2 Perché integrare? Le ragioni dei Sei
2.2 Il protagonismo francese
Anche per la Francia guidata da Edgar Faure la cooperazione in campo nucleare era un imperativo categorico. Ciò per tre tipi di ragioni. Innanzitutto perché gli Accordi di Parigi non rappresentavano una cornice normativa sufficiente a controllare il percorso di sviluppo della Germania nel campo del nucleare: il sistema di controllo, infatti, garantiva un monitoraggio pervasivo solo limitatamente alla produzione di materiali fissili destinati a finalità militari, non controllando i combustibili destinati all’uso civile e non potendo far nulla per prevenire il rischio-‐diversione. Il secondo problema era invece di natura tecnologica: la scelta della filiera a plutonio, piuttosto che quella ad uranio arricchito, rendeva immediatamente necessaria l’edificazione di un costoso e
108 Beyen sosteneva che l’integrazione settoriale comportasse notevoli inconvenienti in quanto
tendeva a risolvere i problemi in un settore mediante misure produttrici di effetti negativi in altri. Al contrario l’integrazione economica generale, oltre ad evitare queste disfunzioni, avrebbe avuto il merito di rafforzare il sentimento di solidarietà europea. In Christian Pineau e Christiane Rimbau,
Le grand pari, l’aventure du traité de Rome, (Paris Fayard, 1991), pag.158; Jean Marie Palayret, “Les
décideurs français et allemands face aux questions institutionnelles dans la négociation des traités de Rome”, in Marie-‐Thérèse Bitsch (Ed.), Le couple France–Allemagne et les institutions européennes, (Brussels: Bruylant, 2001), pp. 105–150.
109 La letteratura su questi temi è molto ampia : Pierre Gerbet, ‘La relance européenne jusqu’à la
conférence de Messine’, in Enrico Serra (Ed.), La relance européenne et les traités de Rome, (Brussels, Bruylant/Giuffrè/LGDJ/Nomos Verlag, 1989), pp. 61–91; Alan Milward, ‘The Origins of
the Treaty of Rome’, in B. Hetterre (Ed.), Development Options in Europe, (Gothenburg: Freit, 1988);
Hans Jürgen Küsters, ‘The Treaties of Rome (1955–1957)’, in Roy Pryce (Ed.), The Dynamics of
European Union, (London: Methuen, 1987), pp. 78–104; Gerard Bossuat, ‘Messine, une méthode
pour l’unité de l’Europe? Ou comment le gouvernement français a été convaincu d’avancer vers l’unité’, in Luigi V. Majocchi (Ed.), Messina quarant’anni dopo, l’attualità del metodo in vista della
Conferenza intergovernativa del 1996, (Bari: Cacucci Editore,1996), pp. 107–142; Gerard Bossuat,
‘Réflexions pour notre temps sur la conférence de Messine (juin 1955–1996)’, in Élisabeth du Réau (Ed.), Europe des élites? Europe des peuples? La construction de l’espace européen (1945–1960), (Paris: Presses de la Sorbonne nouvelle, 1998), pp. 249–258; Antonio Varsori, ‘Italy and the Messina Conference’, in L. V. Majocchi (Ed.), Messina quarant’anni dopo, cit., pp. 91–106.
