Capitolo II: La formazione di EURATOM ed il piano di sviluppo dei reattori di potenza
1 Come integrare? Definire gli obiettivi del I Piano Quinquennale
1.3 Demistificare il Rapporto: la visita negli USA degli industriali europei
Non ci volle molto a capire come l’entusiasmo dei Tre Saggi per una joint-‐
venture atlantica fosse eccessivamente ottimistico442 e quanto, in una certa misura,
strumentale a condizionare i decision-‐maker europei, molti dei quali avevano una conoscenza tecnologica del nucleare estremamente limitata. All’esame di molti dei maggiori gruppi industriali europei il Rapporto dei Tre Saggi apparve più come un esercizio di propaganda che non come l’enunciazione di realistici scenari raggiungibili in un quinquennio. Come John Krige fa notare nel suo “The peaceful atom as a political weapon”:
It was simply not true that the technology of nuclear power had moved, as Armand put it, out
of the scientist’s laboratory onto the engineer’s drawing board and that it was ripe for commercial
exploitation443.
Ciò era apparso chiaro già nella visita dei Tre Saggi a Washington, dalla quale emerse subito come nessun uomo d’affari statunitense avesse un’idea precisa di quali potessero essere i costi di gestione e manutenzione di una centrale nucleare commerciale di grandi dimensioni. Nessuno, se non pochissimi addetti ai lavori e con grandissime difficoltà, avrebbe potuto stimare con certezza i costi economici di un intero ciclo. Censire quante risorse sarebbero state necessarie per coprire le spese di costruzione di una centrale, determinare il burn-‐out degli elementi di combustibile nel reattore o definire il costo del riprocessamento sarebbe stato uno sforzo titanico e molto poco utile, vista anche la rapidità con cui la tecnologia si stava evolvendo. Differentemente dalla Gran Bretagna, in cui tutto il ciclo nucleare era controllato dall’UKAEA e dal Governo, negli Stati Uniti, come il dirigente di una grande azienda americana fece notare saggiamente alla delegazione europea, i costi erano determinati dalla somma di molteplici fattori, ognuno dei quali era riconducibile ad una diversa entità, pubblica o privata, che ne stabiliva il prezzo:
442 B. Curli, Il progetto nucleare italiano, cit., pag. 61-‐63;
443 J. Krige, “The peaceful atom as a political weapon”, cit.. pag. 31.
“the conversion of UF6 to metal might be handled by one party, the fabrication of the fuel elements
by another, the reprocessing of scrap by a third, and the reprocessing of spent fuel elements,
recovery of uranium and plutonium and reconversion to UF6 by the Atomic Energy Commission.
[..] So at the present time it is almost impossible for a reactor manufacturer to estimate accurately
costs involved in the complete fuel cycle444.
A ciò bisognava aggiungere che sebbene gli americani avessero “provato” tecnicamente la funzionalità di questi reattori, centrali di più grandi dimensioni come quelle che gli Europei avevano in mente dovevano essere studiate in modo più approfondito a livello teorico e successivamente testate, cosa che gli statunitensi stavano iniziando a fare proprio in quegli anni. Alla luce di questo ritardo di sviluppo, molteplici furono i richiami ad una “maggior cautela” che giunsero ai Tre Saggi: piuttosto che investire tutto in un’unica filiera, sarebbe stato più opportuno diversificare il rischio, testando in modo congiunto la filiera ad acqua leggera americana e quella gas-‐grafite inglese senza chiudere il campo a nuovi design di reattori che sarebbero potuti giungere dai tecnici europei445.
Le rimanenti illusioni si infransero in modo definitivo dopo la visita che portò negli Stati Uniti nel luglio 1957 un nutrito gruppo di industriali e tecnici nucleari europei: su invito dell’Atomic Energy Commission una delegazione composta da 52 membri e guidata da Jules Guéron e dall’allora Dirigente per le questioni energetiche del Ministero dei Lavori Pubblici di Parigi Louis Saulgeot visitò alcuni dei complessi strategici americani446, ripercorrendo cinque mesi dopo, un percorso
simile a quello che la delegazione dei Tre Saggi aveva già compiuto. Tuttavia, a scapito del grande sforzo che l’AEC statunitense fece per mettere in campo tutte le sue tecnologie più avanzate, la visita lasciò molto perplessi i tecnici europei, che si
444 Ibidem, pag. 32.
445 Ivi. Per un approfondimento della questione si rimanda a Heinz Kramer, Nuklearpolitik in
Westeuropa und die Forschungspolitik der EURATOM”, (Köln: Carl Heymanns Verlag, 1976), pp. 31-‐
75 e Micheal T. Hatch, Politics and Nuclear Power: Energy Policy in Western Europe, (Lexington: University Press of Kentucky, 1986).
