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La prima generazione I modernist

A partire dal decennio del 1920 il modernismo in Brasile percorse due tappe: i suoi primi passi andarono verso un rinnovamento ispirato da uno stampo europeo e, in seguito, cominciò a ricercare le sue radici nazionali. Secondo Fabris, in quell’epoca c’era a São Paulo una contraddizione inerente allo stesso concetto di “moderno” in Brasile, dato che nonostante la città stesse vivendo un processo di modernizzazione intenso, rimaneva distante dalla modernità, rivelando una “grande differenza tra la vita materiale e la vita intellettuale e artistica”273. Come nota Amaral, lo sviluppo della città di São Paulo

risvegliò un nazionalismo che influì direttamente sugli intellettuali paulisti e che, insieme a quel desiderio di modernità di carattere prevalentemente internazionalista, può essere visto come la volontà della “colonia” di diventare “metropoli”274. L’ambito artistico-culturale della capitale paulista, rifiutando le

regole imposte dall’accademismo, cominciò a seguire il rinnovamento delle arti e della letteratura che era in corso a Parigi non abbandonando il suo carattere di “importazione”, ma che tuttavia non aveva lo stampo imitativo dei passatisti ma anzi, dava spazio alla ricerca di un linguaggio più autentico, sia nelle arti plastiche che in letteratura, in linea con le caratteristiche libertarie del movimento275. Come

conseguenza del nascente nazionalismo e delle nuove ricerche sul linguaggio, il movimento modernista cominciò quindi a definire come obbiettivo la costruzione di un’arte nazionale – si osserva la preoccupazione verso il colore, i temi brasiliani e la ricerca delle radici del Brasile; vengono rappresentati l’indio, il bandeirante (l’esploratore), il nero, i piccoli paesi dell’entroterra, le religioni brasiliane, le collinette, le favela… 276.

Anche dopo la Settimana, le riunioni del gruppo modernista erano frequenti e verso la metà del 1922 sorse il Gruppo dei Cinque277. Esso era composto dalle pittrici Anita Malfatti e Tarsila do Amaral278, che

stava tornando dall’Europa e che venne presentata da Anita al gruppo modernista, e dagli scrittori Menotti Del Picchia, Mário e Oswald de Andrade (i quali, anche se portavano lo stesso cognome non avevano legami di parentela). Il gruppo, che tra diversi va e vieni, finì con lo sciogliersi definitivamente alla fine degli anni Venti, si riuniva costantemente e all’inizio molto frequentemente – fino alla fine del 1922, quando Tarsila fece ritorno in Europa – quasi sempre nell’atelier di questa artista, dove si leggevano poesie, si facevano ritratti dei membri del gruppo o dei visitatori, tutto con l’accompagnamento del pianoforte o di musiche varie279. Attraverso le parole di Miceli è possibile comprendere meglio ciò che

rappresentò il Gruppo dei Cinque e le sue conseguenze su coloro i quali ne facevano parte: “La

273 A. FABRIS, A Semana de Arte... cit., p. 86. 274 A. A. AMARAL, Artes plásticas... cit., p. 218. 275 Ivi, p. 219.

276 M. R. BATISTA, Y. S. DE LIMA (a cura di), Coleção Mário de Andrade... cit., p. XXXIII.

277 In analogia con il Gruppo dei Cinque compositori russi o anche con il gruppo Les Six, i musicisti francesi.

278 Il Gruppo dei Cinque fu molto importante per il percorso di Tarsila do Amaral, la quale subì l’influenza dei dibattiti sull’arte moderna e, per un certo periodo, delle opere di Anita Malfatti, artista che conobbe nel 1919 quando frequentarono le lezioni di pittura dell’accademico Pedro Alexandrino e divennero amiche. In seguito si avrà l’opportunità di vedere l’evoluzione di Tarsila do Amaral durante gli anni Venti, a partire proprio da questo suo contatto con il gruppo dei modernisti.

