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Il 法 fa, una storia ancora in corso

Chi scrive si trova ora in Cina, terra della contraddizione e dell’armonia degli opposti1, ma che pure

conosce un certo qual similes cum similibus nel detto 物以类聚,人一群分, «Gli stessi oggetti stanno insieme, le stesse persone stanno insieme». A volte scettica sulla presunta ambiguità naturale o intenzionale della lingua cinese e forse pure confusa quanto alla dichiarata difficoltà di introdurre in Cina la visione occidentale del diritto e dei diritti, conviene sul punto: le persone con una stessa mentalità operano insieme. Ma il tema che c’impegna è politicamente delicato e tecnicamente più complesso. La Cina, tra cultura e diritto, rispetta un sistema materiale di valori peculiari per la differente deriva storica, e la costruzione di un sistema giuridico e di garanzie dei diritti qui non avviene con completezza e puntualità. La contrapposizione tra l’astrattezza del diritto moderno e la concretezza del diritto antico qui rivive.

Al controllo reciproco dei poteri sovrani si sostituisce un controllo reciproco e talvolta anche sgradevolmente occhiuto tra individui e individui, tra gruppi (familiari o parafamiliari, qual è un

team di lavoro) e altri gruppi. La garanzia dei diritti fondamentali è cosa lontana o vicina a seconda

del punto di osservazione. Le regole precostituite sono altre da quelle formalizzate e sono, rispetto a quelle, ben più risalenti nel tempo. Esse paiono davvero trascorrere fluide, di generazione in generazione, come l’inchiostro al quale s’intingono i pennelli nell’imparare la calligrafia. Nulla ancora qui segna il passaggio alla variante storica dell’assolutismo giuridico; il diritto non campeggia sul potere politico, gli è soggetto e deve servire ai suoi scopi. A ben vedere, resta dunque un mistero la via che la Cina seguirà – qualora mai la seguisse – per edificare il suo sistema fondandolo su una “legge a tinta unita” piuttosto che dai chiaroscuri (o colori2…) cinesi. La morale confuciana e il

materialismo storico insieme al materialismo scientifico fondano una forma di dittatura aborigena (la “dittatura democratica del popolo”, com’è definita in Costituzione). In modo non sotterraneo, ma epidermicamente sperimentabile, il diritto è modellato dall’etica, come in passato.

Pare, a questo proposito, saggio citare G. di Plinio3, liddove scrive: «Gli economisti hanno sempre

tratto lezioni dalla storia, i costituzionalisti no, ostinandosi a credere che sono le Carte, la “bella” politica, il volontarismo e i pubblici poteri a creare e a modellare i confini economici e il ruolo dello Stato nelle grandi fasi storiche dell’economia». È un richiamo alla storia ed agli imperativi economici materiali. Debbono servire da bussola nell’indagare l’anima sociale di un sistema costituzionale (detto altrimenti, forse che non tutti i sistemi costituzionali abbiano innanzitutto una vocazione sociale?). La stessa complessa e multiforme idea di “Costituzione economica” è un contenitore di idee sempre aperto. Frequente è la constatazione che la parola “Costituzione” viene usata in una

1 L’armonia delle relazioni sociali si fonda su un innato senso dell’irrilevanza della contraddizione e del suo continuo

fluire tra posizioni non irriducibili, ma fluide e correlate e in tal modo naturalmente omogenee. La civiltà cinese non conosce (o poco vi si attarda) la logica aristotelica che suddivide il ragionamento in fasi distinte e cozzanti (la tesi e l’antitesi che si contrastano fino alla sintesi), ma abbraccia le opposizioni concependole all’interno di un’irriducibile (e, per chi scrive, affascinante e ben più verosimile) complementarietà. Si voglia, sul punto, leggere il molto interessante L. Moccia, Il diritto in Cina. Tra ritualismo e modernizzazione, Torino, 2009.