446 Della delegazione, oltre a Louis Saulgeot, facevano parte: due membri del CEA francese, 2 tecnici
di EDF, il segretario personale di Saulgeot in qualità di Segretario della Commission de l’energie du
Plan del CEA, alcuni tecnici belgi, dei professori universitari e dei tecnici tedeschi provenienti sia
dal Karlsruhevorstand che dal Rheinisch-‐Westfälisches Elektrizitätswerk Aktiengesellschaft, ed alcuni tecnici italiani non specificati. In: “Interview with Jules Gueron on EURATOM during the R. Griffiths
Seminar, 17/18/19 Ottobre 1998, Oral History Collection, Tape 4, Side A, “The three wise men. The US-‐ EURATOM agreement” as transcribed by Maurice Gueron, Maggio 2009. Istituto Universitario
aspettavano dagli statunitensi uno stadio più avanzato di sviluppo. Ai loro occhi si materializzò invece un programma commerciale largamente in ritardo, anche rispetto ai progressi che negli ultimi anni era stato fatto dai tecnici inglesi: alquanto paradossalmente i due reattori verso cui i tecnici europei nutrivano più curiosità, ovvero quelli di Argonne ed il Materials Testing Reactor, non erano in funzione per manutenzione. I due reattori della centrale di Shippingport ed un BWR non specificato del quale erano state decantate le ottime proprietà in termini di resa ed economicità, invece, non erano ancora attivi perché c’erano stati ritardi nella commessa447. L’impressione generale che la visita suscitò nei delegati del
vecchio continente era che negli Stati Uniti si fosse investito moltissimo, ma che un piano commerciale per reattori tanto complessi non fosse ancora sufficientemente maturo per l’esportazione in Europa. Ne abbiamo prova da un’inequivocabile dichiarazione che uno dei delegati belgi rilasciò al quotidiano “Le Soir”. Nell’intervista il tecnico sottolineava come gli Stati Uniti avessero investito ingenti risorse nel programma e che potessero vantare un’invidiabile sinergia tra pubblico e privato; quanto invece al loro programma commerciale, esso rimaneva:
“in an early stage of developement [..] Everything that was being done in the US on an
industrial scale could still be considered as experimentation448”.
Nel Dipartimento di Stato, la frustrazione per un simile quanto inaspettato corso degli eventi, era tangibile: l’assistente speciale del Segretario di Stato per le questioni nucleari Robert Schaetzel ebbe modo, in più di un’occasione, di lamentarsi di quanto stesse accadendo. Schaetzel, infatti, criticò aspramente la miopia e la franchezza degli uomini d’affari statunitensi, incapaci di concepire strategie al di fuori dei confini americani: questi ultimi, secondo Schaetzel, non erano stati in grado di cogliere l’intento dei Tre Saggi, che erano pronti a sviluppare l’energia atomica qualunque fosse stato il suo costo, ed alle domande circostanziate dei tecnici europei avevano risposto disincentivandoli piuttosto che incoraggiandoli a investire in tecnologia americana. Allo stesso modo Schaetzel era
447 J. Krige, “The peaceful atom as a political weapon”, cit., pag. 32.
critico anche nei confronti della delegazione europea: essa, ai suoi occhi, appariva come un coacervo di individui dalle più disparate competenze, riottosi e polemici, che mai avrebbero potuto amalgamarsi entro un unico ente comune. All’interno di questa compagine, secondo Schaetzel, i francesi erano quelli con maggiori cognizioni tecniche, i tedeschi sembravano quelli più curiosi mentre gli italiani quelli con meno competenze449. Tutti i gruppi, tuttavia, erano accomunati da
un’unica tendenza: quella a non mescolarsi e a dividersi per nazionalità, soprattutto durante le visite e le occasioni ufficiali. Lo apprendiamo da un salace scambio tra Jules Guéron e lo stesso assistente speciale del Segretario di Stato, così come lo scienziato francese racconta in una testimonianza raccolta anni dopo:
“I remember Robert Schaetzel asking me – How is it going? How is it merging? - And I told him – Look at the dinner tables! – People were seated simply next to their nationals by spontaneous arrangement. So, in so far as this attempt was to be a kind of pre-figuration of something, it came to nothing, except to the mutual acquaintance of a number of people, from both European organizations, or organizations based in Europe, and a number of US Officials involved
in the preliminary and in the future negotiations450”.