documentazione disponibile sui legami all’interno del gruppo prova lo straordinario livello raggiunto da questo convivio diuturno intensamente voluto e valorizzato da parte di tutti, che finì con l’influenzare il futuro affettivo e professionale di ciascuno di loro, come conseguenza del vortice di coinvolgimenti affettivi che non lasciò illeso nessuno di loro”280. L’autore continua con il racconto: “tutto questo strascico

di risentimenti e passioni è stato ampiamente rielaborato, in ambito letterario e plastico, dai diversi membri del «gruppo dei cinque», ciascuno avvalendosi dei generi e dei supporti della propria specialità”281.

In questo primo percorso di rinnovamento la Scuola di Parigi, al contrario del periodo precedente, cominciò ad esercitare un’influenza sui modernisti brasiliani. La maggior parte di questi artisti passarono per Parigi e il contatto diretto con i movimenti delle avanguardie francesi fu importante per l’evoluzione di molti di loro i quali, a partire da allora, cominciarono a contribuire in modo decisivo al modernismo e all’arte moderna nel loro Paese. Secondo Batista e Lima, la preoccupazione iniziale più importante dei modernisti nella capitale francese era quella di assimilare l’arte moderna e dopo, padroni dei loro linguaggi alcuni più di altri, avrebbero dato vita a un’arte tipicamente brasiliana282. Molti di questa prima

generazione modernista, che comprende artisti nati verso la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, erano discendenti di potenti famiglie brasiliane, aspetto che permise loro di rimanere e frequentare per un lungo periodo le capitali europee283 e di studiare con più libertà e indipendenza. Eccezioni a questo

privilegio furono Anita Malfatti e Victor Brecheret che ebbero bisogno del Pensionato Artistico di São Paulo per studiare all’estero284. Così nel 1923 s’incontravano nella capitale francese Tarsila do Amaral, Di

Cavalcanti, Anita Malfatti, Victor Brecheret, Vicente do Rêgo Monteiro, Antônio Gomide, oltre ad altri intellettuali modernisti come Sérgio Milliet e Oswald de Andrade285, il musicista Villa-Lobos e il pianista

Sousa Lima, che insieme finirono col formare una specie di ambasciata brasiliana informale in quella città286. Altri modernisti che viaggiarono in Francia negli anni Venti furono Yan de Almeida Prado, John e

Regina Graz e, frequentemente, i mecenati modernisti Paulo Prado e Olívia Guedes Penteado. Ciascuno di loro si esercitava e sperimentava da solo, la maggior parte studiò in atelier liberi e apprese molto dal contatto diretto con le manifestazioni e gli artisti della Scuola di Parigi287.

Sérgio Millet, cercando di spiegare le ambizioni relative allo status sociale che a loro volta seducevano il mondo modernista, fa una considerazione su Oswald de Andrade e Tarsila do Amaral, i quali si sposarono, dicendo che la coppia era “l’incarnazione perfetta e meglio riuscita dello stile di vita dei

280 S. MICELI, Nacional estrangeiro... cit., p. 112. 281 Ivi, p. 113.

282 M. R. BATISTA, Y. S. DE LIMA (a cura di), Coleção Mário de Andrade... cit., p. XXXVIII. 283 J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., p. 77.

284 M. R. BATISTA, Y. S. DE LIMA (a cura di), Coleção Mário de Andrade... cit., p. XXXVIII. 285 A. A. AMARAL, Artes plásticas... cit., p. 230.

286 M. CAMARGOS, Semana de 22... cit., p. 67.

membri del circolo modernista, accecati allo stesso tempo dall’ambizione del successo e dalla pretesa della supremazia intellettuale”, aspetto che secondo Millet rinforza il vedere in Tarsila l’esempio tipico del modernismo brasiliano di quel periodo288.

