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XXIII Biennale Internazionale di Arte di São Paulo –

La XXIII Biennale d’Arte di São Paulo, con un costo di 12 milioni di reais, fu l’esposizione d’arte contemporanea più cara al mondo, una vera mega esposizione che nella sua realizzazione coinvolse 200 persone, tra i quali si cita il museologo norvegese Per Hovdenakk (allora direttore del museo Henie- Onstad Art Center), l’avvocato olandese Pieter Tjabbes (che aveva lavorato alla Tate Gallery di Londra) e l’architetto brasiliano Paulo Mendes da Rocha. Un altro record di questo evento fu la partecipazione di 87 Paesi – i quali stavolta si limitarono, come deciso dall’organizzazione della mostra, a presentare un artista ciascuno968 –, oltre ai visitatori che arrivarono a quasi 400 mila – di cui 75 mila studenti e professori

statali – in un’epoca in cui la grande affluenza di visitatori era vista come sinonimo di successo e qualità. Erano in disaccordo con questa idea la critica Aracy Amaral (che vedeva in questa Biennale un gioco in cui era il marketing a parlare più forte969) e Marcelo Coelho, per il quale “in particolare questa Biennale

fu un evento per una piccola élite dove si mobilitavano con una forza impressionante i «mass media»”970.

Sempre durante la presidenza di Edemar Cid Fereira e ancora una volta curata da Nelson Aguilar – ora assistito da Agnaldo Farias –, la XXIII Biennale ebbe come tema centrale la questione della “Smaterializzazione dell’arte”971, continuando sulla linea della rottura con i supporti tradizionali

abbordata nell’edizione precedente. Secondo Farias la “smaterializzazione” consiste nella negazione del concetto di opera e di autore, il suo pari dialettico, oltre ad alludere ai processi creativi collettivi, così come alle opere che si affidano di più sul concetto e meno sulla dimensione materiale e, in generale, alla questione della transitorietà. Così “separati con questa idea di immaterialità, si trova il minimalismo, l’arte concettuale, la land art, l’arte povera e tutti quei supporti che coinvolgono il tempo e una nozione di spazio che estrapola il quadrilatero della tela o la presenza immobile di un volume opaco al centro di un

965 F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 192. 966A. FARIAS (a cura di), Bienal... cit., p. 244.

967 F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 192. 968 A. FARIAS (a cura di), Bienal... cit., p. 248.

969 Aracy Amaral cit. in F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 196. 970 Marcelo Coelho cit. in Ivi, p. 197.

971 Secondo Alambert e Canhete questo concetto veniva preso dal libro della critica statunitense Lucy Lippard “Six Years: The Dematerialization of Art Object” (1966-1972), tuttavia, diversamente dall’autrice, Farias usò il termine “Smaterializzazione”, riconciliandosi con il grande mercato (che, in pratica, mai come adesso sostentava la Biennale). Ibidem.

ambiente” 972.

A fianco dei modernisti storici e tardivi, in questa edizione esposero anche Loise Bourgeoise e Jean Michel Basquiat, in sale speciali del nucleo storico, contribuendo così ad una “rivalutazione storiografica”: questi artisti, contemporanei delle avanguardie ma mai ad esse affiliati, non furono debitamente considerati dagli storici d’arte moderna del loro tempo973. Così fu la francese Louise

Bourgeois ad ottenere il maggior successo tra le sale speciali: artista veterana, all’epoca aveva più di ottant’anni ed era ancora poco conosciuta in Brasile. Autrice del disegno usato per il manifesto di questa Biennale, Bourgeois sorprese con la sua scultura in bronzo di un ragno gigantesco di 5 metri di altezza, opera che sarebbe stata acquistata un anno dopo da una banca e lasciata al MAM-SP974. I curatori

invitarono anche l’indiano Anish Kapoor, il quale si guadagnò una posizione centrale all’evento con le sue opere che alludevano a delle specie di abissi artificiali, tra cui Turning the world inside out. Tra le opere del duo di artisti inglesi Ben Jakober e Yannick Vu fu esposta Il gioco della sofferenza e della

speranza, che consisteva nel lancio di piatti di ceramica che si rompevano contro un vetro davanti allo

spettatore975. Oltre a questi, lasciarono il segno l’austriaco Arnulf Rainer e l’americano Cy Twombly con i

loro sconcertanti disegni e scarabocchi976 mentre, tra i brasiliani, le sorprendenti sculture di Tomie Ohtake

e i pezzi rituali del Maestro Didi977 che discutevano l’arte popolare insieme a Rubem Valentim, sui quali

era possibile tracciare un dialogo con il grande artista cubano Wilfredo Lam978. Nelle sale degli artisti

invitati furono memorabili, tra i vari, Waltércio Caldas, l’invitato ufficiale del Brasile, e l’esibizione dell’artista minimalista americano Sol LeWitt che elaborò per l’occasione una pittura geometrica a forma di stella con un insieme di pareti, occupando 300 m² di superficie. Con questa opera LeWitt voleva che tutti “interagissero” in questo insieme di mura979.