2 Cosa s’intenda per “colori cinesi” (espressione ricorrente nelle formule e negli slogan giuridico-politici cinesi) non è

dato di capire con esattezza. Parrebbe una formula di comodo, larga, generica, volutamente cromatica… per non distinguere, con Deng Xiaoping, il bianco dal nero, e per poter praticare molti modi, in molti tempi, senza troppe spiegazioni. Ad ogni conto, anche la ricerca di questi “colori” fa parte della ricerca del giuscomparatista e, nella misura in cui la rende enigmatica, la rende ancora più bella.

3 Si legga per intero G. di Plinio, Rule of law / Fazhi (法治): il diritto in Cina tra WTO e Asian Values, Working Papers n.

2/2011, Università G. d’Annunzio – Dipartimento di Scienze Giuridiche. E, dello stesso autore, anche Id., Sulla

Costituzione economica. Contributo per una teoria degli effetti costituzionali dell’economia, Working Papers n. 8/2008,

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molteplicità di significati, anche quando non viene ulteriormente qualificata con il ricorso ad uno degli aggettivi cui abitualmente si accompagna (formale, materiale, rigida, flessibile, politica, vivente…). La perenne attualità del problema della Costituzione invita ad una tale elasticità lessicale e semantica. In Cina poi la Costituzione – intesa quale carta scritta – è documento giuridicamente rilevante? Il processo di giuridicizzazione trova in Cina stabilità e certezza nel documento scritto?

Occorre invertire l’ordine abituale dell’argomentazione giuridica, per “utilità ermeneutica”, e guardare ai principi quali si inverano. Nel conformarsi alle cose, la Costituzione può forse perdere il suo significato mitico, ma conserva ed esalta la sua qualità di atto consapevole di conformazione degli assetti di una convivenza collettiva.

Quanto alla prevalenza materiale dell’economia, il diritto opera secondo criteri politici, l’economia opera secondo criteri di efficienza. L’economia segue i percorsi segnati dalla ponderazione dei ricavi e dei costi, delle esternalità, dell’incontro tra domanda e offerta, dell’efficiente allocazione delle risorse disponibili. La Cina, perdipiù, non impone condizioni politiche o giuridiche, ma solo apertura commerciale. E che la westernisation della Cina avvenga o meno, occorre forse già chiedersi quanto più cinese stia invece diventando l’Occidente. E ancora, quanto transiti il diritto attraverso l’etica o quanto transiti l’etica attraverso il diritto.

Il processo è cieco. Continua G. di Plinio: «L’exploit cinese si è sviluppato in parallelo al suo velocissimo adattamento alle regolazioni internazionali dell’economia. Questa sua Costituzione economica (materiale) costituisce insieme rottura e completamento sul piano informale\effettuale della Costituzione formale cinese». E pare doveroso aggiungere che un approccio formalista non solo renderebbe invisibile l’azione della storia e di fenomeni oggettivi di dimensione statale e sovrastatale (la globalizzazione dei mercati), ma risulterebbe sordo e miope alle stesse dichiarazioni di partito, che ammettono un perdurante stazionamento del Paese nella sua iniziale (e forse anche finale) fase del socialismo4; una fase iniziale che dunque neppure si autodefinisce interamente socialista.

La più essenziale fonte di legittimità per il partito risiede oggi nella sua capacità di proporsi come credibile portatore di benessere a settori sempre più ampi della società. La costruzione dello Stato di diritto in Cina, quel processo di affermazione della legalità intesa proprio come certezza o prevedibilità delle regole giuridiche, è fin qui strumentale all’immagine di player responsabile e credibile nell’arena globale. In funzione dell’adesione alla WTO5 (世界贸易组织 o 世贸组织 o anche,

ancora più brevemente, 世贸), ad esempio, oltre 1400 atti normativi primari e secondari sono stati modificati e sono scomparse le c.d. normative 内部 neibu (normative interne, non conoscibili e tuttavia efficaci erga omnes), favorendo una maggiore conoscibilità delle leggi. Ma nei contrasti tra l’eredità del sistema politico leninista e le esigenze della modernizzazione, restano ancora molte le lacune relative alla chiarezza delle disposizioni e al loro rigore applicativo (lacune peraltro aggravate dalla corruzione endemica del sistema).

