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La Public Choice e la Constitutional Political Economy

Keynes il fuorilegge: racconto comparatistico di una messa al bando costituzionale

1. La Public Choice e la Constitutional Political Economy

L’utilizzo della lente d’ingrandimento comparatistica permette di ricondurre il sostrato ideologico del vincolo costituzionale del pareggio di bilancio alle riflessioni degli esponenti della c.d. ‘teoria della scelta pubblica’ (Public Choice)1.

L’armamentario teorico della scuola virginiana (Center for Study of Public Choice2) affonda le sue radici nel movimento giuridico post-moderno di Law and Economics del quale per una parte vengono ripresi gli assunti tradizionali, mentre, nel contempo, altri di innovativi se ne aggiungono3.

Un primo elemento di originalità rispetto alla radice tradizionale, per ciò solo, si può far coincidere con l’impegno teso a trasferire la discussione all’interno della cittadella giuspubblicistica, fino ad allora considerata - a differenza di quanto accaduto con il diritto dei traffici privati – territorio del tutto immune dalla speculazione efficientista ed economicista4.

Il diverso oggetto di studio - nonché l’angolo di osservazione del tutto “eterodosso” rispetto alle dinamiche di mercato care ai colleghi di Chicago – contribuisce in parte a giustificare la visione (neo- )contrattualistica della Pubblic Choice5.

Come è noto, la nascita della dottrina in esame si fa convenzionalmente risalire agli scritti istituzionalisti del Premio Nobel per l’economia James Buchanan6, ed in particolare alla

pubblicazione del volume – confezionato con Gordon Tullock - ‘The Calculus of Consent: Logical

Foundations of Constitutional Democracy’ (1962)7.

1 Per un’introduzione generale di matrice comparatistica cfr., per tutti, N. Gauropa, T. Ginsburg, Economic analysis and

comparative law, in The Cambridge companion to comparative law, M. Bussani, U. Mattei (a cura di), Cambridge, 2012, 57

ss., in particolare 65-66; per una panoramica essenziale si veda anche N. Mercuro, S. G. Medema, Economics and the

Law: From Posner to Post-modernism, Princeton, Princeton University Press, 1998, 84 ss. Quanto alla letteratura italiana,

di fondamentale contributo il volume di G. Napolitano, M. Abrescia, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, 31-40. Da ultimo, per una trattazione proveniente dalla stessa dottrina economica, cfr. E. Marelli, M. Signorelli,

Politica Economica: teorie, scuole ed evidenze empiriche, Torino, 2010, 477-479.

2 Il centro di ricerca venne istituito nel 1957 presso l’University of Virginia, per poi trasferirsi in un secondo momento

(1983) presso la George Mason University, dove tutt’ora ha sede.

3 Sulla genesi ed i caratteri del movimento giuseconomico doveroso il riferimento a G. Minda, Postmodern Legal

Movements: Law and Jurisprudence At Century's End, New York and London, 1995, 83-105.

4 Ibidem, 98: l’autore inserisce la Teoria in una nuova generazione di analisi economica del diritto che si

contraddistingue e differenzia – rispetto alla prima ondata (Coase, Calabresi e Posner) - per una maggiore eccletticità e per un consistente pragmatismo.

5 Cfr. G. Napolitano, M. Abrescia, op. cit., 32.

6 James Buchanan conseguirà il premio nel 1986, sulla scia di altri macroeconomisti neoclassici: Friedrich von Hayek

nel 1974 e Milton Friedman nel 1976. Per una (originale) storia economica, presentata attraverso le biografie dei suoi Premi Nobel, si rinvia a T. Karier, Intellectual Capital: Forty Years of the Nobel Prize in Economics, Cambridge, 2010, in particolare 28-33. Per meglio comprendere le ragioni dell’accantonamento – economico, e quindi politico – della teoria keynesiana, e dunque il correlato cambio di paradigma a favore dei monetaristi, assolutamente magistrale la spiegazione offerta da J. K. Galbraith, Storia dell’economia, Milano, 2013, 300 ss.

7 Ad onor del vero, c’è chi rinviene le fondamenta strutturali degli studi di Pubblic Choice nelle riflessioni

dell’economista Kenneth Arrow - ed in particolare in quello che venne poi ribattezzato ‘teorema dell’impossibilità’ – così come già contenute nel libro del 1951 ‘Social Choice and Industrial Values’. Non potendo indugiare sulla complessa speculazione organizzata da Arrow, non resta che rinviare all’analisi condotta da A. Cerri, Dal contrattualismo al

principio di maggioranza: approccio giuridico ed approccio economico-matematico al processo politico,

ANTONIO IANNÌ

L’opera buchaniana, poi arrichitasi nel corso degli anni con una produzione amplissima, già nelle sue prime battute concentra buona parte dell’ideal core costituzionalistico della scelta pubblica8.

