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XXV Biennale Internazionale di Arte di São Paulo –

La XXV edizione, che doveva essere realizzata nel 2000, fu posticipata per ben due volte: prima al 2001 e dopo, in modo definitivo, al 2002. Questi rinvii furono provocati principalmente dalla crisi istituzionale creatasi tra i dirigenti, i consiglieri e i critici-curatori legati alla Fondazione Biennale1008. Secondo la

critica Stella Teixeira de Barros, tali proroghe riflettevano l’assenza di un’effettiva politica culturale, di un progetto educativo e di direttive coerenti che rafforzavano la crisi istituzionale1009. Fu in seguito alle

dimissioni dei membri del consiglio che la XXV edizione venne stabilita per il 2002, subito dopo la realizzazione della megaesposizione La Biennale e la Mostra della Riscoperta del 2000 e della Biennale:

i primi 50 anni – Un omaggio a Ciccillo Matarazzo, nel 2001. Il curatore Ivo Mesquita fu sostituito dal

tedesco Alfons Hug, il primo straniero ad occuparsi del coordinamento artistico della manifestazione, e da Agnaldo Farias, curatore del Nucleo Brasiliano dell’esposizione. Il tema centrale fu l’Iconografia

Metropolitana, tematica che metteva a fuoco il legame esistente tra le metropoli moderne – con

l’importanza delle problematiche dei centri urbani – e l’arte contemporanea, mostrando fino a che punto ognuno di questi elementi rappresentava i contorni dell’altro. Pertanto, il curatore scelse 11 metropoli: São Paulo, Istanbul, New York, Pechino, Caracas, Londra, Berlino, Mosca, Tokyo, Johannesburg e Sydney, ognuna rappresentata da cinque artisti scelti dai curatori di quella stessa città e da altri dodici esterni, costituendo una dodicesima città "utopica", "una proposta estetica per il nuovo millennio", la quale però non fu gradita da tutti. Con questa scelta coraggiosa il curatore sostituì la formula tradizionale delle Rappresentanze Nazionali, stile importato dalla Biennale di Venezia ed utilizzato fin dalla prima edizione della Biennale di São Paulo. Con l’assunzione di Hug venne eliminato anche il "nucleo storico", rompendo così con un modello che aveva dominato tutte le edizioni precedenti. L'atteggiamento del curatore lasciò perplessi critici e artisti. Si temeva che l'assenza di grandi nomi della storia dell'arte, come Picasso, Van Gogh, Goya... la Biennale sarebbe risultata vuota dal momento che una mostra incentrata sull'arte contemporanea non avrebbe rappresentato un’attrattiva sufficiente per garantire il ritorno a quel prestigio che la Biennale aveva perduto. Con sorpresa della maggioranza delle persone, la XXV Biennale batté ogni record di presenza e portò 668.428 visitatori nel padiglione Ciccillo Matarazzo, nonostante disponesse di un budget molto modesto rispetto alle edizioni precedenti.

Parteciparono 160 artisti provenienti da 70 Paesi e 30 brasiliani. Di questa edizione è opportuno notare la predominanza di linguaggi come la fotografia, le installazioni, i video e le proiezioni. Molti artisti stranieri furono apprezzati, a cominciare da quelli a cui fu dedicata una sala personale come

1007 M. A. BULHOES, Antigas... cit., p. 278.

1008 F. ALAMBERT e P. CANHÊTE, As Bienais... cit., p. 221. 1009 Stella Teixeira de Barros cit. in Ivi, p. 222.

riconoscimento per il loro stile: Jeff Koons, Vanessa Beecroft, Thomas Ruff, Andreas Gursk e Julião Sarmiento. Oltre a questi, da Berlino giunse l’artista Michael Wesely, che per due anni fotografò i lavori di costruzione di Piazza Potsdamer; Michael Landy venuto da Londra per mostrare il suo progetto Anti

Design: una centrifuga che sbriciolava tutti i suoi oggetti fino a trasformarli in polvere. Ayse Erkmen, da

Istambul, presentò un progetto di connotazione socio-politica attraverso il quale faceva un confronto tra lo spazio della Biennale e gli spazi di una favela di São Paulo, riempiendo i corridoi di banners che esprimevano la rivendicazione degli abitanti della bidonville; l’Atelier van Lieshout, dall’Olanda, presentava Sportopia, un’istallazione realizzata con materiali rustici che proponeva una riflessione sull’ossessione del corpo; dalla Svizzera Fabrice Gygi espose un'istallazione, Posto di Guardia, che imitava i servizi di sicurezza; Cheri Samba dal Congo, con il quadro Che futuro c’è nella nostra arte?, univa se stesso e Ricasso, ragionando sul razzismo e sulla centralità costruita dai circuiti occidentali dell’arte, ricordando l'influenza dell’Africa sul cubismo.