Secondo la risoluzione europea dello scorso aprile, l’economia socialista di mercato cinese non è economia di mercato. Pur essendo stata ammessa dal 2001 alla WTO, la Cina a tutt’oggi non soddisfa per intero i criteri fissati da Bruxelles ed il loro soddisfacimento resta la precondizione per la concessione di tale status6.

Anche il percorso giuridico cinese dovrà svolgersi a garanzia dell’industria e dei lavoratori europei e occorrerà, in breve, garantire, più pienamente, agli operatori economici stranieri condizioni di effettiva parità e di rispetto di standard adeguati di trasparenza e di non discriminazione.

4 In Costituzione cinese ci si imbatte, ad esempio, nell’espressione 沿着中国特色社会主义道路 (lungo la via del

socialismo con caratteristiche cinesi).

5 Accurato sul tema R. Cavalieri, L’adesione della Cina alla WTO. Implicazioni giuridiche, Lecce, 2003. 6 MES, Market Economy Status.

Il nuovo ciclo di riforme verso il “sogno cinese”7 stimola ad un ulteriore approfondimento.

Attraverso la retorica del “sogno cinese” Xi Jinping sintetizza l’obiettivo di realizzare una “società moderatamente prospera” entro il 2020 e intende restituire alla Cina piena autorevolezza nel sistema internazionale, auspicando che la sua mancata adesione al modello politico-istituzionale e socio- economico occidentale venga considerata un’esperienza irriducibilmente distinta e pienamente legittima. Obiettivi e sfide del nuovo ciclo di riforme (il 13° piano quinquennale) sono “nuove Vie della seta”: all’assestamento della crescita annua del PIL intorno al 6,5% si prevede si accompagnino politiche volte a promuovere la sostenibilità dello sviluppo economico in campo ambientale e sociale, una sempre maggiore qualità della vita e la garanzia per tutti di un’esistenza decorosa. Una crescita contenuta, moderatamente prospera, espressa col termine 小康, (indicante un idealtipo di benessere moderato), che si rinviene nella poesia classica cinese del VI secolo a.C.

E sono così ancora la lingua e la cultura (incorporata nei morfemi stessi) a traghettare la politica e le logiche giuridiche in Cina. E lingua, cultura, poesia, arti in Cina tramandano valori etici. L’etica cinese (confuciana e daoista al contempo) è il nucleo della sua Costituzione materiale. Oggi tale centralità viene richiamata nei discorsi ufficiali e si vuol espressamente “tornare a Confucio”8. Quasi

che Confucio9 fosse mai stato realmente messo all’angolo e dimenticato.

Se si potesse ridurre ad un unico principio l’intero insegnamento impartito dal Maestro e proseguito poi dai discepoli della sua scuola, si potrebbe azzardare di rinvenirlo in un’evidenza giuridica suo malgrado. E il Maestro la direbbe antica questa evidenza, che è antica e moderna, poiché ampiamente vera. Essa abita in tale assunto: la regola etica, diversamente da quella giuridica, non può essere imposta10. Dunque non può essere trasformata in regola giuridica: la regola etica si impone

con l’esempio, con la coerenza dei comportamenti seguiti e comunemente praticati e sentiti, a mo’ di rito collettivo o di professione laica di fede nell’uomo. L’uomo cinese è homo socialis, che sa stare al mondo insieme agli altri e, a ragione o a torto, non contempla se stesso come individuo distinto, ma più spesso si autogiudica all’interno della schiera dei legami che mantiene.