tecnologicamente avanzato impianto di riprocessamento e lavorazione del plutonio 110 . Il terzo problema era invece legato alla sicurezza degli
approvvigionamenti: molte delle miniere di uranio erano situate nelle colonie e la stragrande maggioranza di esse era in territorio africano. Diveniva dunque di cardinale importanza riuscire a mantenere un controllo pressoché totale sui territori d’oltremare chiudendo nei tempi più rapidi possibili il fronte algerino. Alla posizione di Faure tuttavia, faceva da contraltare un atteggiamento ostile del CEA, molto poco incline alla collaborazione con il governo. Questo atteggiamento era prevalentemente dettato da paure militari, in larga parte condivise da scienziati e tecnici. C’era infatti il timore che una solida collaborazione franco-‐tedesca, con o senza la creazione di una Comunità per l’Energia Atomica, avrebbe potuto compromettere lo sforzo militare francese permettendo alla Germania l’edificazione di una forte industria nucleare in tempi più rapidi di quelli ipotizzati111. Tuttavia vi era anche la consapevolezza che da sola la Francia non
sarebbe riuscita a reperire tutto l’uranio arricchito di cui i suoi programmi (militare e civile) necessitavano, visto lo stringente controllo americano. Faure mise in gioco tutto il suo prestigio politico per far comprendere al CEA ed ai generali che se si fosse voluti arrivare allo sviluppo di una capacità energetica propria e di una rinnovata potenza militare e politica, ci sarebbe stato bisogno almeno di una cooperazione bilaterale con altri stati europei. Essa avrebbe semplificato la rimozione degli ostacoli che si frapponevano allo sviluppo del programma nucleare francese, rendendo possibile la sua completa realizzazione. All’inizio del 1955, grazie alle estenuanti pressioni esercitate da Faure, il CEA cambiò posizione approvando l’idea di una Comunità per l’Energia Nucleare. Il rinnovato entusiasmo era frutto di una valutazione realistica del CEA su quali fossero mezzi più adeguati da utilizzare per consolidare il vantaggio strategico sui tedeschi: quattro ragioni venivano addotte dai tecnici per giustificare questa revisione di prospettiva. In primo luogo EURATOM sarebbe stata una preziosa
110 Un impianto che dapprima gli USA, poi il Regno Unito, si rifiutarono di fornire, pena perdere il
loro vantaggio tecnologico acquisito sui francesi. Fonte: Bertrand Goldschmit, Les rivalités
atomiques 1939-‐1966, (Parigi: Fayard, 1967), pp.225-‐227.
111 Pierre Guillen, "La France et la négociation du traité d’Euratom” in M. Dumoulin, P. Guillen e
cornice entro cui monitorare costantemente il livello di sviluppo dei pericolosi vicini, controllando le attività di ricerca che questi promuovevano 112 .
Secondariamente. EURATOM avrebbe consentito al CEA di neutralizzare le forze che spingevano verso una cooperazione bilaterale tra USA e Germania, alleanza che avrebbe minacciato direttamente la superiorità atomica continentale francese. Bonn non doveva avere motivi di perseguire politiche di respiro internazionale sviluppando cooperazioni con stati extra-‐europei: questo privilegio doveva rimanere saldamente in mano francese. In terzo luogo, EURATOM avrebbe fornito risorse economiche, tecniche ed industriali di cui la Francia in ragione del suo vantaggio tecnologico avrebbe beneficiato più di tutti. Inoltre condividendo lo sforzo con la Germania avrebbe avuto accesso ai suoi capitali e alle sue risorse. Infine, qualora il Belgio avesse aderito, l’uranio congolese sarebbe stato condiviso con gli alleati europei e si sarebbe ridotta la dotazione che il Belgio forniva agli USA in virtù del loro accordo di fornitura risalente al 1946 di cui Spaak stava rinegoziando i termini113.
A questi motivi di cambiamento della posizione del CEA si aggiunsero alcune considerazioni di carattere strategico-‐militare, provenienti dal settore della Difesa: alla fine di marzo del 1955, il Comitato di Difesa Nazionale, l’organo destinato alla pianificazione delle politiche strategiche, tenne due riunioni entro cui si chiarirono le linee guida della politica nucleare francese114. Nella prima riunione, tenutasi il
21 marzo 1955, il Comitato di Difesa Nazionale scartò l’opzione di una “forza nucleare europea” e approvò il Piano Palewski-‐Koenig 115 che prevedeva
l’edificazione di una forza militare puramente francese. Poiché, come tutti gli studi confermavano, il piano militare sarebbe stato eccessivamente oneroso ed avrebbe sottratto ingenti risorse al programma civile, bisognava trovare un giusto compromesso che bilanciasse questi due obiettivi. Si invitava perciò il Ministero degli Esteri ad attivarsi per rilanciare “il progetto di un’organizzazione che
112 Note du Département fin de avril-‐début mai, 1955 in Documents Diplomatiques Français 1955,
Tomo I, n.239, pp.546-‐549.
