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Il contesto brasiliano e le correnti artistiche negli anni Ottanta

Gli anni Ottanta cominciarono subito con i primi segni della conclusione del regime militare. Una serie di misure prese dal presidente in carica (come l’indebolimento della repressione politica e della censura) indicavano un’apertura democratica che si sarebbe verificata nel 1985, con la fine della dittatura, accelerata anche grazie alle pressioni popolari. In Brasile si riaccese la speranza e si ripresero i percorsi interrotti nella metà degli anni Sessanta, cercando di recuperare il tempo perduto. Secondo Chaimovich, nel 1984 con l’indebolimento della censura rinacque una produzione culturale audace e, per le avanguardie brasiliane, “l’apirazione di creare una rete nazionale di arte contemporanea era nuovamente realizzabile”814. Il decennio cominciò però anche con delle grandi perdite per l’arte nazionale: nel 1980

morirono Hélio Oiticica e Mário Pedrosa e, nel 1988, Lygia Clark. Lo scenario economico brasiliano vide nel 1984 l’implementazione di un nuovo piano economico (“Plano Cruzado”), che fece recuperare il valore della moneta e crescere il consumo urbano, facendo sì che il mercato artistico si mobilitasse ancora di più e, di conseguenza, che le arti plastiche diventassero definitivamente di moda in un mercato che ricercava opere a costo più contenuto e con un’aspettativa di valorizzazione rapida. Così, secondo Bulhões, grazie all’operato di alcuni mercanti d’arte, il mercato cominciò ad assorbire le avanguardie sperimentali più ermetiche che si erano sviluppate negli spazi del MAM di Rio, del MAC USP, o anche della Scuola Brasile (si veda il capitolo sul circuito dell’arte), in un ansia di ritorno alla pittura più facile da commercializzare rispetto alle installazioni e alle opere concettuali degli anni Settanta, nettamente inadatte al mercato. Nell’ambito della produzione artistica e della sua divulgazione, l’avvenimento

811 Ibidem.

812 L. AMARANTE, As Bienais... cit., pp. 269-271. 813 F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 156. 814 F. CHAIMOVICH, Espaço... cit., p. 245.

artistico più significativo di questo periodo avvenne a Rio de Janeiro e fu l’esposizione del 1984 – senza la guida di un curatore – intitolata “Come va, Generazione 80?” alla Scuola di Arti Visive del Parco Lage. Vi parteciparono, su invito, 123 artisti emergenti, provenienti da tutto il Paese. Coprendo da soli le spese, essi occuparono tutti i locali e i giardini dell’antico palazzo dove si trova la Scuola, attirando l’attenzione verso la loro proposta artistica che “per quindici anni era stata messa in silenzio”. Secondo Bulhões, l’esplosione della così chiamata “Generazione 80 arrivò con il pieno delle nuove condizioni della società brasiliana e delle esigenze legate ad un internazionalizzazione accelerata che modernizzò quindi la produzione locale rispetto ai modelli della transvanguardia italiana e del neo-espressionismo tedesco”815.

La produzione della Generazione 80 fu rapidamente assimilata dal mercato. Seguirono una serie di esposizioni collettive in varie capitali brasiliane, che espansero il mercato regionale dell’arte fuori dall’asse São Paulo – Rio. Gran parte di queste esposizioni si presentarono come azioni di rottura e d’innovazione, che portarono nuovi artisti i quali rapidamente entrarono nel circuito delle gallerie, modernizzando la produzione con opere di basso costo e soggette a una valorizzazione rapida816. Uno

degli artisti che cominciarono a emergere in questo decennio fu Leonilson: pittore e scultore, fece parte del gruppo della Genrazione 80 e rivoluzionò l’ambiente artistico brasiliano dell’epoca, avendo già partecipato nel decennio precedente alle esposizioni del MAM, del MAC, in alcune gallerie d’arte contemporanea e alle Biennali di São Paulo e di Parigi. Nel decennio successivo l’artista si consolidò come esponente dell’ambiente artistico brasiliano contemporaneo. Altri importanti artisti del periodo furono Cildo Meirelles, con un’opera di costante riflessione politica e ideologica; e il “Grupo da Casa 7”817.