Il primo dei pilastri su cui si fonda la speculazione di Buchanan – ed in un secondo momento dei suoi allievi – si ricollega all’assunto secondo il quale ogni contesto collettivo (enti, istituzioni ed organismi) sia intellegibile anche e soprattutto per il tramite del comportamento degli individui che, attraverso connessioni ed interazioni reciproche, operano al suo interno (individualistic postulate)9.

Altrimenti detto, si ribalta il paradigma organicistico a favore di uno spiccato individualismo tanto metodologico che sociologico: «Avendo rifiutato la concezione organica dello stato … ci ritroviamo con una concezione puramente individualista della collettività. Consideriamo l’azione politica come il prodotto dell’azione di individui che scelgono di perseguire i loro scopi collettivamente piuttosto che da soli, e il governo niente di più di un insieme di processi, un meccanismo, che consente a tale azione collettiva di aver luogo»10. A ben vedere, si tratta di un presupposto concettuale

particolarmente dirimente per l’intera costruzione teorica, in mancanza del quale il ragionamento economico sarebbe difficilmente estendibile in area politologica.

Il gruppo, così destrutturato nelle sue unità, si “riscopre” popolato ed animato da soggetti identificabili con quell’homo oeconomicus che rappresenta l’attore per eccellenza delle sceneggiature di Law and Economics: con l’unica differenza che l’agire razionale, prima di allora, non era mai stato esteso alla sfera pubblica in maniera così categorica11.

Ebbene, ragionando in riferimento all’arena politica, l’interesse esclusivo che tale homo intenderebbe massimizzare coincide con l’acquisizione, dapprima, e con la conservazione, dappoi, delle posizioni apicali nello scenario amministrativo-istituzionale. Nel caso dei policy makers l’obiettivo d’azione sarà guidato dalla tanto agognata rielezione, mentre, per il personale burocratico, si tratterà di perpetuare e consolidare le proprie prerogative gestorie.

Il terzo – ed ultimo – tassello è costituito dalla rappresentazione del processo politico-legislativo come piazza di scambio, né più e né meno di quanto accade all’interno dell’ordinario meccanismo di mercato12.

Esaurita la disamina statica della piattaforma ideologica della Pubblic Choice, non resta che spostare l’attenzione sulla sua declinazione dinamica e prescrittiva.

A questo proposito, Buchanan e sodali ritengono che nei regimi democratico-rappresentativi le istanze provenienti dalla base si tradurrebbero inesorabilmente – e malauguratamente - in una crescita incontrollata delle politiche di spesa, le quali saranno decise da governanti (parlamentari ed esecutivi) interessati alla sola, pronta e reiterata conferma elettorale13. Peraltro, ad accrescere

l’insieme delle uscite contribuirebbe un collaudato meccanismo di solidarismo corporativo (c.d.

J. M. Buchanan, G. Tullock, trad. it., Il calcolo del consenso. Fondamenti logici della democrazia costituzionale, Bologna, 1998, 427 ss. Cfr. anche, tra le trattazioni più recenti, P. Martelli, Analisi delle istituzioni politiche, Torino, 2012, 103 -110.

8 Si può qui ricordare che buona parte degli scritti sono consultabili all’interno dello spazio web della ‘Liberty Fund’ in

www.econlib.org, organizzazione statunitense che si prefigge lo scopo di contribuire alla diffusione della cultura liberista e libertaria.

9 Per una sintetica - ma efficace - destrutturazione della Teoria, per tutti, si rinvia a G. Napolitano, M. Abrescia, op. cit.,

33-36.

10 J. M. Buchanan, G. Tullock, op cit., 58.

11 Peraltro, gli stessi Buchanan e Tullock si mostrano ben coscienti dei limiti del modello della razionalità individuale

(ivi, 85-88), specie se applicato alle scelte di politica collettiva. Cionondimeno concludono che «aspettative comparativamente più modeste non costituiscono una ragione sufficiente per distoglierci dal tentativo di elaborale modelli di questo genere» (ivi, 88). Per una composita messa in discussione dell’ideologia dell’agente razionale cfr., ad esempio, il recente contributo collettaneo: AA. VV., Oltre il soggetto razionale. Fondamenti cognitivi e razionalità limitata

nel diritto privato, G. Rojas Elgueta, N. Vardi (a cura di), Roma, 2014.

12 J. M. Buchanan, G. Tullock, op cit., 355 ss. 13 Ibidem, 383-384.

logrolling): l’orizzonte opportunistico comune innescherebbe all’interno delle forze partitiche,

ancorché idealmente contrapposte, un reciproco ed incrociato gioco di sostegni legislativi14.