113 Ivi.
114Dominique Mongin, La bombe atomique française 1945-‐1958, (Parigi e Bruxelles: LGDJ Bruylant,
1997), pag.225.
permettesse la messa in comune dell’energia atomica116”. Durante la seconda
riunione, tenutasi invece giorni dopo, il Comitato accanto al via libera alla costruzione di due sottomarini nucleari ed alla momentanea interruzione di alcuni studi sull’atomica, decise di dare il via ufficialmente ad un “piano europeo di collaborazione nucleare” in campo civile. Di esso sarebbe stato incaricato il Ministro degli Esteri Pinay, che avrebbe avuto il compito di stabilire i contatti con i partner, sondando il terreno in merito ad un’organizzazione europea per l’energia atomica coadiuvato dal Ministro per gli Affari Nucleari117. Chiaramente il primo
paese che avrebbe dovuto esser avvicinato era la Germania di Adenauer, la quale avrebbe dovuto fornire adesione al progetto grazie a contributi tecnico scientifici e revisioni politiche del piano. L’intento francese era chiaro: usare il binario dell’integrazione nucleare per mantenere ed incrementare la superiorità tecnologica che la Francia aveva maturato sulla Germania, prevenendo un avvicinamento tedesco agli USA.
L’incontro tra le due delegazioni avvenne tra il 29 ed il 30 aprile al Quay d’Orsay: base della negoziazione fu il cosiddetto “Piano Pinay”. Esso prospettava una sorta di confederazione guidata da una conferenza diplomatica permanente aperta anche agli altri membri dell’OECE. La cooperazione sarebbe dovuta nascere entro un contesto più ampio di quello dei Sei e non essere a base sovranazionale, ma meramente politica. Adenauer, pur aspettandosi misure più concrete per favorire l’integrazione, accettò di far partire la negoziazione sull’energia atomica118. Essa
procedette parallelamente sia a livello politico che a livello diplomatico. I Francesi, tra le tante proposte, inclusero un piano di cooperazione volto ad unire le forze nello sviluppo di un impianto per l’arricchimento dell’uranio119. Era chiaro come la
presidenza di Edgar Faure stesse cercando delle soluzioni possibili per rilanciare la costruzione europea: bisognava scegliere tra uno sviluppo puramente nazionale dell’energia atomica a fini civili e militari o la costituzione di un’Europa atomica. In questo secondo caso l’inevitabile controllo esercitato dagli Stati Uniti avrebbe
116 P. Guillen, La France et la négociation du traité d’Euratom, cit., pag.113.
117 AA.VV, L’aventure de la Bombe. De Gaulle et la dissuasion nucléaire (Parigi, Plon Ed. 1985), pp.
61-‐62 e 82-‐83.
118 G. Skogmar, The US and the nuclear dimension of European Integration, cit., pp. 118-‐119.
impedito alla Germania un’utilizzazione indipendente ed autonoma dell’atomo, ma avrebbe a sua volta limitato anche la libertà francese. Sulla base di simili valutazioni era possibile immaginare un’altra soluzione: favorire la creazione di un’Europa dell’atomo che fosse funzionale agli interessi ed agli sforzi francesi già compiuti nel settore120. In chiusura dell’incontro non si pervenne a nessun tipo di
accordo: fu semplicemente emesso un comunicato stampa in cui i due paesi concordavano nel definire l’energia atomica un settore prioritario da perseguire entro gli sforzi europei. La cooperazione che essi si impegnavano a porre in essere sarebbe stata di tipo intergovernativo e non limitata ai Sei: ogni paese sarebbe stato libero di perseguire le proprie politiche nazionali, garantendo libero accesso ai propri materiali ed alle proprie risorse. Un richiamo finale, invece, riguardava la creazione di un centro comune per l’arricchimento del combustibile fissile, al quale si sarebbe impegnato a partecipare anche il Belgio121. Prima dei saluti rituali,
inoltre, le due delegazioni si diedero appuntamento alla Conferenza di Messina occasione entro la quale il Ministro degli Esteri Pinay avrebbe dovuto proporre ai partners le prospettive francesi sul cammino integrativo.
