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XXIV Biennale Internazionale di Arte di São Paulo –

Organizzata dal Presidente della Fondazione Biennale Júlio Landmann e dal curatore generale Paulo Herkenhoff, la XXVI Biennale fu considerata dalla rivista Artforum (2000) una delle dieci mostre degli anni Novanta più importanti a livello mondiale987 e dalla Scuola Curatoriale di Stoccolma come una delle

dodici esposizioni “che cambiarono la prassi curatoriale del decennio del ‘90”988. Secondo Oliveira con

questa edizione “la Biennale di São Paulo arriva a fine secolo rinnovata nel suo aspetto e molto riconosciuta, con un pubblico di più di 500 mila persone e con un bilancio di 12 milioni di dollari”. Secondo l’autrice, questa edizione “fu pensata con tre ‘E’ – Esibizione, Educazione, Edizione –: una forte organizzazione curatoriale, l’impegno nel suo progetto educativo e l’investimento su quattro cataloghi attentamente concepiti e pubblicati”. A tal fine, la Direzione per l’Educazione ricevette un sostegno economico dalla banca HSBC pari a un milione di dollari, convogliati in un grande progetto formativo che garantì l’ingresso gratuito a più di mille professori e più di 100 mila alunni delle scuole statali; offrì la formazione a dei tutor specializzati e assicurò un adeguato accompagnamento per i disabili ecc., compiendo il ruolo della Biennale quale educatrice di un pubblico di massa989. Quell’anno, inoltre, la

Fondazione investì nella creazione di una struttura professionale decentralizzata per la gestione amministrativa con l’obiettivo di soddisfare requisiti sia tecnici sia professionali adeguati ai modelli internazionali, ristabilendo così la sua credibilità istituzionale e permettendo quindi al curatore di godere di maggiore autonomia e di maggiori possibilità di avere successo con il suo lavoro990.

Il tema principale di questa Biennale fu l’idea modernista dell’antropofagia che “doveva essere intesa come l’inglobamento dei valori dell’altro per costruire e articolare i propri” 991. L’idea del curatore fu

quella di mescolare opere di artisti originariamente distanti nel tempo e nello spazio sotto la nozione di “contaminazione” e da lì giungere al concetto storico di “antropofagia”. Così Herkenoff lavorò con tre nuclei: le Rappresentanze Nazionali – ove ciascun Paese sceglieva il proprio artista –; il Nucleo Storico – dedicato alla discussione del tema antropofagico nella cultura brasiliana e nei suoi paralleli in altre parti del mondo – e il nucleo intitolato Itinerari. Itinerari. Itinerari. Itinerari. Itinerari. Itinerari. Itinerari. (proprio con la stessa parola ripetuta sette volte come nel Manifesto Antropofagico indicando, in questo

986 Ivi, p. 200.

987 R. A. OLIVEIRA, Bienal... cit., p. 24.

988 Júlio Landmann cit. in F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 207. 989 R. A. OLIVEIRA, Bienal... cit., pp. 24-25.

990 V. SPRICIGO, Relato de Outra... cit., p. 113.

caso, il numero di regioni del mondo selezionate dai curatori per rappresentare l’arte di recente creazione)992.

Dal Nucleo Storico: Antropofagia e Storia del Cannibalismo, merita d’esser menzionata la sala dedicata a Vincent van Gogh – con quindici dipinti e tredici disegni – e le mostre su Tarsila do Amaral, Hélio Oiticica, Eva Hesse, Armando Reverón, Maria Martins, Alberto Giacometti. I curatori unirono questi nomi di successo con l’opera La zattera della Medusa del pittore romantico francese Théodore Géricault, come base per la loro strategia che prevedeva la presentazione del tema del cannibalismo anche come visione europea. Di Hélio Oiticica, artista fondamentale per il tema scelto dalla Biennale e per l’arte brasiliana contemporanea – furono mostrati Bolidi, Paragolés, rilievi neoconcretisti e delle foto dell’operazione Contrabolide. Furono portate delle opere di René Magritte che ripercorrevano coerentemente la carriera dell’artista; di Francis Bacon furono esposte alcune opere di grandi dimensioni come Tre Studi per un Ritratto di John Edwards; e del messicano David Siqueiros si mostrò il dipinto Il

Tormento (Il castigo del detenuto) (1930). In questa parte di carattere storico furono esposte anche dei

quadri di artisti olandesi che vissero nel Brasile coloniale, come Frans Post e Albert Eckout. Fu apprezzato anche Pedro Américo, uno dei classici dell’arte accademica pre-modernista brasiliana, con il suo Tiradentes squartato (1893), ispirato alla tela Teste Mozzate di Géricault e in contrapposizione con il

