4 Come integrare? La seconda fase negoziale: da Venezia a Parigi
4.3 Lo strappo di Mollet
L’accettazione da parte francese del compromesso Spaak, purtroppo, non durò molto. Sulla spinta di fortissime pressioni interne da parte dell’establishment militare e della lobby nucleare, i termini di quel compromesso furono immediatamente rivisti al ribasso. All’indomani della Conferenza di Venezia, infatti, la pressione delle opposizioni sul governo divenne asfissiante: l’attendismo di Mollet ed il suo congelamento del piano di crescita nucleare militare avevano frustrato le aspirazioni dei generali francesi, della destra gaullista e dei capi del CEA. Dopo il discorso d’insediamento di Mollet, accolto con grande diffidenza da questi ultimi, la divulgazione della notizia di una probabile accettazione da parte del Ministro Pineau di una moratoria sulla fabbricazione di armi nucleari300, spinse
299 Comptes rendus des conversations franco-‐americaines (Washington, 18-‐19 juin 1956),
Documents extraits du fond du Secrétariat Général, in DDF 1956, Tomo I, no. 417, pag. 1012-‐1029.
300 Partendo dal “compromesso Spaak” il Primo Ministro Belga, insieme ai suoi collaboratori inviò al
Ministro degli Esteri francese Pineau una lettera il 24 aprile, in cui si definivano con maggior chiarezza i termini contenuti nel cosiddetto compromesso. Esso prevedeva una moratoria di ben cinque anni sulla fabbricazione di armi nucleari, al termine della quale questa rinuncia avrebbe
queste forze ad agire. Catalizzatore e portavoce del dissenso fu l’allora Ministro della Difesa Maurice Bourges-‐Manoury, il quale giunse pubblicamente a prendere le distanze dalla vocazione pacifista del Primo Ministro Mollet schierandosi con l’opposizione e scatenando una pericolosa crisi parlamentare301. Per il Ministro
Bourges-‐Manoury la libertà d’azione francese in campo nucleare e i fondi già stanziati per la ricerca non potevano esser messi in gioco per nessuna ragione: una moratoria sui “test” nucleari sarebbe stata accettabile, ma solo poiché ci sarebbero comunque voluti tre o quattro anni prima che un test si fosse reso possibile.
L’incontro decisivo tra le parti si ebbe dopo una lettera che Bourges-‐Manoury inviò a Pineau: esso avvenne il 25 giugno del 1956. La riunione vide la partecipazione dei rappresentanti della Difesa Nazionale, incluso lo stesso Bourges-‐Manoury, del direttivo del CEA, di Maurice Faure, Segretario di Stato agli Affari Esteri oltre che capo delegazione francese a Bruxelles, di Emile Noel, direttore di gabinetto di Mollet e di Robert Marjolin, incaricato delle questioni europee al gabinetto di Pineau302. Nel corso dell’acceso dibattito emerse in modo
particolare l’aspra divergenza tra il Colonnello Buchalet e Maurice Faure: mentre il primo temeva che l’EURATOM avrebbe sottoposto di fatto i Sei alla volontà degli Stati Uniti oltre che ai vincoli statutari della futura Agenzia Atomica Internazionale, il secondo sosteneva, al contrario, che solo una Comunità Atomica Europea coesa avrebbe permesso ai paesi membri di negoziare alla pari con gli altri partner atomici mondiali303. Alla fine del confronto si decise che un accordo si sarebbe
potuto chiudere sulla base di tre principi irrevocabili. In primo luogo, si poteva accettare una moratoria solo sulla produzione di un ordigno nucleare ed essa non doveva limitare il paese per più di tre o quattro anni; secondariamente, passato quel periodo la Francia doveva recuperare “unilateralmente” libertà d’azione in campo nucleare; infine non dovevano esserci ostacoli tecnico/diplomatici di sorta potuto esser rimessa in discussione da una decisione unanime del Consiglio dei Ministri: così facendo uno stato avrebbe potuto costruire armi atomiche ricevendo il consenso di almeno altri due membri dei Sei. Pineau accettò la lettera del suo collega belga come base di discussione a Venezia, ma della discussione nei documenti ufficiali della Conferenza di Venezia, si hanno ben poche tracce.