Così ragionando, tra le altre cose, si finisce per confondere pericolosamente le relazioni egoistico- privatiste con quelle solidaristico-pubbliche, dimenticando – o fingendo di dimenticare – che esiste pur sempre una netta distinzione tra partiti e rappresentanze elettorali, da un lato, e gruppi di potere/pressione dall’altro: solo i primi, e non anche i secondi, sono tenuti a motivare le loro scelte in modo trasparente, non ultime quelle di compromesso parlamentare sulle quali si imporrà il successivo giogo della responsabilità politica15.

Da ultimo, quanto ai burocrati: per i sostenitori della Pubblic Choice, le alte dirigenze solleciterebbero l’estensione della mano pubblica nella convinzione che ciò possa accrescere la macchina amministrativa e quindi, di risulta, il loro dominio sulla gestione esecutiva degli interessi di natura collettiva16.

La retorica appena riassunta presenta l’ovvio corollario dell’abbandono assoluto di ogni politica economica di welfare, specialmente se di stampo keynesiano17. Invece, non altrettanto scontato appare

il risultato prescrittivo cui si perviene come possibile rimedio per lo scenario finora riassunto e che tanto sembra allarmare i teorici della scelta pubblica.

In quest’ottica, l’unica soluzione auspicabile sarebbe quella di una rifondazione istituzionale che imponga la dimensione della ‘costituzione finanziaria’ al di sopra di ogni altra matrice (eventualmente) presente nel testo fondamentale: in particolare, si tratta di costringere per via costituzionale ad una politica annuale di pareggio del bilancio pubblico, sacrificando dunque le disposizioni di tenore redistributivo. Così facendo si offrirebbe il solo antidoto realmente efficace per ogni possibile tentazione di spesa in deficit. In altre parole, attraverso l’inserimento di una sorta di

Grundnorm finanziario-costituzionale si disinnescherebbe la “perversione” quasi coessenziale ad ogni

sistema democratico-rappresentantivo: «A meaningful constitutional norm is required, independently of

just what this norm might be within rather broad limits. Budgets cannot be left adrift in the sea of democratic politics»18.

Ad impedire il virtuoso processo di costituzionalizzazione si frapporrebbe, ovunque in Occidente, quello «scribacchino accademico» di Lord Keynes che, all’opposto, «ha lasciato carta bianca ai politici: ha distrutto i vincoli al normale desiderio dei politici di spendere e spendere senza la pur evidente necessità di tassare. Da una valutazione oggettiva risulta che politicamente il keynesianismo rappresenta sostanzialmente una malattia che nel lungo periodo può essere fatale alla sopravvivenza della democrazia»19.

Prescindendo dai furori retorici appena menzionati, spesso dalla natura gratuitamente offensiva, la “messa al bando” della proposta keynesiana passa per una critica economico-politica che si può così sintetizzare: l’implementazione del compromesso keynesiano causerebbe una spirale

14 In origine, lo studio del sistema di scambi incrociati fu oggetto di ricerca da parte del solo Tullock: cfr. G. Tullock,

Problems of Majority Voting, in J. Pol. Econ., 67, 1959, 571-579.

15 Sulla necessaria distinzione – quanto a funzione e modalità d’azione - tra partiti, gruppi di interesse/pressione e

lobby, cfr. la ricca tassonomia terminologica e sostanziale di P.G. Petrillo, Democrazie sotto pressione: parlamenti e lobby nel diritto pubblico comparato, Milano, 2011, 44 ss.

16 «As agencies become larger, however, and the bureaucracy members come to make up a larger and larger share of the total voting

constituency, the possibility of the usage of civil servant voting power to expand salaries directly becomes real», così

limpidamente si esprimono i due economisti in occasione di un breve scritto a quattro mani dal titolo ‘The Expanding

Public Sector: Wagner Squared’, in Pubblic Choice, 1977, 31, 148 (147-150).

17 Cfr. J.M. Buchanan e R.E. Wagner, Democracy in Deficit. The Political Legacy of Lord Keynes, New York, 1977; nonché

J.M. Buchanan, R.E. Wagner, La democrazia e le costituzioni keynesiane: tendenze politiche e conseguenze economiche, in Scelte

pubbliche. Costi della politica e controllo democratico, S. Carrubba, D. Da Empoli (a cura di), 1984, Firenze, 117-133.

18 J. M. Buchanan e R. E. Wagner, Democracy in Deficit, cit., 183.

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inflazionistica di cui i governi – preoccupati elettoralmente della sola questione occupazionale – difficilmente si faranno carico; in un secondo momento, l’utilizzo della leva del deficit provocherà una dissimulazione del costo “reale/effettivo” delle politiche interventiste, permettendo all’amministrazione in carica di poter sbandierare coram populo un’efficienza finanziaria costruita in modo artificioso20.