A questo punto merita di essere messa in risalto l’artista Tarsila do Amaral289, la cui opera è considerata

esemplare per le caratteristiche tipiche della prima fase del modernismo brasiliano. Secondo Justino, Tarsila negli anni Venti rappresenta uno spartiacque, dato che in quegli anni offrì “il suo più grande contributo e la sua modernità all’arte brasiliana: imporre come metodo la costruzione e l’ordine nella pittura brasiliana, senza rifiutare la magia”290. Tarsila, durante tutti gli anni Venti e fino alla fine del 1929

– quando la crisi economica colpì direttamente la fortuna della sua famiglia, quindi le sue fonti di rendita – svolse un ruolo attivo nell’importazione del modernismo, dipingendo secondo i canoni cubisti e promuovendo questa tendenza avanguardista nella città di São Paulo291. Secondo Amaral, la sua biografa,

è proprio in quegli anni che è possibile osservare il periodo principale della sua produzione artistica, che l’avrebbe inscritta nella storia dell’arte brasiliana: le fasi “Pau-Brasil” e “Antropofágica”292, quest’ultima

fase già preannunciata dal quadro A negra (La nera), come si vedrà in seguito. Justino racconta che Tarsila, realizzando un’arte sintetica con un uso strutturale del colore, allo stesso tempo cerca di costruire un’identità attraverso il linguaggio plastico, filtrando la cultura brasiliana e lasciando così un cammino aperto ad altre possibili esplorazioni sperimentali293. Le sue prime esperienze a Parigi, sommate al

contatto con il mondo modernista paulista del 1922 – principalmente attraverso il Gruppo dei Cinque – portarono Tarsila in questo suo ritorno in Europa alla fine di quell’anno a cercare nuovi indirizzi nei suoi studi294 e ad aggiornarsi su cosa c’era di nuovo e di contemporaneo a Parigi. Fu proprio in questo periodo

che cominciò a mettere in discussione il percorso accademico fino ad allora seguito295. Durante il 1923 la

pittrice cominciò a studiare arte moderna a Parigi. Studiò con André Lhote, Albert Gleizes e Fernand Léger, allontanandosi definitivamente dal suo interesse iniziale per l’impressionismo. Durante la

288 S. MICELI, Nacional estrangeiro... cit., p. 13, cit. in J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., p. 77 nota.

289 Tarsila do Amaral (1886-1973), figlia e nipote di fazendeiros di caffè dell’entroterra dello Stato di São Paulo che cominciavano a diversificare i loro investimenti anche in città, da presto entrò in contatto con la cultura francese, la lingua e i costumi. Già a diciassette anni viaggiò con la madre in Europa, dove continuò le scuole superiori, iniziate a São Paulo presso un tradizionale collegio francese. Tarsila compì diverse esperienze di studio artistico a São Paulo, frequentando atelier come quelli degli scultori europei Zadig e Mantovani – in Brasile in quel periodo per lavorare sul Monumento all’Indipendenza –, con la volontà di perfezionarsi in modellatura; così come gli atelier di Elpons e Pedro Alexandrino frequentati solitamente dalle fanciulle dell’alta società di São Paulo, dove nel 1919 conobbe Anita Malfatti (J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., pp. 77-78).

Nel 1921 partì per Parigi, dove compì studi tradizionali di disegno e pittura all’Accademia Julian, scuola rinomata tra gli accademici brasiliani, oltre a corsi liberi in atelier privati, tra cui quello di Emile Renard. Riuscì a esporre al Salon Officiel dês

Artistes Français nel 1922, trovandosi ancora a Parigi durante la realizzazione della Settimana del ’22. Con uno stile pittorico già

moderno, tornò in Brasile solo a metà di quello stesso anno, quando entrò in contatto con l’ambiente modernista paulista e fece parte del Gruppo dei Cinque, come già detto. Ritornò ancora a Parigi alla fine del 1922 e durante gli anni Venti continuò a vivere tra São Paulo e Parigi.

290 M. J. JUSTINO, A Tarsila Construtiva dos Anos 1920, in L. R. GONÇALVES (a cura di), Arte Brasileira... cit., p. 97. 291 J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., p. 79.