Il tessuto connettivo della società e del suo diritto (un diritto materiale, un diritto antico e nuovo, tradizionale e moderno, non scritto) provoca reazioni nell’economia. Sono vere e proprie sanzioni quelle che ineluttabilmente scattano contro chi non compia il suo dovere e non consenta il progresso della famiglia, del gruppo, della società, del paese. Il paese vive il suo “sogno” e lo declina in modo composto e scomposto al contempo, rispettando formule di cortesia e accordi di tipo transnazionale

7 Lo slogan in Cina è 中国梦 Zhongguo meng e, due anni fa, con la sua ideazione fu pure pensato di coinvolgere in un

programma radiofonico la voce degli ascoltatori, sollecitandoli a dare giornalmente una propria risposta a cosa intendessero per “sogno cinese”. La stessa domanda veniva posta anche in una competizione orale tra studenti internazionali cui partecipava la scrivente e, ancora, veniva posta ad una sua amica cinese che affrontava invece un colloquio di selezione per insegnare cinese in Tailandia. Nessuno aveva allora un’unica risposta sul tema e lo slogan, perfetto quanto inafferrabile, investiva l’immaginario di tutti.

8 Volutamente si dice “tornare a Confucio” per rimandare alla lettura di M. Scarpari, Ritorno a Confucio. La Cina di oggi

tra tradizione e mercato, Bologna, 2015.

9 Confucio (latinizzazione del cinese 孔夫子 Kong fuzi, ossia “maestro Kong”), vissuto tra il VI ed il V secolo a. C.,

divulgò per primo le regole del 礼 li e amava ripetere: “Che il principe sia principe, il ministro ministro, il padre padre e il figlio figlio”. Educava i suoi allievi al rispetto doveroso dei ruoli e delle precedenze e non credeva né ad un mondo trascendente né ad una filosofia del linguaggio. Era uomo di poche parole e predicava con l’esempio, insegnando che solo la parola che avesse ascendente pratico era parola utile. Si rinvia a L. Lanciotti, Che cosa ha veramente detto Confucio, Roma, 1968; e ancora a M. Scarpari, Il confucianesimo. I fondamenti e i testi, Torino, 2002, nonché dello stesso M. Scarpari,

La concezione della natura umana in Confucio e Mencio, Venezia, 1991. Indispensabile M. Granet, Il pensiero cinese, Milano,

2011 e F. Jullien, Il saggio è senza idee o l’altro della filosofia, Torino, 2002. A margine pure N. Mazzaracchio, Il pensiero

giuridico cinese delle origini, Diritto & Religioni, Cosenza, 2014.

10 Riposa nell’antichissimo detto 礼不下庶人,法不上大夫 (Il li non si abbassa sino al popolino, il fa non sale sino ai

signori) la creduta incompatibilità dei due sistemi di regole (la regola etica e la sanzione penale); il divario tra loro parrebbe incolmabile.

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(l’adattamento alle regolazioni internazionali dell’economia), ma seguendo daoisticamente anche la propria via, non rinunciando alla propria identità in divenire.

Il puzzle cinese è un rompicapo; il nesso tra “design delle etiche e modo di produzione” (come lo definisce con evidenza plastica G. di Plinio) è nesso scorrevole tra cultura, materia e mercato. Le funzioni derivate del capitalismo sono altrettanto ignote, se alle porte del terzo millennio «un arcano problema ricorrente in tutte le scienze sociali è se l’efficienza economica di un ordinamento politico sia condizionata dal livello di democrazia e diritti che essa esprime, e\o se sia vero l’inverso, cioè che il deficit sul versante dei diritti e della democrazia può essere colmato solo quando la performance economica di uno Stato sia qualitativamente e quantitativamente elevata». La Cina ha realizzato una Costituzione economica implicita. Essa collide con l’etica comunista recepita formalmente nella Costituzione scritta; essa è al di fuori del diritto posto nella fonte delle fonti. E’ incorporata sul piano effettuale e materiale ed è necessaria per competere nell’economia internazionale e con i suoi standard occidentali da libero mercato.

