• Non ci sono risultati.

Il contesto europeo e la sovranità fiscale perduta

Il dovere tributario nella crisi fiscale dello Stato

3. Il contesto europeo e la sovranità fiscale perduta

Fondamentale è un’analisi del contesto europeo, la cui organizzazione costituzionale è caratterizzata da un duplice paradosso: l’UE infatti «non è uno Stato ma ha una forma di Stato; ha un governo ma non è una forma di governo»8. Viviamo d’altronde in un momento di “europeizzazione” degli Stati

nazionali, in cui forse occorre trovare e ripensare una loro identità ed un loro ruolo, almeno per evitare di cadere nel dogma ideologico del “meno Stato e più mercato”, in quanto «l’erosione della sovranità dello Stato passa anche per la contestazione, in nome della libertà dei privati, delle prerogative dell’apparato pubblico»9. Sul punto anche autorevoli economisti hanno sostenuto che

critiche allo Stato assistenziale: intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo Stato provoca la perdita di energie umane e l’aumento esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti bisognosi, con enorme crescita delle spese» in P. Del Debbio, Dal secolo della

giustizia distributiva a quello della giustizia commutativa, in AA. VV., Democrazia attiva, Milano, 2006, 88.

6 G. Gazzola, Lo Stato sociale tra crisi e riforme: il caso Italia, Bologna, 1994, 23-24 L’autore inoltre pone l’accento su un

aspetto da non dimenticare: in Italia, ogni bambino che nasce riceve in dono da quanti l’hanno preceduto un debito di circa 30 milioni. C’è dunque un’etica della responsabilità che deve entrare a far parte del nostro bagaglio di valori.

7 J. O’Connor, op.cit., prefazione di Federico Caffè.

8 T.E. Frosini, La dimensione europea della forma di Stato e di Governo, in www.federalismi.it, 2012, 1-2. L’autore, nelle sue

conclusioni, sostiene inoltre che nella vigna del costituzionalismo europeo c’è ancora da lavorare: il terreno è fertile e le viti sono robuste. La definizione e la stabilizzazione della forma di Stato e, soprattutto, della forma di governo, rappresentano un forte rilancio istituzionale per la UE e per la piena realizzazione del suo federalizing process.

9 R. Bin, La sovranità nazionale e la sua erosione, in A. Pugiotto (cur.), Per una consapevole cultura costituzionale, Napoli,

2013, 376 -377. L’autore ci mette in guardia dall’”ideologia del mercato” che sta dominando la scena nazionale ed europea in questo attuale momento storico, specificando che «a favore della libertà dei privati penso che tutti alzeremmo la mano; però la libertà dei privati subisce alcuni pesanti condizionamenti a causa dello strapotere di chi esercita il potere economico, e questi condizionamenti vanno messi in evidenza, vanno capiti e arginati: per arginare

61

oggi «la sovranità sembra fermarsi dove cessa la solvibilità»10. Una volta “erosa” la sovranità

nazionale, sembra che si voglia “erodere” anche la sovranità europea, rendendola sottoposta a poteri diversi da quello principalmente politico. In altri termini, l’ordinamento comunitario ha compiuto (e sta compiendo) un’operazione inversa rispetto al costituzionalismo democratico-sociale: non è partito dai diritti, ma sono stati i diritti ad essere interpretati a partire dagli obiettivi economici. Ed a preoccupare non è solo la natura “ideologica” delle misure che si tenta di imporre, le quali possono essere condivisibili o meno dal punto di vista politico; a preoccupare è piuttosto l’approccio del tutto unilaterale della loro prospettiva, in quanto esse sembrano considerate come unica alternativa possibile nel contesto della crisi, inneggiando al «there is no alternative»11. Peraltro, l’aver accettato

di aprire i mercati a livello di organizzazione mondiale del commercio, per cui merci e capitali possono circolare liberamente, ha portato alla conseguenza che «i mercati hanno imposto regole di comportamento agli Stati, regole che nessuno Stato può più contraddire»12, portando ad una “tax

competition” esasperata che sgretola la sovranità degli Stati nazionali, riducendo lo spazio europeo ad una sorta di comunità di competitori fiscali a ribasso. Come è stato sostenuto anche da altri autori13, con le frontiere aperte la ricchezza può fuggire verso paesi con regimi fiscali più vantaggiosi:

così è stato da quando è iniziata la crisi finanziaria, con il trasferimento di centinaia di miliardi di euro (cosiddetto “effetto Depardieu14”) che ha privato i paesi d’origine di gran parte dei capitali da

destinare agli investimenti. Questo accade perché nell’UE non è stata ancora realizzata un’armonizzazione fiscale su ampia scala. Con il trasferimento dei poteri verso l’Unione, si è formata la convinzione che una serie di servizi fondamentali tradizionalmente offerti dallo Stato nazionale sarebbe stata d’ora in avanti garantita dalla stessa Unione Europea, svuotando così lo Stato nazionale medesimo: ma è stato fatto notare che «il fatto stesso che la fiscalità non coincida più con le dimensioni del mercato spinge verso il decentramento. Ad esempio ci sono cespiti che a livello nazionale non si riescono più a tassare, perché la mobilità dei capitali impedisce pure di identificarli»15. Bisognerebbe