292 Ibidem.

293 M. J. JUSTINO, A Tarsila Construtiva... cit., p. 98.

294 M. R. BATISTA, Y. S. DE LIMA (a cura di), Coleção Mário de Andrade... cit., p. XXVII. 295 J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., p. 78.

permanenza in Francia si fece influenzare dalla Scuola di Parigi, interessandosi agli artisti Henri Rousseau, Henri Matisse e Pablo Picasso, ereditando in questo modo la disciplina cubista, il clima metafisico di Rousseau e la spontaneità surrealista e imparò a guardare all’arte brasiliana, esperienze che secondo Justino l’hanno “protetta” dal nazionalismo, facendo di lei la pittrice che rappresentava soggetti brasiliani mantenendosi internazionale296. In questo periodo la maturità di Tarsila protesa verso le

avanguardie crebbe rapidamente e già nel 1923, ancora a Parigi, produsse opere che segnarono la rottura con l’accademia, fosse quella brasiliana o quella di Julian297. Secondo Amaral era possibile percepire in

queste sue opere “una brasilianeità che non sorgeva dall’imitazione delle regole del cubismo, bensì da una restituizione in termini pittorici, da una realtà assorbita intensamente”298. Fu così che dipinse A negra, un

olio che fa dialogare la natura brasiliana con la poetica costruttiva europea, in un felice incrocio tra il mondo moderno – con l’evidente influenza di Picasso – e quello primitivo – per mezzo dell’immaginario brasiliano –. Secondo Justino A negra è una struttura che definisce la poetica dell’artista. A partire da questa esperienza Tarsila s’incammina con decisione verso il cubismo, anche se la sua personalità tuttavia la spinge a ricercare un’arte sua propria299. Secondo Gonçalves, è possibile osservare in questa tela

l’identità come una piattaforma per la contemporaneità. Composta con un’organizzazione sintetica, A

negra è stata realizzata attraverso la deformazione espressiva di una immagine ingigantita di una donna

nera, elaborata con risorse espressive quasi surreali, comprendo quasi per intero lo spazio in senso verticale della tela. La figura della donna è in contrasto stilistico con un piano astratto-geometrico. L’immagine creata in questa opera, attraverso appunto la figura di una donna nera come simbolo della terra e di una foglia di banano stilizzata, denota la “brasilianeità” idealizzata nel quadro e trasmette l’idea di una terra fertile. Sempre secondo Gonçalves, è possibile considerare l’artista come una precorritrice per aver scelto in quest’opera una dimensione surreale, se si considera che il Surrealismo si affermò a partire dal 1924300.

La valorizzazione “dell’esotico” e del non-europeo nel repertorio culturale parigino, secondo Durand, s’ispirava ad una rivalutazione dellle tematiche nazionali brasiliane, allontanandosi dall’artificialità francesizzante dell’estetica neoclassica301. E se il primitivismo veniva riscoperto dall’Europa con una

buona dose di esotismo, il Brasile era il primitivo302. I contatti che Tarsila do Amaral creò nella capitale 296 M. J. JUSTINO, A Tarsila Construtiva... cit., pp. 91-92.

297 Ivi, p. 92.

298 A. A. AMARAL, Artes plásticas... cit., p. 230.

Secondo Amaral, le prime manifestazioni di questa profonda ricerca della “brasilianeità” nelle arti plastiche sono da attribuire a Tarsila do Amaral a partire dal 1923, quando cominciò a unire i temi della campagna brasiliana con i procedimenti più avanzati della pittura contemporanea e a Vicente do Rêgo Monteiro il quale, in quello stesso anno a Parigi, voleva far conoscere una tradizione decorativa d’ispirazione indigena, dandosi soprattutto alla stilizzazione di motivi indigeni brasiliani, ricercando un’arte personale, ma allo stesso tempo un’arte decorativa brasiliana. Amaral racconta anche che Tarsila do Amaral e Di Cavalcanti riuscirono, per mezzo della conquista della libertà di ricerca nell’ambito delle arti plastiche, ad integrare la “brasilianeità” in un linguaggio moderno dal punto di vista pittorico, rappresentando con questo la più elevata espressione del movimento (Ivi, pp. 220-229-230).