Le ultime settimane del maggio 1955, videro presso il Quay d’Orsay un’attività febbrile, intenta a strutturare una posizione negoziale solida, che tenendo conto delle proposte degli Stati del Benelux e della lettera di Spaak, delineasse una strategia di crescita nucleare dei Sei tale da non danneggiare la superiorità nucleare continentale acquisita da Parigi. I temi in ballo erano numerosi: quanto alle forme della cooperazione, Pinay ed il suo staff nutrivano dubbi consistenti sulla realizzabilità pratica di un’Autorità Comune così come prospettata dai Rappresentanti del Benelux122. Il pericolo maggiore era che essa avrebbe potuto
portare ad un controllo sopranazionale dell’energia atomica attraverso la
120 Gerard Bossuat, L’Europe des Français, 1943-‐1959. La IV Republique aux sources de l’Europe
communautaire, (Parigi, Publications de la Sorbonne, 1966), pp. 264-‐265.
121 Communiqué 30 April 1955, Bonn, in DDF 1955 Annexes no. I, Tomo I, pag. 45-‐46.
122 Ghislain Sayer, “Le Quai d’Orsay et la construction de la Petite Europe (1955–1957)”, in Relations
internationales, No 1, (2000), pp. 89–105; Laurent Warlouzet, ”Le Quai d’Orsay face au traité de
Rome”, in Laurance Badel, Stanislas Jeannesson and Piers Ludlow (Ed.), Les administrations
nationales et la construction européenne. Une approche historique (1919–1975), (Brussels: PIE–Peter
creazione di un’autorità monocratica in carico di gestire fondi, tecnologie, scambi di informazioni tra membri e capace di interferire con il programma militare francese. Pinay propose modalità di cooperazione più blande ispirandosi al CERN di Ginevra: Francia, Germania e Belgio avrebbero potuto effettuare investimenti comuni per realizzare un centro di separazione isotopica, obiettivo primario della politica francese.
La formula prediletta dalla delegazione francese sarebbe stata invece la creazione di un’Agenzia Atomica Europea destinata a diventare succursale dell’Agenzia Atomica Mondiale menzionata da Eisenhower nel 1953 alle Nazioni Unite e fortemente sostenuta dagli USA123. Agenzia che non avrebbe avuto il
monopolio su materiali nucleari ma che avrebbe potuto agire come banca dei materiali fissili e come forum di discussione e negoziato. Per quanto riguardava invece i mezzi della cooperazione, Pinay manifestò una netta predilezione per accordi internazionali classici piuttosto che soluzioni sopranazionali. Alla Francia non piacevano istituzioni che avrebbero finito per svuotare le prerogative nazionali. La politica comune europea poteva esser perseguita grazie ad un Consiglio dei Ministri dei Sei che avrebbe definito obiettivi e politiche comuni, stabilendo anche l’impiego delle risorse con un sistema di voto a maggioranza ponderata124. La distinzione tra competenze statali e comunitarie doveva essere
chiara: queste ultime avrebbero dovuto svolgersi solo come conseguenza necessaria delle decisioni del Consiglio dei Ministri125. Alla vigilia di Messina
appariva chiaro che i francesi volessero un rilancio dell’integrazione. I mezzi e le forme del progetto, tuttavia, non erano molto definiti ed avevano aperto un fronte polemico tra il Ministro degli Esteri Pinay, fiducioso in un esito positivo del negoziato e il Presidente del Consiglio Faure, preoccupato invece per la tenuta della propria maggioranza126.
123 Note du Département fin de avril-‐début mai, 1955 in DDF 1955, Tomo 1, n.239, pp.546-‐549.
124 La ponderazione sarebbe dipesa da livello di sviluppo tecnologico del programma nucleare del
paese. Note du Département fin de avril-‐début mai, 1955 in DDF 1955, Tomo 1, n.239, pp.546-‐549.
125 Note de la direction des Affaires Économiques et Financières. Extension de la politique
européenne, Paris, 18 mai 1955 in DDF 1955, Tomo 1, no. 288, pp.665-‐668.
126 Pierre Guillen,“La France et la négociation du traité d’Euratom” cit.; Gille Cophornic, ‘Les
formations politiques françaises et la création de la Communauté économique européenne’, in E.du Réau (Ed.), cit., pp. 259–275 ; Bruno Riondel, ‘Itinéraire d’un fédéraliste: Maurice Faure’, in Revue