La “politica dei piccoli passi” formalizzerà anche questa pratica dei commerci? Gli obblighi internazionali della Cina e l’impegno al rispetto dei diritti dell’investitore estero confliggono con il sistema dato nella forma e il diritto del mercato fa il suo corso, sotto ogni cielo. La crescita economica, la stabilità sociale, l’integrità territoriale – finalità tutte di rango costituzionale – si trovano connesse, e gradualmente in misura maggiore, con gli adattamenti materiali delle istituzioni cinesi al mercato, alle logiche del benessere e del profitto. Si potrebbe alla lunga realizzare uno sviluppo del costituzionalismo materiale sempre più ampio e in linea con le trasformazioni della società cinese. Dal canto suo, la law in action non ha bisogno di essere verbalizzata. Il learning process cinese seleziona vie nuove inseguendo risultati di crescita. Il ciclo produttivo e commerciale veicola le sue etiche: i principi del mercato, le logiche del profitto come valori costituzionali taciuti o trattenuti, secondo “un’economia di parole”.

Il principe Yuan della dinastia Song chiamò a raccolta i pittori. Tutti gli artisti si presentarono, fecero gli inchini e poi restarono in piedi a inumidire i pennelli con le loro labbra e a preparare l’inchiostro. Erano così numerosi che la metà di loro rimase fuori. Ve ne fu uno che arrivò in ritardo e sedette tra gli altri, ma fermo e a occhi chiusi, in una contemplazione lunga e immobile di sé, del fluire del tempo. E mentre gli altri si adoperavano nei propri disegni, rimaneva fermo a occhi chiusi, destando stupore tra i presenti. Interrogato allora sul perché non elaborasse alcunché, rispose placido: «Si impara solo ciò che si è imparato a vedere». La tecnica segue l’osservazione intima dei fenomeni; l’integrazione economica internazionale della Cina anticipa e disegna gli sviluppi del suo pensiero giuridico e delle tecniche normative, tra governo dell’uomo e governo della legge.

Abstract

The paper can not provide answers to the lively and slow debate (and the contradiction shall not frighten as it is typical of the turbulent and quiet development of China) on legal or, more broadly, socio-economic dynamics of the country, but it may perhaps briefly illustrate the disputation between the adoption of more uniform and

recognizable trading rules and the link - sometimes hard to conceive - with the ancient rules of li11. The still-

ongoing story of fa12 is re-examined in a necessary definition of the Chinese economic Constitution.

11 Il termine 礼 li, oggi confluito anche nel termine composto 礼貌 limao (buona educazione, gentilezza), esprime un

sistema di regole non scritto e seguito dal gentiluomo, uomo superiore che autocoltiva la propria condotta virtuosa seguendo le maniere proprie di una “buona educazione” confuciana. Indica il comportamento più corretto, il più appropriato alle diverse relazione sociali (ben descritte nelle “cinque relazioni” confuciane) e affonda i suoi imperativi in ragioni etiche di tipo tradizionale, nella cerimonia e nel rituale religioso del clan dei Zhou. Conformarsi al rito, sin dai tempi più antichi, equivaleva a conformarsi all’ordine del mondo. Per un’ampia e approfondita analisi sul tema, si legga R. Cavalieri, La legge e il rito. Lineamenti di storia del diritto cinese, Milano, 2001.

12 Il 法 fa può dirsi la più vicina approssimazione disponibile, per il giuscomparatista, alla nozione occidentale di

diritto positivo. Si usa pure distinguerlo in un “vecchio diritto” (旧法 jiufa) ed in un “nuovo diritto” (新法 xinfa): il primo sarebbe vecchio perché anteriore alla fondazione della Rpc nel 1949 e comprenderebbe le discipline scritte valse sotto la guida politica del Guomindang (forse più noto al lettore come Kuomintang); il secondo si dice “nuovo” perché

ius positum dopo il 1949, sotto la guida del partito comunista cinese. Curiosamente si rinviene anche l’espressione 口

语法 kouyufa (lett. “diritto orale”) per il diritto tradizionale, “indigeno” della Cina, non scritto. Si legga ancora il meraviglioso testo di R. Cavalieri, La legge e il rito. Lineamenti di storia del diritto cinese, Milano, 2001, nonché le voci relative al carattere 法 fa all’interno di P.R. Bilancia, Dictionary of Chinese Law and Government, Stanford, California, 1981.

Il problema della Wirtschaftsverfassung e la critica del capitalismo monopolistico in

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