Secondo Farias, la parte storica era seconda solo a quella organizzata alla II Biennale, dove si espose

Guernica di Picasso. L’arco di tempo presentato nelle sale storiche cominciava con le incisioni della serie I Capricci, I disastri della Guerra, Tauromachia e I Proverbi di Francisco Goya – esposizione che ebbe

un grande successo presso il pubblico980 – fino ad arrivare a due secoli più tardi con l’opera recente,

seppur postuma, di Jean Michel Basquiat – artista che, per il mondo dell’arte di quel momento, andava necessariamente rivalutato981. Corrispondendo alle esigenze museologiche, aprirono la sessione le pitture 972A. FARIAS (a cura di), Bienal... cit., p. 248.

973 R. N. FABBRINI, Para uma história... cit., p. 55. 974 F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 199. 975 Ivi, pp. 198-200.

976 Ivi, p. 199.

977A. FARIAS (a cura di), Bienal... cit., p. 250.

978 F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 201. 979 Ivi, p. 199.

980 Stella Teixeira de Barros cit. in Ibidem.

del norvegese Edvard Munch – tra cui L’Urlo, seguite dalle opere dalle opere dell’uruguaiano Pedro Figari, più di quaranta dipinti e i disegni di Picasso, passando per la sala di Andy Warhol – organizzata dal suo museo – e dalla sala del pittore svizzero Paul Klee, dove si esponevano quadri, disegni e incisioni982, oltre alle opere del cubano Wilfredo Lam, curate da Gerardo Mosquera e dai lavori della

venezuelana Gego, le quali costituivano un’installazione organizzata da Roberto Guevara983.

Oltre al nucleo storico, stavolta ancora più consistente rispetto all’edizione precedente tanto da arrivare a dire che fu il grande protagonista della mostra – la strategia della Biennale fu quella di avvicinarsi al dibattito estetico. A tal fine, venne organizzata un’esposizione parallela intitolata Universalis, la quale venne realizzata da un gruppo di sette curatori, ciascuno responsabile per la rappresentazione di una regione del mondo, selezionando sei artisti per ciascuna area. Il curatore Tadayasu Sakai era responsabile per la scelta degli artisti asiatici, più “filosofici” nel loro rapporto con il mondo, come il cinese Cai Guo Qiang e il giapponese Yukinori Yanagi che creò un insolito parallelo tra formiche e uomini. Jean-Hubert Martin si occupò dell’area africana e tra i vari presentò la sudafricana Francina Ndimande con la sua pittura rituale. Mari Carmen Ramirez selezionò gli artisti sudamericani, il gruppo più politico di tutti, con opere dell’uruguaiano Luiz Camnitzer, della colombiana María Teresa Hincapié la quale univa alla precarietà dell’esser artista la sua condizione di donna, in una performance che ricorda un pellegrinaggio. Paul Schimmel era responsabile del nord America e preferì scommettere su giovani artisti come Elisabeth Peyton e i suoi ritratti di seconda mano, Tom Friedman e Julier Becker con la fantasia drammatica delle loro miniature; alcuni di questi artisti godevano già di una buona fama all’estero. Per gli artisti dell’Europa dell’Est lavorava Katalin Kéray che, tra gli altri, fece esporre l’humor corrosivo del ceco Milan Knizak e il mondo sobrio del grande artista russo Ilya Kabakov. Il curatore Achille Bonito Oliva presentò per l’Europa Occidentale i protagonisti di alcune delle correnti più rilevanti dalla fine degli anni Sessanta e dell’inizio dei Settanta, come gli italiani Luciano Fabro e Enzo Cuchi, il bosniaco Braco Dimitrijevic e il belga Panamarenko. Infine, Nelson Aguilar e Agnaldo Farias per il Brasile selezionarono Roberto Evangelista dallo Stato dell’Amazonas, Eder Santos di Minas Gerais, Artur Barrio e Nelson Felix da Rio de Janeiro e Geórgia Kyriakakis e Flávia Ribeiro da São Paulo984. In questa mostra emersero in

particolare due artisti: l’italiano Luciano Fabro con la sua opera Il giorno mi pesa sulla notte, realizzata con due pietre di marmo messe una sopra l’altra con la scritta del titolo; e l’originale opera anticapitalista della colombiana María Teresa Hincapié. Tra i brasiliani, si notarono la paulista Flávia Ribeiro con i suoi pezzi in alluminio bagnati d’oro e argento, con i quali lavorava sui temi della tensione e dei limiti, della fragilità e della transitorietà della materia; e le installazioni del veterano Arthur Barrio, che montò una sala scura e misteriosa dove i visitatori pestavano uno strato di sale grosso che crepitava ad ogni passo, fino a raggiungere un altro ambiente dove trovavano una sorpresa985.

Curiosa la ricerca realizzata dalla stessa Biennale e divulgata attraverso la rivista brasiliana Veja, secondo

982 Ibidem.

983 A. FARIAS (a cura di), Bienal... cit., p. 251. 984 Ivi, pp. 248.249-250.

la quale le preferenze del pubblico furono: nello spazio museale, Picasso (37,7%), Munch (15%), Klee (10,3%), Warhol (6%) e Goya (5%). Tra tutti gli artisti presenti, invece: Louise Bourgeois (30,4%), Soto (20,5%), Ben Jakober/Yannick Vu (8,7%), Flávia Ribeiro (6,2%) e Yukinori Yanagi (4,3%)986.

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