Un programma di revisione costituzionale così robusto non mancò di scatenare, già all’indomani delle sue prime apparizioni, una serie di critiche tra di loro eterogenee che, per ragioni di spazio, in questa sede non è possibile indagare esaustivamente21. Non resta dunque che riassumere il variegato

mosaico di obiezioni attraverso delle brevi notazioni.

In primo luogo, l’immediata operatività di una budget rule di rilievo costituzionale, impatterebbe rovinosamente sulle aspettative fino ad allora legittimamente acquisite, specie dai titolari di quei diritti sociali che per primi sarebbe oggetto di compressione e sacrificio22.

In secondo luogo, il funzionamento di un siffatto vincolo richiederebbe l’abbandono della formulazione aperta, propria delle disposizioni costituzionali, a favore di un’inopportuna scrittura dal sapore “ragionieristico”.

Da ultimo, perché si pervenga ad un procedimento di riforma, occorre che la stessa trovi l’appoggio di un’assemblea legislativa ciecamente guidata da un assoluto ‘velo d’ignoranza’ circa le possibili conseguenze – specie in area progressista – dell’applicazione dell’obbligo di pareggio; ipotesi quest’ultima che, fuori dall’ideal-tipo fittizio rawlsiano, appare come inverosimile23.

Ad ogni modo, nonostante le contingenze di trattazione, non si può qui sorvolare su di un difetto pregiudiziale per l’intero schema buchaniano. Ci si trova al cospetto di una proposta che nella mente dei suoi ideatori avrebbe dovuto perseguire fini liberatori – rispetto agli “abusi del consenso” – e che invece si trasforma in una teoretica paternalista che pretende di ridisegnare l’intero schema secondo un ordine assiologico del tutto parziale, ma surrettiziamente proposto come obiettivamente preferibile. Le motivazioni scientifico-razionali lasciano quindi il campo a quelle ideologico- moralistiche, peraltro tutt’altro che celate dagli stessi autori cardinali della Teoria della scelta pubblica24.

Sebbene la Pubblic Choice non sia riuscita nell’intento di conseguire – nel panorama costituzionale statunitense ed occidentale - la traduzione delle sue prescrizioni scientifiche in altrettante disposizioni normative, altri studiosi dal background ideologico similare, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, hanno cercato di mantenere sulla scena del “mercato delle idee” anche quella efficientista: è questo in un certo qual modo il manifesto della c.d. Constitutional Political Economy25.

Da un raffronto tra i canoni classici del pensiero giuseconomico di rilievo pubblicistico e le riflessioni del “nuovo” movimento, non sembrano emergere delle discrepanze di rilievo: il secondo

20 Ibidem, 129.

21 Per una saziante carrellata si rinvia ad A. Zorzi Giustiniani, Costituzione americana ed equilibrio finanziario. Il caso della

legislazione antideficit, Pisa, 2000, 266 ss.

22 Cfr., ad esempio ed in riferimento alla oramai celebre sentenza della Corte Costituzionale italiana del 10 marzo 2015

n. 70, il contributo di D. Porena, Sostenibilità, diritti acquisiti ed irretroattività della legge. Prime osservazioni a margine della

sentenza della Corte costituzionale n. 70/2015, in www.federalismi.it, 10, 2015, in particolare 5-6.

23 Non è dunque un caso se la recente introduzione a livello di costituzioni degli Stati europei sia stata il frutto di

comandi di livello sovranazionale; cfr. in tal senso – diffusamente - AA. VV., The Constitutionalization of European

Budgetary Constraints, M. Adams, F. Fabbrini, P. Larouche (cur.), Oxford-Portland, 2014. Comunque, che il velo

d’ignoranza in ambito contrattualistico-costituzionale sia una finzione sotto molti aspetti claudicante, era stato già discusso con efficacia ed autorevolezza da J. Habermas, Reconciliation Through the Public use of Reason: Remarks on John

Rawls's Political Liberalism, in J. Phil., 92, 3, 1995, 109-131.

24 Cfr. J. M. Buchanan, G. Tullock, op cit., 398.

25 Il battesimo del movimento si fa risalire al primo numero dell’omonima rivista che risale al 1990. Sulle origini e

si muove principalmente all’interno del solco tracciato dal primo. A dimostrazione del rapporto di identità, sarà qui sufficiente richiamare le conclusioni d’indagine cui perviene uno dei capofila della

Constitutional Political Economy, ovvero l’economista canadese Albert Breton: «I burocrati e i politici

sono complementari … tale cooperazione consente di realizzare un gran numero di politiche pubbliche che comportano una massimazione del loro benessere»26. Dunque, nulla più che un

distillato della teoretica buchaniana.

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