L’incrinatura dell’assetto costituzionale tra diritti fondamentali e vincoli di bilancio, dallo ius condito allo ius condendo
2. Gli orientamenti della Corte costituzionale tra equilibrio dei conti pubblici e tutela dei diritti a prestazione: le (discusse) sentenze n 10, 70 e 178 del
Nel contesto caratterizzato da una lunga e difficile congiuntura economica e dai vincoli europei di stabilità, riverberatisi sui provvedimenti di austerità adottati a livello nazionale, non può non venire in considerazione la posizione di primario rilievo in cui si è trovata la Corte costituzionale. In ragione dell’incidenza delle misure anticrisi su settori prevalentemente disciplinati con norme di carattere costituzionale a garanzia dei diritti, sul giudice costituzionale si sono riversate le aspettative di quanti hanno visto nel suo ruolo un cruciale (se non l’ultimo) presidio in grado di opporsi al ridimensionamento dello Stato sociale e di ripristinarne, quantomeno in parte, gli equilibri profondamente alterati13.
9 Per il vero, come fa notare G. Grasso, Il costituzionalismo della crisi, Napoli, 2012, 148, «tutti i diritti hanno un margine
di costo, a volte maggiore, a volte minore», siano essi diritti sociali (istruzione, tutela della salute, assistenza, previdenza sociale), siano diritti civili o di libertà (libertà personale, libertà di riunione, libera manifestazione del pensiero), siano anche diritti politici (diritto di voto), ma «tutti i diritti costano, perché non ci sono strutture pubbliche che si reggono senza finanziamenti adeguati» per erogare un servizio a garanzia di un diritto costituzionalmente riconosciuto. In tal senso anche M. Luciani, op. cit., 8, e – ancor prima – lo studio di S. Holmes, C. R. Sunstein, The Cost
of Rights. Why Liberty depends on Taxes, New York-London, 1999.
10 In questo senso, G. Bucci, op. cit., 27, riprendendo le argomentazioni di S. Gambino, W. Nocito, op. cit., 26-27, i quali,
a tal proposito, parlano espressamente di «regressioni costituzionali».
11 Come ricorda E. Olivito, Crisi economico-finanziaria ed equilibri costituzionali. Qualche spunto a partire dalla lettera della
BCE al Governo italiano, in www.rivistaaic.it, n. 1, 2014, 13, secondo cui le tendenze distorsive, a livello costituzionale,
cagionate (rectius: aggravate) dalla crisi economica «sono divenute il pretesto per riproporre, spesso in chiave strumentalmente simbolica, il tema delle inadeguatezze della Costituzione e, conseguentemente, quello delle riforme costituzionali». Nel medesimo contributo, l’A. ricostruisce inoltre in maniera lucida il “seguito” normativo – con pesanti ricadute negative sul welfare state – che hanno avuto le sollecitazioni europee nei confronti del Governo italiano, in ordine all’adozione (e alle modalità di attuazione) di misure anticrisi puntualmente indicate nella “irrituale” lettera inviata dalla BCE al Governo italiano, il 5 agosto 2011.
12 Ibidem.
13 In merito all’incidenza della crisi sull’effettività dei diritti, ex plurimis, v. gli studi di A. Spadaro, I diritti sociali di
fronte alla crisi (necessità di un nuovo “modello sociale europeo”: più sobrio, solidale, sostenibile), in www.rivistaaic.it, n. 4,
2011, 1 ss.; I. Ciolli, I diritti sociali al tempo della crisi economica, in www.costituzionalismo.it, n. 3, 2012; S. Gambino, W. Nocito, op. cit., 1 ss.
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Il sindacato di legittimità sui provvedimenti adottati dal legislatore implica un non facile contemperamento fra esigenze di protezione dei diritti e di salvaguardia della stabilità degli equilibri di bilancio. Tale attività, assai delicata, ha infatti importanti riflessi sulle finanze pubbliche e sul rispetto dei vincoli europei, nonché sulle tensioni che potrebbe ingenerare con gli organi politici14.