Aspetto significativo di quegli anni fu la nuova attività dei curatori, che venne adottata dalla Biennale e che aumentò la sua influenza nelle esposizioni di tutto il decennio. Infine, si riporta che questi furono gli anni in cui emerse l’uso delle strategie di marketing nel mercato d’arte e l’impulso euforico verso l’arte come forma d’investimento (investendo in artisti nuovi con la speranza di una valorizzazione in futuro), corrispondendo alla richiesta di novità, come avveniva nel mercato internazionale. Si considera inoltre che il mercato d’arte di quel periodo si trovava senza pezzi da mettere in commercio, dato che tutte le opere storiche erano già nelle mani dei privati collezionisti. Secondo Bulhoes, l’operato dei mercanti insieme alle avanguardie brasiliane cominciarono a costituirsi come un caratteristica preponderante dell’ambiente artistico nel Brasile di quegli anni818.

815 M. A. BULHOES,Antigas... cit., p. 275. 816 Ibidem.

817 C. FAZZOLARI e N. S. DE SANTANA, Cronologia geral, in L. R. GONÇALVES (a cura di), Arte Brasileira... cit., p. 304. 818 M. A. BULHOES,Antigas... cit., pp. 276-277.

2. 3 La fase dei curatori

Con gli anni Ottanta sia per il Brasile, come per la Biennale Internazionale d’Arte di São Paolo, iniziò un nuovo periodo storico, economico e culturale segnato dalla fine della dittatura nel 1980 e l’avanzare di una nuova apertura politica. Questo comportò per la Fondazione Biennale un cambiamento a livello strutturale: il suo sostegno infatti cominciò sempre di più a dipendere dall’iniziativa privata, determinando anche un cambiamento rispetto al ruolo del critico o direttore artistico, il quale dovette oramai lasciare spazio (e prestigio) alla figura del curatore. L’importanza sempre più evidente del ruolo del curatore affermò l’inizio di un nuovo periodo definito da Alambert e Canhète come “l’era dei curatori”. Con il compito di ideare, progettare e organizzare la mostra e gli allestimenti, il curatore cercò di lasciare sempre più la sua impronta sulla manifestazione artistica, con la chiara volontà di modificare il concetto dell’esposizione affinché il proprio lavoro non fosse solo un mero contributo ma un vero e proprio marchio per la Biennale. Questa scalata fu più evidente soprattutto nel periodo che va dalla sedicesima alla ventiquattresima edizione. Partendo da Walter Zanini, passando per Sheila Leirner fino ad arrivare a Paulo Herkenhoff, l’ascesa dei curatori cominciò a ricevere più visibilità che gli artisti stessi, dando inizio così a un “conflitto di ego”. Il curatore, che prima si preoccupava dell’organizzazione della mostra che era già pre-progettata, a partire da questa fase vide la sua interpretazione del concetto dell’esposizione come essenziale: era la “sua opera” ad essere esposta dalla Biennale e non più le singole opere degli artisti nel loro insieme819. Per Teixeira Coelho, rinomato scrittore brasiliano “quando andiamo

a una mostra oggi, una mostra di queste che hanno una linea, un tema, andiamo a vedere prima il lavoro di un super-artista, il curatore, al posto del lavoro dei diversi artisti che fanno ognuno la sua opera. Gli artisti sono, per il curatore, gli strumenti. Il curatore è il grande artista”820. Nelle ultime edizioni di questa

“era”, come si vedrà, si sarebbe verificato un altro mutamento nel concetto dell’esposizione, molto più orientato a soddisfare la richiesta degli investitori/sponsor, i quali richiedevano un numero sempre maggiore di visitatori per giustificare i loro investimenti. Tutto questo portò alla nuova struttura delle megaesposizioni, dove il carattere si fece sempre più commerciale e il ruolo del curatore ancora più importante821. Questa nuova formula, proprio per i motivi sopra elencati, spinse i curatori a cercare di

esporre soprattutto opere storiche e di successo affermato, perdendo così l’intenzione iniziale della Biennale nei confronti dell’arte contemporanea: ovvero lo scambio e l’esposizione delle nuove tendenze d’avanguardia.

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