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Guglielmina Diolaiuti, Università degli Studi di Milano, Italia Elisa Vuillermoz, EvK2CNR, Bergamo, Italia

La risorsa idrica alpina è di fondamentale importanza non solo per le aree montane ma anche per i sistemi di collina e di pianura che in misura diversa ne dipendono. Il Cambiamento Climatico sta impattando in diverso modo su questa risorsa con effetti anche sui sistemi antropici ed economici. Per questo motivo è fondamentale disporre di dati meteorologici, atmosferici ed idrologici acquisiti in siti chiave delle nostre montagne che consentano di descrivere i processi attivi e di modellarne l’evoluzione e gli effetti sull’acqua.

Durante il workshop sono stati presentati ad amministratori, tecnici ed interessati i risultati delle più recenti ricerche in campo climatico, idrologico, glaciologico e geologico applicato ed è stata presentata la rete SHARE Alps e i risultati sinora conseguiti nonché la banca dati prodotta. È seguito un dibattito con i referenti della rete con la possibilità di visionare i dati raccolti (storici e real time) disponibili su richiesta.

Nel Workshop sono state presentate 5 relazioni ad invito che hanno permesso di affrontare il tema da diversi punti di vista. Più precisamente le prime due relazioni hanno permesso di inquadrare l’Analisi del bisogno, ovvero di conoscere l’acqua e la sua variabilità sulle nostre montagne e gli effetti attesi delle sue variazioni in funzione di diversi scenari di cambio climatico. Sono seguite altre due relazioni

da parte di referenti di progetti pilota e/o stazioni osservative che hanno illustrato alcune strategie per una migliore conoscenza presente e futura dell’oro blu delle Alpi e i risultati già conseguiti. Ha concluso i lavori la relazione che ha illustrato la rete SHARE e SHARE-Alps, che ha sottolineato l’importanza della conoscenza per una migliore gestione: le banche dati e la loro accessibilità, per rendere il cittadino (non solo il residente in montagna) consapevole e attento nella gestione di una risorsa preziosa. Ha iniziato il PhD Carlo D’Agata dell’Università degli Studi di Milano che ha illustrato le variazioni recenti (1981-2007) dei ghiacciai di Lombardia. D’Agata ha affermato che il volume d’acqua racchiuso nei ghiacciai di Lombardia è limitato se confrontato con le altre riserve, si stimano infatti circa 4 miliardi di m3 di acqua distribuiti su una superficie glacializzata attuale di circa 85 km2. Questa modesta quantità si rende però in parte disponibile proprio nel periodo estivo, quando le alte temperature ed i periodi siccitosi possono mettere in crisi fiumi, torrenti e canali e a catena i vari utilizzatori. Ma quanta acqua rilasciano i ghiacciai ogni estate? Come si può quantificare l’oro blu che fluisce dal cuore freddo delle Alpi Lombarde?

I metodi sono diversi e vedono sia analisi di dati spaziali come le foto aeree e i Modelli Digitali di Elevazione (DEM, ovvero rappresentazioni 3D

del territorio che consentono analisi di variazioni plano altimetriche estese a grandi superfici), sia rilievi di terreno, in siti scelti e selezionati per rappresentatività ed accessibilità, per verificare puntualmente la veridicità dei dati ottenuti dalle analisi da remoto. In Lombardia queste analisi vengono svolte da tempo grazie alla proficua collaborazione tra i ricercatori della Statale di Milano (Dipartimento di Scienze della Terra “A. Desio”) e il Servizio ITT di Regione Lombardia. I risultati ottenuti sono di grande interesse e hanno rivelato quanta acqua è stata rilasciata dai ghiacciai di Lombardia negli ultimi decenni. In particolare l’ITT di Regione Lombardia ha messo a disposizione i Modelli Digitali di Elevazione ad alta risoluzione relativi al 1981 e al 2007 il cui confronto ha permesso di quantificare la contrazione volumetrica dei ghiacciai di Lombardia avvenuta in questo periodo di tempo.

L’analisi svolta su tutti i gruppi montuosi regionali, con la sola eccezione delle Orobie dove sono localizzati pochi ghiacciai di ridottissime dimensioni e quindi in una prima analisi trascurabili per entità di acqua racchiusa e rilasciata (ma non per interesse paesaggistico e naturalistico che rimane anche qui assai elevato) ha evidenziato che i ghiacciai di