La prima sentenza in ordine cronologico, nonché quella in cui il nuovo articolo 81 Cost. sembra aver inciso maggiormente, è la n. 10 dell’11 febbraio 2015, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate15 (per violazione degli art. 3 e 53 Cost.), ma con efficacia
solo pro futuro, ovverosia dal giorno successivo alla pubblicazione, escludendone quindi l’applicabilità anche al giudizio a quo16. In questa circostanza, il giudice costituzionale ha per la prima
volta affermato con chiarezza il proprio potere di modulare gli effetti delle pronunce di accoglimento sotto il profilo temporale, in considerazione della loro incidenza su principi costituzionali diversi da quelli violati dalle disposizioni dichiarate illegittime17. Tale modulazione degli effetti è stata ritenuta
necessaria per «evitare che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge determini, paradossalmente, “effetti ancor più incompatibili con la Costituzione” (sentenza n. 13/2014) di quelli che hanno indotto a censurare la disciplina legislativa»18. La limitazione degli
effetti della pronuncia è stata giustificata, in primo luogo, con riferimento all’equilibrio di bilancio costituzionalizzato nel nuovo articolo 81 Cost., il quale subirebbe una «grave violazione» in caso di applicazione retroattiva della declaratoria, causando «uno squilibrio del bilancio dello Stato di entità tale da implicare la necessità di una manovra finanziaria aggiuntiva»19. In aggiunta, la Corte ha fatto
riferimento ad altri principi costituzionali che sarebbero stati compromessi in caso di applicazione retroattiva della pronuncia: il principio solidaristico e quello di uguaglianza sarebbero stati potenzialmente lesi dalla inevitabilità di una manovra finanziaria aggiuntiva – per colmare il disavanzo cagionato – che avrebbe comportato, in periodo già di «perdurante crisi economica e finanziaria che pesa sulle fasce più deboli, una irragionevole redistribuzione della ricchezza»20.
La seconda sentenza che viene in rilievo – e che ha sollevato accese polemiche21 – è la n. 70 del 30
aprile 2015, con cui è stato dichiarato incostituzionale, per violazione dei principi di solidarietà, ragionevolezza e uguaglianza sostanziale e del diritto a una prestazione previdenziale proporzionata e adeguata (ai sensi degli art. 36 e 38, c. 2, Cost.), il meccanismo di blocco della rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, per gli anni 2012 e 2013. Nel caso in questione, la Corte non ha provveduto ad
14 Cfr. P. Masala, La tutela dei diritti sociali nelle situazioni di crisi economica: gli orientamenti della Corte costituzionale italiana,
in AA.VV., Stato di diritto e crisi delle finanze pubbliche, Napoli, 191-192. Sui conflitti politico-istituzionali che hanno accompagnato le «sentenze finanziariamente onerose», v. A. Morrone, Le conseguenze finanziarie della giustizia
costituzionale, in Quad. cost., 2015, 576 ss.
15 Si tratta della c.d. Robin Hood Tax, introdotta dall’art. 81, c. 16, 17, 18, del d.l. 112/2008, convertito dalla l. 133/2008,
consistente in un’imposta speciale (rectius: un’addizionale all’imposta sul reddito) a carico delle società che operano nel settore petrolifero ed energetico.
16 Per la modulazione degli effetti temporali è una sentenza senza precedenti nella giurisprudenza costituzionale, come
sottolineato da A. Pugiotto, Un inedito epitaffio per la pregiudizialità costituzionale, in www.forumcostituzionale.it, n. 4, 2015, 2-3.
17 In quanto non previsto espressamente né dalla Costituzione né dalla legislazione ordinaria, il potere della Corte di
limitare l’efficacia retroattiva delle proprie decisioni è stato da più parti criticato in dottrina: per una ricognizione delle posizioni espresse nel dibattito anteriore alla sentenza, v. A. Anzon Demmig, La Corte costituzionale “esce allo scoperto”
e limita l’efficacia retroattiva delle proprie pronunzie di accoglimento, in www.rivistaaic.it, n. 2, 2015, 3 ss.
18 Considerato in diritto, punto 7. 19 Ibidem.
20 Cons. dir., punto 8.
21 In dottrina, in senso critico verso tale sentenza, cfr. A. Barbera, La sentenza relativa al blocco pensionistico: una brutta
pagina per la Corte, in www.rivistaaic.it, n. 2, 2015; A. Morrone, Ragionevolezza a rovescio: l’ingiustizia della sentenza n. 70/2015 della Corte costituzionale, in www.federalismi.it, n. 10, 2015. A favore, invece, cfr. G. M. Salerno, La sentenza n. 70 del 2015: una pronuncia non a sorpresa e da rispettare integralmente, in www.federalismi.it, n. 10, 2015.
