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Università degli Studi di Milano, Italia

da un punto di vista socio-culturale in termini di virtù civiche e mentalità collettiva. Una componente essenziale di questo “misticismo” alpino si coglie nel sentimento religioso forte e diffuso – cattolico o protestante, anche se questo è quasi irrilevante, giacché il Cattolicesimo alpino fa propri dei contenuti affini al Protestantesimo – degli autori politici che alimentano questa corrente di pensiero. In realtà esiste una sorta di sincretismo alpino che parte da un livello religioso fino a permeare quello culturale e politico e forma il frontespizio ideologico per la creazione di una federazione di comunità volontarie territoriali delle Alpi in seno a un’Europa federale. Un altro elemento che unisce i federalisti alpini è un sentimento forte e consapevole di resistenza all’oppressione da parte sia di uno Stato autoritario o totalitario, sia di uno Stato democratico ma centralista e burocratico. L’attaccamento alle origini che alimenta il senso d’identità in questi autori è alla base di un autonomismo radicale che vede nel federalismo contestualizzato in un europeismo convinto una prospettiva politica e istituzionale del tutto logica e percorribile.

Il Federalismo alpino trova la propria elaborazione dottrinale come parte di un federalismo personalista e integralista. In questa prospettiva l’arco alpino è visto come un punto di collegamento con l’Europa centrale e il confine diventa una risorsa che consente L’idea di organizzare federativamente le comunità

volontarie territoriali dell’arco alpino, da Nizza a Vienna, al fine di creare una macroregione che esula dai confini degli Stati nazionali non è certo una novità dei giorni nostri. La sua formalizzazione teorica e pratica che non può prescindere dalla centralità della Svizzera è racchiusa in un modello di “federalismo alpino” formulato a livello di pensiero ben prima che fosse proposto di recente dalle istituzioni europee sulla falsariga delle macroregioni Baltico e Danubio. Come spesso accade, l’elaborazione del pensiero nel ciclo storico dell’era politica moderna non è il prodotto o il risultato di uno sviluppo, ma piuttosto diventa essa stessa un elemento essenziale, una sorta di “motore” dello sviluppo istituzionale, politico, economico e sociale.

La Carta di Chivasso del dicembre 1943 e le intuizioni di Émile Chanoux, Denis de Rougemont e Guy Heraud sono soltanto la punta estrema di un sentimento politico condiviso strettamente legato alla civiltà alpina. Un sentimento politico che pur essendo polifonico, ossia vario, complesso e composito, è altresì un tutt’uno caratterizzato da una compattezza e omogeneità di fondo. Sono infatti discernibili alcuni elementi comuni, tra cui una sorta di “misticismo” alpino che si esprime nell’inclinazione a contemplare il mondo magico ed enormemente affascinante delle montagne composto di misteri impenetrabili, con tutto ciò che questo comporta

un laboratorio privilegiato di forme particolari di autonomia, autogoverno e libertà fiscale, come esemplificato dalle Carte di regola e dagli antichi statuti. È il territorio di risoluzione dei conflitti, soprattutto di quelli con la pianura.

di definire un vero e proprio modello di civiltà. Le Alpi non vanno considerate in questo caso un elemento geomorfologico di frattura, quanto piuttosto un territorio che ha prodotto un modello di civiltà. L’idea è di una regione alpina trascende i confini del tempo e dello spazio, anche mentalmente, giacché da tempo abbiamo rinunciato a vedere le Alpi come un complesso montuoso su cui piantare le bandiere di un confine sacro alla nazione in quanto bastione naturale contro gli antichi nemici, i popoli austro- germanici. Parimenti è tramontato il concetto di una “inimicizia ereditaria” – per usare le parole di Claus Gatterer, rappresentante della tradizione etica e civile dell’Alto Adige – che grava sulla cultura politica italiana e sul sentire collettivo da tempo immemorabile.

La frattura è profonda, come hanno osservato anche dei commentatori britannici. Quattro anni fa ed esattamente il 5 maggio 2010, la rivista the Economist pubblicava una cartina geopolitica dell’Europa in cui lo Stivale appariva diviso a metà. Il Mezzogiorno, da Roma in giù, il Regno delle Due Sicilie circondato dal Mediterraneo e descritto poco elegantemente dalla testata britannica con il termine italiano “bordello.” L’Italia settentrionale era invece raffigurata come parte di una confederazione di paesi economicamente più avanzati, più forti e più ricchi. Il 14 giugno 2012, il Financial Times pubblicava a sua volta una carta geopolitica in cui l’Italia settentrionale era separata dal resto della penisola e inclusa in una rinnovata Europa lotaringia, il cui cuore è rappresentato da una striscia di terra che si estende da Amsterdam e Anversa fino a Firenze. Questa è stata la culla della civiltà mercantile, del capitalismo moderno alla base della produzione di ricchezza.

In entrambi gli esempi, gli analisti britannici hanno riportato l’Italia settentrionale verso il suo naturale baricentro in Europa centrale, com’è stato dalla seconda metà del XIX secolo (si veda per esempio Carlo Cattaneo e Camillo Cavour), ma questa operazione è fattibile solo se le Alpi fungono da “collegamento” da un punto di vista geopolitico. Un collegamento che tiene unite le comunità volontarie territoriali su entrambi i versanti alpini e vede il confine come una risorsa. Questo è lo “spazio” alpino, molto più di un semplice luogo, piuttosto un’area privilegiata da una vocazione mai sopita verso l’autonomia, dovuta alla sua storia, cultura, tradizione, identità e mentalità collettiva che è comune perché forgiata dalle Alpi, dalle montagne. Si tratta di una terra che nei secoli è diventata

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