301 B. Goldschmidt, Le complexe atomique, cit., pp. 149-‐150.
302 P. Guillen, La France et la négociation du traité d’Euratom, cit., pag.121.
303 Note du Cabinet du Secrétaire d’État aux Affaires Étrangères, Compte rendu du déjeuner du
al perseguimento di un proprio piano di sviluppo di un ordigno304. Il giorno
successivo, Paul Henry Spaak incontrò Maurice Faure: al Ministro degli Esteri belga fu riferito che la Francia non avrebbe potuto rinunciare al nucleare militare e che Mollet, per non turbare gli equilibri della sua maggioranza, non avrebbe potuto dar seguito agli impegni presi. A Spaak non rimase dunque che esprimere a Faure tutti i suoi dubbi sulla nuova posizione francese, oltre che il suo dispiacere personale per il passo indietro che era stato fatto rispetto al compromesso siglato a Bruxelles305. Per tutta risposta il governo francese decise di portare in aula la
questione: il voto del parlamento avrebbe rafforzato la posizione del Governo evitando scissioni che avrebbero potuto mettere a rischio la maggioranza. Allo stesso tempo esso sarebbe stato un utile espediente per obbligare poi i deputati a ratificare le decisioni prese dai Sei e dal Governo, qualora EURATOM fosse andata in porto.
Nel dibattito assembleare Mollet, Pineau e Faure rassicurarono i deputati della completa libertà d’azione francese in campo militare: nella nuova bozza di compromesso la Francia non aveva alcuna limitazione nell’uso dei propri combustibili fissili (ovvero quelli prodotti sul territorio francese). L’adesione ad EURATOM andava dunque vista come una vera e propria arma, sia per incrementare le possibilità di ottenere combustibile fissile da altre fonti, sia per controllare cosa i tedeschi facevano con l’uranio ed il plutonio che arrivava dagli Stati Uniti. L’adesione ad EURATOM si rendeva necessaria, secondo Pineau, anche perché i britannici avevano interrotto le trattative per la creazione di un centro di arricchimento comune sul suolo francese306. Pineau negò anche, di fronte
all’Assemblea, che il Mercato Comune sarebbe stato il prezzo che la Francia avrebbe pagato pur di vedere realizzata l’EURATOM. Mollet, infine, rompendo sia con i socialisti tedeschi che con il Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa, comunicò per la prima volta all’Assemblea lo stato dei lavori di costruzione della bomba e promise che la comunità internazionale non avrebbe potuto impedirne il
304 Ivi.
305 Note sur l’entretien entre M.M. Maurice Faure et Spaak, le 26 juin 1956 à l’Ambassade de France
à Bruxelles au sujet de la conference de Bruxelles, Bruxelles, 26 juin 1956, in DDF 1956, Tomo I, no. 432, pp.1054-‐1059.
raggiungimento307. La votazione si concluse con un grande successo per il governo,
che vide approvata la sua mozione con una larghissima maggioranza308. A questo
punto, i tedeschi, avrebbero potuto accettare EURATOM pur sapendo che essa non sarebbe stata in nessun modo un limite alla volontà francese di dotarsi di un ordigno atomico? Quale sarebbe stata la reazione americana al voto del Parlamento di Parigi? Gli americani avrebbero continuato a supportare senza remore l’EURATOM o avrebbero preferito offrire alla Germania accordi bilaterali e una grande quantità d’uranio archiviando di fatto il processo integrativo?