Totem-monumento del detenuto politico (1970) di Cildo Meireles, artista dello Stato del Goiás. Nella sala

dedicata al XIX secolo il tema del cannibalismo venne trattato in modo abbastanza letterale attraverso le opere di Francisco Goya, di Géricault, disegni e sculture di Rodin sul personaggio di Ugolino, la vampira di Munch, le incisioni dei simbolisti Félicien Rops e Valère Bernard, fino alle declinazioni antropofagiche del dadà e del surrealismo. Sempre in questo nucleo dedicato alla produzione contemporanea si presentò anche la scultrice minimalista Eva Hesse, Robert Smithson, l’artista del multimediale Bruce Nauman, la scultrice Louise Bourgeois – la quale mostrò la sua opera intitolata La distruzione del padre, un lavoro freudiano che parlava di figli che divoravano il padre repressivo993, oltre al gruppo CoBrA, Gerard

Richter e Sigmar Polke, Tony Oursler e Tennis Oppenheim.

Nella parte Itinerari, ispirata al modello organizzativo della mostra Universalis dell’edizione precedente, ad ogni regione era stato assegnato un curatore: all’America Latina Rina Carvajal, all’Oceania Louise Neri, al Canada e agli Stati Uniti Ivo Mesquita, all’Asia Apinan Poshyanada, all’Africa Lorna Fergusson e Awa Meita, al Medio Oriente i due curatori Ami Steinitz e Vasif Kortun e infine all’Europa Bart de Baere e Maareta Jaukkuri. Per quanto riguarda la produzione contemporanea, questa sezione fu la più significativa dell’edizione e riuscì a celebrare i nomi di successo quali Jeff Wall, Victor Grippo, Seydou Keita, Franz West, Sherrie Levine, come gli artisti emergenti Dadang Christanto, Bjarne Melgaard, Milica Tomic994.

Nella sezione delle Rappresentanze Nazionali, l’artista tedesco Mischa Kuball presentò l’installazione

Private Light/Public Light che presentava dei pezzi raccolti insieme a 72 famiglie di São Paulo, i quali

992 Ivi, pp. 204-205-206-210. 993 Ivi, pp. 210-212.

erano disposti a rappresentare la piramide sociale brasiliana995. Fu possibile anche assistere al video della

svedese Ann-Soffi Sidén, che lavorò sulla contrapposizione tra l’istinto animale e il successo individuale996; ai video dell’artista francese Pierrick Sorin, che fece una parodia del circuito artista-opera-

spettatore997; e infine i lavori dell’angolano William Kentridge, dell’uruguaiano Fernando Alvim e del

cubano Carlos Garaicoa sull’arte e sulla politica.

La rappresentanza brasiliana presentò opere di Aleijadinho, famoso scultore coloniale brasiliano; Il libro

del tempo (1960) di Lygia Pape; una sala dedicata ad Alfredo Volpi; sculture di Maria Martins; una

riflessione sull’attualità dei lavori di Lygia Clark; l’emblematica installazione di Cildo Meireles

Deviazione per il rosso; oltre ai contemporanei Regina Silveira con l’opera Folla, stampata sulla facciata

dell’edificio della Biennale, Anna Maria Maiolino e Anna Bella Geiger. Per gli artisti brasiliani furono organizzati due moduli di arte contemporanea: L’Uno e l’Altro e Uno Tra gli Altri, basati rispettivamente su questioni che si riferivano all’idea di “individuazione” e “identità culturale”. L’Uno e l’Altro presentò artisti degli anni Novanta come Rosángela Rennó, Sandro Cinto, Rivanne Neuenschwander e Valeska Soares, Laura Lima con la sua performance itinerante; Ernesto Neto con una specie di tende di sua costruzione; Edgar de Souza con una coppia di corpi bianchi intrecciati nel tronco. Queste opere dialogavano con i lavori di Lenilson (1957-1993), autore che marcatamente influenzò l’arte contemporanea brasiliana. Alla mostra Uno Tra gli Altri si notava un carattere più politico e sociale con le fotografie di Arthur Omar, de Vik Muniz e de Claudia Andujar; oltre all’installazione di Antônio Manuel,

Fantasma, ricostruita proprio per l’occasione, e le bandiere di Emmanuel Nassar998. Attraverso l’idea di

cannibalismo, metaforicamente inteso come brutalità politica, si espressero con finalità per l’appunto politiche artisti quali Claudia Andujar, Vik Muniz ou Cildo Meireles. La repressione e la violenza furono temi toccati dall’artista costaricana Priscila Monge; da Arthur Barrio, con dei fagotti che sembravano un cadavere insanguinato incartati in un lenzuolo per le strade di Rio de Janeiro, e dallo sculture dello Stato del Pernambuco Tunga, con il suo contemporaneo tacape (un’arma indigena simile ad una clava)999.

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