299 M. J. JUSTINO, A Tarsila Construtiva... cit., p. 92.

300 L. R. GONÇALVES, Modernização e Modernidade... cit., p. 29. 301 J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., 83.

francese – tra quelli più costanti compariva Blaise Cendrars303 – furono molto importanti per la sua

carriera, così come la sua amicizia con Mário de Andrade, Anita Malfatti e, in particolar modo, Oswald de Andrade, suo compagno per tutto il corso degli anni Venti. Il poeta Blaise Cendrars fu un’importante punto d’appoggio per la coppia per poter entrare in contatto con persone in posizioni strategiche del campo culturale parigino. Egli fu presentato loro da Paulo Prado e Olívia Guedes Penteado – mecenati con i quali mantenne contatti frequenti a Parigi e che consentirono a Tarsila di ampliare la sua rete di relazioni sociali nel mondo artistico di Parigi fungendo anche da consiglieri sugli atelier da visitare e sugli acquisti necessari per comporre una collezione consistente, come quella che Tarsila riuscì a creare alla fine delle due permanenze in Francia304. La coppia, assieme a Paulo Prado, sarebbe tornata in Brasile nel

1924 con Cendrars per un viaggio di “riscoperta” del Brasile, come si vedrà in seguito.

Batista e Lima tracciano una panoramica sull’evoluzione degli altri artisti a Parigi. Victor Brecheret, ad esempio, scultore italo-brasiliano che rimase circa quindici anni a Parigi, inizialmente continuò le stilizzazioni che aveva eseguito in Brasile e non accettò immediatamente le tendenze più avanzate della scultura. A partire dal 1923, tuttavia, cominciò a sviluppare una nuova fase, dedicandosi a temi come il nudo femminile, ai quali applicò una nuova forma abbandonando il risalto dei muscoli e piuttosto lisciando le superfici, rendendole più sinuose e ovali. I disegni lineari mostrano nelle sculture l’influenza che aveva avuto da Brancusi e, per altri aspetti, dall’art déco; queste opere verranno poi presentate alla sua personale a São Paulo nel 1926. Durante una sua breve permanenza (1923-1925) Di Cavalcanti frequentò mostre e si mantenne in contatto con i membri della Scuola di Parigi, subendo l’influenza di Picasso e Léger e riservando un’attenzione speciale agli illustratori francesi; secondo Amaral, fu in quegli anni che produsse i suoi disegni migliori – in modo indipendente rispetto agli studi eseguiti sotto la guida di un maestro – e che inoltre si dedicò all’esercizio della tecnica, principalmente di quella cubista305,

aspetto che più avanti avrebbe caratterizzato definitivamente la produzione di questo artista. Anita Malfatti, che a Parigi aveva convissuto a lungo con Di Cavalcanti, Brecheret e Gomide, cercò una sua definizione percorrendo diversi cammini, al contrario della maggior parte dei modernisti. Mostrò occasionalmente qualche traccia prossima all’art déco, si esercitò a pulire il disegno riducendolo all’essenziale, sempre con la finalità di conferire anche leggerezza e sicurezza al tratto. Produsse molti disegni con la linea fina e continua della Scuola di Parigi, provò ad attenuare la sua drammaticità con esecuzioni più calme e preoccupandosi di più della tecnica. Vicente do Rêgo Monteiro, che rimase a Parigi per circa dieci anni, visse sempre tra Francia e Brasile. Fece molte ricerche sui disegni indigeni e,