Al Nucleo Brasiliano parteciparono, su invito, artisti provenienti non solo dall’asse São Paulo - Rio, ma anche da altre regioni del Paese. Questi artisti, con una sola eccezione, avevano già consolidato un lavoro maturo, ma non necessariamente erano già inseriti nel grande circuito artistico o magari negli ultimi dieci anni non avevano partecipato alla Biennale. I lavori dimostravano chiaramente i molteplici percorsi che l’arte contemporanea stava percorrendo in Brasile, condensati nelle istallazioni, nelle performance e nei video, con una lucidità abbastanza acuta rispetto alle questioni estetiche e culturali del momento, enfatizzando la critica alla mercificazione del prodotto artistico e al ruolo del Brasile nella globalizzazione in corso. L’apice era rappresentato da Nelson Leirner, Carlos Fajardo e Lambrecht, ai quali furono dedicate delle sale speciali come riconoscimento della maturità dei loro lavori rispetto alla produzione contemporanea brasiliana. Nelson Leirner mostrò un’istallazione che rifletteva sul gioco dell’arte, cercando di identificare la delicata trama che ne costituiva il circuito in una sala allestita con un tavolo, delle palle e delle racchette da ping pong messe in vetrine. Farjado presentava invece un’istallazione piena di sale e di labirinti, che dimostrava tutta la sua abilità nel dominare lo spazio, l’architettura, la scultura, il disegno e la pittura. Infine Lambrecht, artista della Generazione 80 che tuttavia seguì un percorso individuale comprendente pittura, scultura e performance, portò un’installazione con vestiti, sangue (al posto della tintura) e delle viscere, con l’obiettivo di lavorare su concetti quali l’appartenenza e il sacro. Carmela Gross, che rappresentò l’espressione più particolare dell’edizione, aveva messo una gigantesca insegna luminosa di neon rosso sull’edificio della Biennale con la scritta “HOTEL”, confondendo così gli sguardi dei passanti1010. Per Farias, il gesto ironico

dell’artista individuava il pericolo che circondava l’istituzione della Biennale e la produzione artistica stessa: il sorprendente processo di spettacolarizzazione della cultura, che travolgeva il circuito artistico brasiliano e internazionale all’inizio del XXI secolo1011. Oltre a questa opinione, è interessante riportare i

commenti di Agnaldo Farias in riferimento ad altri artisti brasiliani: Alex Pilis, con la sua esperienza sensoriale di ricerca con i non-vedenti alla Biennale, la quale faceva parte del più ampio progetto

1010 A. FARIAS, Hotel das Estrelas, in A. FARIAS (a cura di) XXV Bienal de Sao Paulo - BRASIL, catalogo della mostra (São Paulo, FBSP, 2002), Fundaçao Bienal de São Paulo, São Paulo, 2002, p. 22.

Architettura Paralasse; il paulista Sergio Sister, con la sua pittura che analizzava la luce e le relazioni tra

corpi cromatici diversi tra loro; il pittore figurativo Gil Vicente, di Recife, con opere di grande dimensioni dal carattere drammatico e cupo; Daniel Acosta, con la sua installazione nella quale formiche e mattoni forati creavano oggetti imprecisi che non erano né sculture e né costruzioni; e la carioca Brigida Baltar, artista eclettica, portò una narrativa di finzione chiamata Casa delle Api con fotografie, tappeti, disegni e video. Si cita anche il gruppo carioca Chepa Ferro, che mescolava arti visuali e musica mostrando in una sala i risultati della loro performance eseguita nel primo giorno di Biennale, dove si mescolavano simboli come auto sportive e rock’n’roll; ed infine Helmut Batista, o Capacete, con una scatola di lamiera di 2 metri per 4, che poteva essere convertita in una galleria d’arte o in uno studio, offrendosi come uno spazio espositivo alternativo a quel circuito artistico brasiliano che tanta insoddisfazione provocava nell’artista a causa della rotta cha stava seguendo1012.

Merita di essere menzionato anche il progetto In Rete (On the NET) curato da Christine Mello, la quale voleva approfondire i contenuti dei lavori artistici presenti in internet, cercando di capire in che modo l’opera fosse costruita nel mondo virtuali. In questa parte dedicata all’arte cibernetica furono esposti 10 opere internazionali di NetArt e 9 nazionali. Ulteriori discussioni furono alimentate da alcune forme di “intrusione”, come il caso dello studente Cleiton il quale riuscì clandestinamente a mettere un tavolo chiamato Pirate Ship nel salone principale dell'esposizione, che rimase lì per due settimane prima di essere scoperto. Un’altra intrusione fu rappresentata da Scavatrice di Rubens Mano, un’installazione costituita da una porta che permetteva l’ingresso gratuito alla Biennale. L’apertura fu perciò chiusa, motivando l’abbandono della mostra da parte dell’autore e della sua opera. La Scavatrice rimase comunque un dibattito aperto.

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