quindi “tornare a fare politica” nel senso di “riprendere sovranità” ed affrontare il problema della legittimità democratica della stessa UE. Quello a cui stiamo assistendo fino ad ora d’altronde è un duro colpo per la stessa sopravvivenza della forma di Stato sociale che si è delineata con grande fatica nel corso della storia europea, perché mentre i capitali e le imprese sono divenute completamente mobili, la tassazione sugli stessi è rimasta saldamente nelle mani nazionali, con l’effetto di generare

il sopruso dei privati c’è bisogno di un’autorità pubblica. Ogni volta che sentite qualcuno inneggiare al mercato, sappiate che sta proponendo anche meno garanzie per la parte meno forte sul piano economico tra quelli che agiscono sul mercato».

10 Sono le parole che emergono dal rapporto prodotto dal “gruppo Tommaso Padoa Schioppa” dell’Institut Jacques

Delors nel settembre 2012, citate in A. Giovannelli (cur.), Aspetti della governance economica nell’UE e in alcuni Stati dell’Unione, Torino, 2014, 12.

11 Tale acronimo, diventato poi il famoso neologismo “tina” (da, appunto, There Is No Alternative), è diventato frequente

nel lessico politico dopo la Presidenza di Margaret Thatcher, ed esprime la volontà di imporre una decisione unica scartando a priori le altre alternative possibili.

12 R. Bin, op.cit., 379-380. Evidenzia l’autore che «lo Stato italiano non potrebbe decidere, se anche lo volesse, che

siccome è giusto tassare il parassitismo economico colpirà con nuove imposte la proprietà immobiliare improduttiva o chi vive di speculazioni finanziarie. E’ chiaro che coloro che non concorrono alla produzione di ricchezza, ma sfruttano una posizione di vantaggio dovrebbero essere tassati di più di chi lavora e di chi produce. Sarebbe probabilmente un discorso di buon senso, ma ahimè anche un discorso impossibile da tradursi in risultati, per il semplice fatto che i capitali sono liberi di circolare e vanno dove sono meno tassati. Anche le imprese vanno dove sono meno tassate e dove costa meno produrre. Se possono trasferirsi le imprese, e quindi capannoni e macchine ecc, immaginiamo di come possono volare i soldi, che ormai sono tutti virtuali».

13 C. Offe, L’Europa in trappola, Bologna, 2014, 33.

14 Riferendosi provocatoriamente al noto attore francese Gerard Depardieu, che spostò, durante il governo Hollande,

il suo ingente patrimonio di capitale in Russia, per reazione all’imposta del 75% sulle grandi ricchezze.” Si veda C. Offe, op. cit., 33.

GIOVANNI CHIARINI

62

problemi crescenti di concorrenza fiscale tra i diversi paesi (ecco la “tax competition”). E il risultato è peggiorativo per tutti. Si evidenzia che «le imposte su capitali e imprese sono scese ovunque in Europa, scaricando l’onere fiscale sui cespiti non mobili, cioè in sostanza sui redditi del lavoro (...) con il conseguente effetto di deflagrazione delle diseguaglianze sociali»16. Anche coloro che

appartengono ad una cultura politica sostanzialmente liberista stanno prendendo atto, con onestà intellettuale, che questa situazione ha bisogno di un veloce mutamento17: «una moderata concorrenza

fiscale tra gli Stati europei può sortire effetti positivi, inducendo i singoli paesi a gestire in modo più accorto le finanze pubbliche. Oggi però siamo di fronte ad una concorrenza eccessiva. La libera circolazione dei capitali e delle persone consente di trasferirsi agevolmente in un altro paese portando con sé il proprio denaro, ed il vincolo di decidere all’unanimità in materia fiscale diventa ancora più nefasto all’aumentare del numero degli stati membri». Questo ci porta ad una considerazione: possiamo continuare a parlare male dello Stato, perché è uno Stato burocratico o perché ci tassa troppo o per tanti altri motivi, ma il fatto, da tenere bene a mente, è che la perdita di peso della sovranità statale non si accompagna affatto con la perdita di peso della sovranità del potere.

“Sovranità e potere”, come ha sostenuto apertamente Bin, «sono la stessa cosa», e se lo Stato perde la

sua sovranità non assistiamo affatto a una perdita generale del potere, ma semplicemente ad un trasferimento della sovranità in mani spesso sconosciute, ignote. E il vero problema è che «la sovranità non è più sottoposta a regole, è un potere sregolato»18. La “sfida” del futuro dunque non

sarà tanto un conflitto tra i sostenitori di un’integrazione europea e tra i sostenitori del ritorno al tradizionale Stato nazionale: essa sarà molto di più, perché sarà una sfida sul concetto stesso di Europa19, e l’attribuzione della titolarità fiscale e dei principi di giustizia sociale (fiscale) che possono

essere sanciti a livello “costituzionale europeo” deve essere fondamentale per la delineazione di tale struttura giuridica.

4. Ritornare al quadro costituzionale: il dovere tributario come dovere inderogabile di solidarietà

Outline

Documenti correlati