Schaetzel da acuto interprete quale era della politica estera, era conscio che l’esito di questa visita avrebbe privato il Dipartimento di Stato dell’arma negoziale che sino a quel momento era sempre stata utilizzata nelle negoziazioni con gli europei: la cessione di tecnologia nucleare. La presunta superiorità nucleare degli americani era ancora reale, ma il gap con gli europei si era ridotto a tal punto, che il suo utilizzo come bargaining chip negoziale non avrebbe avuto più alcun senso. Nelle parole dello stesso Schaetzel:
Our problem is that we are late – I would guess by about two years and that bargaining power
does not have the effectiveness it once had – or the force that some Americans think it contains451.
449 Ivi.
450 Interview with Jules Gueron on EURATOM during the R. Griffiths Seminar, 17/18/19 Ottobre 1998,
Oral History Collection, Tape 4, Side A, “The three wise men. The US-‐EURATOM agreement” as transcribed by Maurice Gueron, Maggio 2009, Archivi storici delle Comunità Europee, Firenze.
Già pochi mesi dopo la sua redazione, dunque, il Rapporto dei Tre Saggi appariva in tutti i suoi limiti: esso affiancava alle note cupe di una situazione energetica molto più grave di quanto non fosse in realtà, delle stime troppo rosee e poco dettagliate di una crescita nucleare che probabilmente nemmeno gli USA avrebbero potuto completare nell’arco di un quinquennio. Il suo valore intrinseco, dunque, non era nella verosimiglianza delle previsioni che esso forniva quanto nella sua funzione: esso doveva accelerare il percorso integrativo sensibilizzando i politici europei su quanto fosse urgente porre fine a una situazione di dipendenza energetica progressivamente più pericolosa. Come Warren Walsh fa notare, non va dimenticato che:
Four nuclear experts from the US Atomic Energy Commission served as technical advisers to the group which drafted the final version of A Target for EURATOM. The influence of these
experts was extensive452.
L’influenza di questi tecnici nella stesura del documento fu effettivamente cruciale: essi fornirono tutti i materiali tecnici in base ai quali furono elaborate le proiezioni di consumo, rassicurando costantemente i Tre Saggi del pieno sostegno statunitense nel perseguire e raggiungere gli obiettivi di crescita nucleare contenuti nel piano. Essi si produssero inoltre in uno sforzo previsionale molto poco scientifico sulle performances economiche dei nuovi reattori light water americani ancora in fase di costruzione. Infine, sostenuti fermamente dal governo statunitense, sostennero l’inutilità e l’inefficacia economica di un impianto di arricchimento europeo, enfatizzando il rischio in termini di proliferazione connesso ad un simile impianto e rassicurando i loro interlocutori sull’abbondanza delle forniture americane di uranio arricchito453. Gli europei e nel caso di specie i
redattori del Rapporto, non avendo il know-‐how sufficiente per trattare il tema, dunque, furono costretti a far proprie le argomentazioni americane: non essendo
452 Warren B. Walsh Science and International Public Affairs: six recent experiments in international
scientific cooperation, (Syracuse: Syracuse University Press, Maxwell School International Relation
Program, 1967), pag. 85.
453 Lawrence Scheinman, “Security and a transnational system: the case of nuclear energy” in
Robert O. Keohane and Joseph S. Nye (Eds), Transnational Relations and World Politics, (Cambridge: Harvard University Press, 1972), pag. 292. Vedi anche: Lawrence Scheinman, “Atomic Energy Policy
formalmente ancora nata, EURATOM non aveva uno staff con competenze nel campo o dati indipendenti con cui controbattere le stime americane454. A parziale
conferma di quanto statuito sta la risposta che Jules Guéron diede in una Conferenza sull’EURATOM tenutasi presso l’Università Europea di Firenze nel 1988: ad un partecipante che gli chiedeva se ci fossero state pressioni americane nella redazione del Rapporto dei Tre Saggi, l’illustre chimico francese rispose in modo inequivocabile:
“I am not sure if there was an American pressure. But I am certain there was an enormous
American influence. I could name some of the drafters if you want455”.