Questi timori, all’indomani del cambiamento di posizione dei francesi, rendevano l’EURATOM sempre più a rischio. Presso il Dipartimento di Stato, tuttavia, non sembravano esserci stati mutamenti nella strategia: era necessario continuare convintamente a seguire un dialogo multilaterale, rilanciando il disegno integrativo con nuove proposte più appetibili ai partner europei. Smith ed Elbrick, in un loro memorandum a Dulles, immediatamente proposero la trasformazione di EURATOM in un accordo di cooperazione più ristretto e limitato nei fini, che si fosse limitato a gestire delle clausole di salvaguardia e di responsabilità sul controllo e sulla gestione comune dei combustibili. Piuttosto che tornare alle negoziazioni bilaterali, sarebbe stato più saggio rilanciare, mostrando agli alleati la “carota” di un ampio programma di cooperazione309. Barnett si spinse ancora più
avanti, affermando come l’imposizione del proprio volere agli europei fosse una strategia scarsamente lungimirante: ai Sei bisognava proporre un ruolo chiave nella gestione degli impianti di arricchimento americani, responsabilizzandoli e rendendoli parte dello sforzo tecnologico. Allo stesso tempo, sotto l’attento occhio della NATO, bisognava fornirgli anche ordigni atomici realizzati negli USA affinchè essi rinunciassero per un buon numero di anni, a crearne di propri sul loro suolo. Proprio le considerazioni di Barnett, Smith ed Elbrick furono riorganizzate e
307 Nell’occasione fu anche comunicata all’Assemblea la creazione di una divisione militare in seno
al CEA che avrebbe dovuto gestire e coordinare i contatti tra l’organo ed il “Bureau d’Etudes
General” diretto dal colonnello Albert Buchalet ed incaricato di sviluppare la bomba francese.
308 342 voti a favore della mozione del governo, contrari 183. In G. Skogmar, The US and the Nuclear
Dimension of European Integration, cit., pag. 194
raccolte in un unico dossier che divenne noto all’interno del Dipartimento di Stato come “New Approach Dossier310”.
Come Skogmar fa notare, questo documento, nella sua parte chiave, ricalcava in maniera importante parte delle conclusioni raggiunte dal Comitato d’Azione per gli Stati Uniti d’Europa guidato da Monnet. Proprio in quei mesi il Comitato, all’indomani del cambio di posizione francese, stava vivendo una crisi politica non di poco conto, con i socialdemocratici tedeschi che ripetutamente avevano minacciato Monnet di non votare più nulla che riguardasse EURATOM311. La
sessione plenaria, che si svolse tra il 19 ed il 20 settembre, vide tutti questi nodi venire al pettine: dal documento finale che le parti siglarono emergeva forte la disillusione per gli ultimi avvenimenti politici, tuttavia si esortavano i Governi a velocizzare la firma dei trattati. Il “Piano Monnet”, dunque, rimaneva vivo, sebbene adattato a nuove circostanze politiche: EURATOM rimaneva obiettivo prioritario, ma si ribadiva l’avversione allo Junktim e il sostegno per un sistema di fornitura dei combustibili fissili sovranazionale basato sul possesso e sul monopolio delle forniture312. Era dunque auspicabile uno sforzo congiunto tra USA ed Europa per
sviluppare la tecnologia nucleare: esso sarebbe stato il punto di partenza dell’azione del “Comitato dei Tre Saggi” che sarebbe partita all’inizio del 1957 e che avrebbe avuto come obiettivo lo sviluppo di un grande piano congiunto tra Stati Uniti ed Europa313.
Il Dipartimento di Stato guardava alle azioni di Monnet con cauto ottimismo, pur rimanendo solo sullo sfondo. Gli USA continuarono a seguire il principio di priorità: per favorire l’integrazione dei Sei era necessario sostenere prima gli sforzi di integrazione sovranazionale, poi, qualora questo obiettivo non fosse stato raggiunto, promuovere l’integrazione intergovernativa entro la cornice dell’OECE. Tuttavia ai Sei doveva arrivare, tramite le rispettive ambasciate, un affievolimento
310 Ibidem, pag. 195-‐196.
311 Particolarmente virulento nella sua invettiva fu il socialdemocratico tedesco Herbert Wehner,
che mise in discussione gli stessi valori fondanti il Comitato d’Azione alla luce del comportamento di Guy Mollet, considerato da molti membri tedeschi del Comitato d’Azione vicino a Monnet, In A. Wilkens, Jean Monnet et Konrad Adenauer, cit., pag.194.
312 JMAS-‐15, “Action Committee for United States of Europe”, Documents from 20 January 1956 to
01 February 1956, Archivi Storici delle Comunità Europee, Firenze.
313 Per una trattazione più esaustiva delle finalità e degli obiettivi raggiunti del Comitato dei Tre
del sostegno americano dovuto agli eccessivi ritardi ed alle ritrosie mostrate dagli europei314.