303 Durand racconta inoltre che, in seguito, Blaise Cendrars sarebbe stato uno dei promotori di Tarsila affinché realizzasse due mostre sue a Parigi (1926, 1928), nelle quali l’artista fu appoggiata dai mercanti della galleria Percier: André Level e Léonce Rosenberg, presentati a Tarsila dallo stesso Cendrars, il quale si mise a disposizione per redigere la presentazione e per aiutare nella scelta degli invitati. Su suggerimento di André Level, in queste due esposizioni i quadri di Tarsila vennero incorniciati da Pierre Legrain, famoso artista art déco e rilegatore (J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., pp. 81-83). L’esposizione del 1926

comprendeva diciassette tele dipinte tra il 1923 e il 1926, mentre la mostra del 1928 presentò solo dodici olii della fase “antropofagica” (A. COSTA, A Inquietação das Abelhas: o que dizem nossos pintores, escultores, arquitetos e gravadores, sobre as artes plásticas no Brasil, Rio de Janeiro, Pimenta de Mello, 1927, pp. 91-92 cit. in J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., p. 84).

Amico fedele di Oswald e Tarsila, Blaise Cendrars avrebbe poi presentato alla coppia altre figure importanti del circolo artistico parigino, come Fernand Léger, il cui atelier sarebbe poi stato frequentato da Tarsila, oltre ad altri cubisti come André Lhote, Robert Delaunay, Albert Gleizes, e ad uno stilista allora famoso, Paul Piret, pittore e collezionista di pitture d’avanguardia, che venne scelto da Tarsila come suo stilista (J. C. DURAND, Arte, Privilégio... cit., pp. 81-82).

304 Ivi, pp. 80-83.

nell’ambito del modernismo, la sua produzione più importante fu realizzata tra il 1923 e il 1930. Joaquim do Rêgo Monteiro, il fratello più giovane, trascorse buona parte dell’età adulta a Parigi, dove morì nel 1932; nel 1924 realizzò una sua personale a São Paulo e fu l’unico modernista che si incamminò verso l’arte astratta, al termine di quel decennio. Antônio Gomide, fratello di Regina Gomide e cognato di John Graz, studiò con questi alla Scuola di Belle Arti e Arti Decorative di Ginevra, per poi trasferirsi a Parigi nel 1921, dove tornò a vivere tra il 1924 e il 1929 e dove appunto subì l’influenza del cubismo sui suoi primi lavori degli anni Venti. Tra il 1922 e il 1923 studiò affresco e lavorò su pannelli con Marcel Lenoir a Tolosa; durante la sua permanenza in Francia l’artista fu altresì influenzato dall’art déco. Nel 1924 conobbe i modernisti. Regina Gomide Graz, che si recava a Parigi insieme al marito, fu – così come Vicente do Rêgo Monteiro, pioniera nell’ambito dello studio artistico delle tradizioni indigene del Brasile. In quel periodo si dedicò allo studio della tessitura degli indios dell’Alto Amazonas e, contemporaneamente, alla “decorazione modernista”, utilizzando forme geometriche e colori vibranti, introducendo nel design d’interni i pannelli, ma anche cuscini e abajure ispirati alle stilizzazioni cubiste e

art déco, che cominciavano ad essere introdotte nelle nuove residenze della città di São Paulo306.

I due obbiettivi del modernismo furono perciò il rinnovamento e il tema brasiliano307, già proposti e

accennati durante la Settimana e in una fase di definizione più precisa. Da quanto scrive il critico americano Harold Rosenberg, è possibile concludere che gli artisti brasiliani che si trovavano a Parigi negli anni Venti avrebbero scoperto, attraverso quel tipo di vita, ciò che di più vivo c’era in Brasile, come avvenne per la maggior parte degli artisti che passarono per di là, i quali “riscoprivano” i propri Paesi d’origine: “l’arte di ogni nazione si sviluppò attraverso Parigi”308. Secondo Oswald de Andrade, quella

nuova fase di permanenze in Europa fu importante per dare una direttiva ai desideri soggettivi

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