La conseguente positiva interazione tra le diverse componenti patrimoniali e finanziarie pubbliche potrebbe così essere indirizzata non alla loro mera ed asettica delimitazione ma, affianco ad essa, ad accrescerne la piena capacità di generare nuove fonti di reddito.

Ed è proprio sul terreno della valorizzazione del patrimonio pubblico che la tutela dei diritti civili e sociali, pur in presenza dei rinnovati vincoli di finanza pubblica33, può conoscere nuova e più

proficua possibilità di emersione.

La flessibilità del sistema dispiegherebbe, così, i propri effetti positivi sul ciclo economico- finanziario e, agendo sul versante delle entrate (accrescendole) e delle spese (razionalizzandole), consentirebbe una più corretta predeterminazione delle priorità che il soggetto pubblico deve perseguire anche e soprattutto in direzione della promozione dei diritti dei consociati. Le risorse così ottenute, infatti, non dovrebbero essere destinate al solo rispetto dei parametri di finanza pubblica, secondo una visione puramente contabilistica, ma potrebbero invece essere funzionali proprio alla possibilità di garantire (e finanziare) una più profonda opera di tutela e promozione di tali diritti34

non necessariamente sorretta dalla sola spesa in deficit.

Ragionando in questa prospettiva, allora, equilibrio di bilancio e sostenibilità finanziaria da un lato, flessibilità procedurale e valorizzazione del patrimonio pubblico dall’altro, diverrebbero i canoni operativi, tra loro interdipendenti, di un più complesso sistema di governance economico-finanziaria i cui meccanismi di sana e corretta gestione, agendo anche sul versante delle entrate extratributarie, sappiano liberare risorse da impiegare nella tutela della stabilità economia e, da ultimo, proprio in direzione della garanzia dei diritti e della promozione di quel benessere collettivo che questi contribuiscono ad individuare.

Abstract

The Italian constitutional reform, experienced in 2012 during the financial crisis, introduces in the Italian legal system, in application of new European rules, budget balance and public debt sustainability. The new public- finance’s management system, supported by an evident flexibility, while imposing a pubblic-spending’s reduction, allows to identify a new prospective in civil and social rights promotion, through the management and development of public assets.

32 Sul tema della valorizzazione industriale delle società partecipate incaricate di servizi pubblici locali, si veda M.

Passalacqua (cur.), Il «disordine» dei servizi pubblici locali, cit., passim ed in particolare 295 ss.

33 È questo vale ancor più nel settore dei servizi pubblici locali i quali, al di là del profilo della valorizzazione, per loro

natura sono già chiamati e rapportarsi con il tema della tutela dei diritti (e delle connesse esigenze che mirano a soddisfare) celati dietro le attività economiche ad essi connesse.

34 Garantendo, a monte, un’attività di incentivazione e promozione dello sviluppo economico e sociale del Paese da

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