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un’analoga modulazione nel tempo degli effetti della pronuncia di accoglimento, ricorrendo ad una classica “sentenza di spesa”, senza lasciarsi condizionare dalla valutazione degli effetti finanziari. Si aggiunga che l’articolo 81 Cost. non viene in alcun modo menzionato, pur potendosi dedurre che il giudice costituzionale abbia implicitamente ritenuto che «il principio dell’equilibrio di bilancio non fosse sufficiente a giustificare la limitazione dell’efficacia retroattiva della decisione di incostituzionalità»22.
La Corte è partita dal riconoscimento della necessaria discrezionalità in capo al legislatore, cui spetta dare maggiore o minore peso a ciascun valore considerato, a seconda degli obiettivi politici che desidera raggiungere; al tempo stesso, tuttavia, vengono ribaditi i limiti esterni a tale discrezionalità, costituiti dalla ragionevolezza delle scelte legislative e dal rispetto del nucleo minimo e intangibile dei diritti fondamentali da salvaguardare23. In concreto, il limite esterno della
ragionevolezza – secondo il giudice costituzionale – è stato violato dall’azzeramento del meccanismo perequativo, dal momento che il diritto ad una prestazione previdenziale adeguata risultava «irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio»24. Benché
non espressamente, con tale pronuncia si è voluto fissare il principio per cui, pur a seguito della costituzionalizzazione dell’equilibrio di bilancio, questo non può indiscriminatamente prevalere sulla tutela dei diritti sociali, anche in danno del loro “nucleo minimo”.
Ci si soffermi, infine, su un’altra misura di austerità su cui la Corte ha dovuto pronunciarsi a pochi mesi di distanza dalla decisione appena vista. Con la sentenza n. 178 del 24 giugno 2015 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo il prolungato blocco, applicato dal 2011, del rinnovo della contrattazione collettiva (e il conseguente mancato aggiornamento del trattamento economico) per i dipendenti pubblici, quale risultante dalle disposizioni impugnate e da quelle successive che lo avevano prorogato, per la parte economica, fino alla fine del 2015. La reiterata proroga della sospensione delle procedure di negoziazione contrattuale, tale da far assumere a queste carattere “strutturale”, è stata giudicata lesiva del principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39 Cost.
Questa volta la Corte ha scelto di non ricorrere a una sentenza di incostituzionalità “differita”, ma si è invece servita dello schema della incostituzionalità “sopravvenuta”, con efficacia decorrente dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, «lasciando impregiudicati, per il periodo già trascorso, gli effetti economici derivanti dalla disciplina esaminata»25. Ciò significa che la
“sopravvenienza” sarebbe intervenuta, secondo la Corte, solo al momento della pronuncia, in quanto soltanto allora si sarebbe manifestata la «natura strutturale della sospensione della contrattazione» ed il suo carattere «sistematico»26, mentre – se ne dovrebbe dedurre – fino a quel momento essa
risultava ancora temporanea e giustificata dalla situazione congiunturale. Dalla motivazione, che menziona espressamente l’art. 81 Cost., emerge che nel compiere la scelta di escludere l’efficacia retroattiva della dichiarazione ha pesato anche una attenta considerazione del suo impatto economico27.
22 Così P. Masala, op. cit., 216-217.
23 Scrive la Corte – nel Cons. dir., punto 8 – richiamandosi a un noto precedente, che «il legislatore, sulla base di un
ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali deve “dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla stregua delle risorse finanziarie attingibili e fatta salva la garanzia irrinunciabile delle esigenze minime di protezione della persona” (sentenza n. 316 del 2010)».
24 Cons. dir., punto 10. 25 Cons. dir., punto 18. 26 Cons. dir., punto 17.
27 Cfr. Cons. dir., punti 15 e 16. L’effettuazione del test di ragionevolezza ha condotto, invece, ad escludere la violazione
degli art. 3, c. 1, e 36 Cost.: la Corte ha ritenuto non irragionevole tale limitazione del diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata (ex art. 36 Cost.), alla luce della natura pluriennale delle politiche di bilancio e della «particolare gravità della situazione economica e finanziaria».
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3. Una proposta di legge per “orientare” le (e intervenire sulle) sentenze “a rischio spesa”: il d.d.l.