Lombardia hanno visto una variazione volumetrica nel periodo 1981-2007 pari a 1663 milioni di m3 di ghiaccio perso (circa 1,5 km3 di acqua rilasciata ovvero 1496 miliardi di litri di acqua in 26 anni!). Il volume complessivamente perso rapportato alla superficie coperta dai ghiacciai nel 1981 porta a stimare la perdita media di spessore dei ghiacciai lombardi pari a 18 m di ghiaccio equivalente ad un assottigliamento annuo di 0,70 m di ghiaccio. Questo valore medio di assottigliamento è in accordo ai dati di perdita di spessore glaciale rilevati ogni anno con misure di terreno su alcuni selezionati ghiacciai di Lombardia tra i quali il Ghiacciaio Sforzellina, al Passo Gavia, monitorato per le variazioni di spessore e massa sin dal 1986 e il Dosdè Orientale, in Val Viola, al confine con la Svizzera, monitorato dal 1995. Se si estende la perdita media annua valutata su tutti i ghiacciai di Lombardia (-0,70 m di ghiaccio) all’intera superficie glaciale lombarda attuale (85 km2) si può stimare il rilascio idrico glaciale estivo medio pari a oltre 54 milioni di m3 di acqua. Questa quantità ogni estate lascia il cuore freddo delle Alpi e confluisce in torrenti, fiumi e laghi proprio nel periodo in cui ce n’è più bisogno.

La stazione meteorologia automatica installata sul Ghiacciaio dei Forni. A destra la struttura installata a settem- bre 2005 (AWS1 Forni) su cui sono presenti tutti i principali sensori meteo tra cui quelli ultrasonici per la misura dell’accumulo nevoso (cerchio giallo). A sinistra la struttura installata per il progetto SPICE-WMO (AWS Forni SPICE) a cui è collegato lo snow pillow (cerchio blu). Quattro aste graduate riprese periodicamente da una webcam localizzata sul palo della stazione completano la strumentazione.

Information Services for Europe) dove CNR ISAC e UNIMI hanno stimato la produttività passata, presente e futura di un bacino campione sulla base di precipitazioni e temperature ricostruite per ogni punto di una griglia ad alta risoluzione che descrive il territorio analizzato. I risultati del progetto indicano che le serie virtuali (ovvero ricostruite sulla base di climatologie poi spazializzate) di temperature e precipitazioni rappresentano strumenti molto utili per valutare la potenziale produttività di un bacino ove sia localizzato un impianto idroelettrico. In particolare è emerso come un ruolo chiave in futuro possa venir giocato dalle temperature attese in base alle proiezioni che possono impattare in modo sensibile sullo SWE (snow water equivalent) e quindi sull’acqua poi disponibile per gli impianti produttivi. La seconda parte del workshop ovvero la presentazioni di strategie e reti osservative e di monitoraggio è iniziata con la relazione del PhD Ing Daniele Bocchiola, idrologo del Politecnico di Milano, che ha presentato la rete di monitoraggio idrologico IDROSTELVIO che POLIMI ha sviluppato di concerto con UNIMI per il Parco Nazionale dello Stelvio (settore lombardo) nel 2010. La rete, di proprietà del Parco ma affidata alla gestione dei ricercatori e dei tecnici di POLIMI e UNIMI che l’hanno progettata, vede 11 stazioni idrometriche attive localizzate in punti chiave del Parco, ovvero torrenti e corsi d’acqua di alta quota alimentati prevalentemente dalle acque di fusione nivo- glaciale e dallo scioglimento del permafrost. I dati sinora raccolti sono confluiti in un data base di grande utilità per gli amministratori del Parco che hanno per la prima volta potuto correttamente quantificare il patrimonio idrico di questa vasta area protetta. I dati raccolti inoltre permettono di calibrare e validare i modelli di deflusso sviluppati dai ricercatori di POLIMI e che verranno applicati a diversi scenari di cambio climatico per proiettare la disponibilità idrica attesa in futuro nell’area protetta più vasta di Lombardia.

Antonella Senese dell’Università degli Studi di Milano ha invece illustrato la rete di monitoraggio meteoglaciale di UNIMI gestita in collaborazione con l’Associazione Riconosciuta EvK2CNR. La rete, composta da tre stazioni supraglaciali permanenti localizzate in aree chiave delle Alpi Italiane, permette l’acquisizione direttamente alla superficie dei ghiacciai dei principali parametri meteorologici e dei flussi energetici responsabili della fusione. I dati acquisiti vengono sia registrati dalle stazioni che inviati via radio-modem e GSM Nella sua relazione il dott D’Agata ha anche riportato

la grave fase di degradazione della risorsa glaciale lombarda evidenziata dall’intensa frammentazione subita dagli apparati (che sono infatti numericamente aumentati nell’ultimo trentennio passando da 140 nel 1981 a 308 nel 2007) e dal notevole regresso areale (in media -30% di area rispetto al valore 1981). La riduzione dei ghiacciai alpini in atto conseguente ai cambiamenti climatici porterà nel tempo anche ad una riduzione del volume di acqua rilasciato dai ghiacci di Lombardia. Basti pensare che all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso il rilascio idrico stagionale conseguente alla fusione glaciale è stimato del 10% maggiore rispetto all’attuale in funzione dell’allora maggiore estensione superficiale dei ghiacciai. Sul tema degli impatti del cambiamento climatico sull’acqua disponibile sulle Alpi e in particolare su quella utilizzabile in futuro per la produzione di energia idroelettrica si è concentrata la relazione del prof Maurizio Maugeri, climatologo dell’Università degli Studi di Milano. Maugeri ha riportato i risultati di un recente progetto (ECLISE: Enabling CLimate

Variazioni di Spessore di Ghiacciai del Gruppo Ortles Cevedale Lombardo quantificate per il peirodo 1981- 2007 tramite confronto di DEMs forniti dall’ITT di Regione Lombardia. Le analisi sono state condotte nell’ambito del progetto SHARE Stelvio, afferente a SHARE, e finanziato da Regione Lombardia. i dati sono consultabili nel portale Share GEONetwork. I risultati ottenuti indicano che nei 26 anni di analisi i ghiacciai del gruppo Ortles Cevedale settore Lom- bardo hanno visto una riduzione di 766 milioni di m3

di ghiaccio (pari ad un rilascio idrico di circa 702 x milioni di m3 di acqua). Il tasso di assottigliamento

medio annuo è stato di 0.7 m, in accordo alle misure di terreno svolte su alcuni ghiacciai campione.

parametri a partire da dati misurati in aree vallive, al di fuori dei ghiacciai. Una volta validati i modelli vengono applicati per distribuire i dati meteo ed energetici per quantificare la fusione e i conseguenti deflussi idrici.

La conclusione del Workshop è stata a cura della PhD Elisa Vuillermoz di EvK2CNR che ha relazionato non solo sulla rete SHARE promossa e gestita da EvK2CNR ma anche sulle piattaforme che permettono la visura e l’accesso ai dati rilevati. In particolare Vuillermoz ha illustrato Share GEONetwork il sito appena lanciato da EvK2CNR per la condivisione e diffusione dei dati ambientali rilevati nelle principali aree di alta quota del Pianeta. Il sito permette sia la corretta geolocalizzazione dei dati attraverso un web GIS semplice e user friendly che consente agli utenti di visualizzare l’area geografica monitorata e gli attributi spaziali delle stazioni o dei parametri analizzati sia l’accesso ai metadati e alla banca dati vera e propria. Questo strumento informativo e di condivisione delle informazioni è particolarmente importante per conoscere e gestire correttamente la risorsa idrica alpina e quindi la sua valenza è destinata ad ampliarsi e ad aumentare nel prossimo futuro parallelamente all’aumento della mole di dati raccolti e resi accessibili non solo ai ricercatori e agli amministratori ma anche a tutti i cittadini delle dei paesi Alpini.

ai laboratori di UNIMI ed EvK2CNR dove vengono processati, validati ed archiviati in data base accessibili alla comunità scientifica ma anche ai cittadini. Le stazioni, inizialmente inserite nella rete di monitoraggio di alta quota SHARE (Stations at High Altitude for Research on the Environment) promossa e gestita da EvK2CNR afferiscono anche ad altre prestigiose reti come GEWEX e da poco

anche SPICE-WMO. Quest’ultimo è un esperimento

dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale per la raccolta e comparazione di dati nivologici in aree chiave del Pianeta utilizzando strumenti e sensori diversi al fine di delineare i protocolli di misura e monitoraggio più corretti ed efficaci nelle diverse aree climatiche.

In Italia solo un sito è stato ammesso all’esperimento, si tratta del Ghiacciaio dei Forni e in particolare della stazione sopraglaciale UNIMI-SHARE qui attiva dal settembre 2005. Per SPICE il sito dei Forni è stato strumentato con due sensori ultrasonici per la misura dell’accumulo nevoso, con uno snow pillow per la valutazione in tempo reale dello SWE e con una fotocamera che inquadra 4 aste graduate e ne rileva un’immagine ogni ora per valutare lo spessore del manto nevoso al suolo. Ogni 15 giorni vengono inoltre svolti rilievi di SWE con tubo pesaneve Enel Valtecne e viene scavata una trincea nivologica in accordo agli standard AINEVA. Nella sua relazione Senese ha anche evidenziato gli importanti risultati conseguiti sinora grazie alla presenza di stazioni sopraglaciali che hanno permesso non solo di descrivere correttamente la micro-meteorologia glaciale ma anche di quantificare l’energia assorbita responsabile dei processi di fusione e di validare le modellazioni meteo climatiche dei principali

Schermata Iniziale di Share GEONetwork da dove gli utenti possono accedere a mappe interattive (via Web GIS), metadati e dati relativi al progetto SHARE e alle stazioni osservative afferenti alla rete di EvK2CNR.

Workshop 4-7

Paesaggi alpini ed energia idroelettrica: dibattito

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