3 Come integrare? La prima fase negoziale: da Messina a Bruxelles
3.3 L’opposizione inglese: l’OECE e la missione di Spaak a Londra
L’OECE come arena alternativa ad EURATOM
Dopo il riuscito test nucleare del 1952, il Regno Unito era l’unico paese europeo dotato di un’arma atomica. Esso, inoltre, beneficiava degli scambi tecnologici previsti dal Mac Mahon Act (nella sua versione emendata nel 1954), in base al quale condivideva con gli statunitensi alcune informazioni scientifiche classificate. I tentativi dei Sei di rilanciare la costruzione europea a partire dal settore nucleare, avevano destato perciò nei britannici notevoli timori185. Da un punto di vista
meramente commerciale, il progetto di integrazione nucleare europeo suscitava grande interesse per la Gran Bretagna, paese che godeva di un netto vantaggio di sviluppo rispetto ai Sei. La Comunità, infatti, avrebbe potuto rappresentare un mercato molto redditizio per i reattori del Regno Unito e la tariffa esterna comune avrebbe potuto assicurarne la competitività rispetto ai concorrenti non continentali. Da un punto di vista strategico, invece, l’adesione a EURATOM avrebbe progressivamente eroso la superiorità tecnologica britannica, obbligando
182 G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pag.129.
183 Sulla Conferenza di Ginevra del 1955 è presente un dettagliato ed interessante resoconto nel
testo di Felice Ippolito, L’Italia e l'energia nucleare: cronache di cinque anni, (Venezia: Ed. Neri Pozza, 1960); M. Silvestri, Il costo della menzogna, cit., pag. 87-‐100; G. Paoloni, Il nucleare in Italia, cit., pp. 53-‐59, M. Elli, Politica estera e ingegneria nucleare, cit., pag, 12.
184 G. Skogmar, The US and the Nuclear Dimension of European Integration, cit., pag.130.
l’UKAEA a una delega di sovranità contraria agli obiettivi fondamentali della politica nucleare del paese186. Qualora, infatti, la Gran Bretagna fosse entrata in
EURATOM essa avrebbe dovuto mettere a disposizione della Comunità l’uranio del Canada e le proprie conoscenze tecnologiche, contribuendo allo sviluppo atomico degli altri membri e rinunciando così al suo status di unica potenza nucleare europea187. A metà del novembre del 1955, dopo il ritiro di Russell Bretherton
dalle negoziazioni, una chiarificazione della posizione britannica in merito ai propositi di integrazione era divenuta assolutamente improcrastinabile: essa sarebbe stata vitale per sia per gli interessi strategici che per gli interessi economici dell’industria. Come racconta Gunnar Skogmar, la questione fu oggetto di una discussione molto accesa presso l’Official Committee on Atomic Energy, il comitato tecnico-‐politico cui il Gabinetto del Primo Ministro si serviva come ultimo consulto nelle decisioni in materia di energia atomica188.
Le conclusioni di questo organo furono molto chiare: l’EURATOM aveva buone prospettive di successo, vista la funzione di controllo che essa avrebbe esercitato sull’approvvigionamento di materiali fissili in Germania. Il Regno Unito, tuttavia, non avrebbe dovuto parteciparvi per una ragione di mera priorità: andavano privilegiate le relazioni diplomatiche bilaterali con i singoli governi e successivamente dato il giusto peso alle decisioni prese dell’OECE. La collaborazione con i Sei sarebbe potuta venire solo in un terzo momento e non avrebbe dovuto togliere tempo e risorse alle prime due direttrici. Il rischio concreto, come il Comitato ebbe modo di rimarcare, era quello di “spogliare” l’OECE di tutto il suo significato: accettare EURATOM avrebbe dato l’impressione che la Gran Bretagna fosse pronta a metter da parte l’approccio intergovernativo per sostituirlo con un “incauto” approccio sovranazionale. Più corretto sarebbe stato, invece, rilanciare con maggior forza l’azione all’interno dell’OECE, facendo si che quest’ultima divenisse un’arena parallela maggiormente inclusiva e più efficace di quanto non lo fosse quella negoziata dai Sei sul continente.
186 John W. Young, Britain and European Unity, 1945-‐1992, (London: The Macmillan Press LTD,
1993), pp. 46-‐47.
Le posizioni dei tecnici furono, non più tardi del giorno successivo, confermate dalle decisioni del Governo: il Regno Unito sarebbe rimasto fuori dall’EURATOM e contemporaneamente avrebbe fatto partire una convinta azione per giungere, nel più breve tempo possibile, a un’agenzia interna all’OECE che si fosse occupata esclusivamente di questioni nucleari. A tal riguardo bisogna ricordare come già il il 24 maggio 1955 proprio Louis Armand avesse sottoposto al Consiglio dei Ministri dell’OECE un rapporto relativo ai bisogni energetici dell’Europa, rapporto in cui Armand concludeva sottolineando la necessità di creare una Commissione per l’Energia Atomica in ambito OECE. In risposta ad esso, due settimane dopo, il Consiglio aveva avviato la creazione di quest’organismo, incaricando un gruppo di tecnici di esaminare le forme più opportune di una cooperazione economica e finanziaria tra i membri dell’OECE189. Sulla spinta delle forti pressioni britanniche,
gli esperti, bruciando i tempi, depositarono il loro rapporto il 10 dicembre e il 29 febbraio 1956 il Consiglio decise la creazione di un “Comitato Speciale per le
Questioni Atomiche190” .
Tra la fine del 1955 e l’inizio del 1956 esistevano dunque due distinti piani di sviluppo nucleare europeo: il Comitato Speciale per le Questioni Atomiche, progetto di cooperazione intergovernativa tra stati sovrani nell’ambito dell’OECE e i lavori del Comitato di Bruxelles, primo nucleo di un’organizzazione atomica europea a carattere sovranazionale. Piani che, se non fossero stati adeguatamente coordinati, inevitabilmente avrebbero rischiato di far nascere un pericoloso dualismo.
Il viaggio di Spaak a Londra
Dieci giorni dopo l’abbandono di Bretherton dei lavori del Comitato a Bruxelles, il 18 novembre del 1955, Paul Henri Spaak si recò a Londra per chieder ragione al
Foreign Office, della brusca dipartita del suo osservatore 191. Aver richiamato in
patria Bretherton era parso agli alleati continentali un atto ostile alla prospettiva
189 Gail H. Marcus, “The OECD Nuclear Energy Agency at 50” in Nuclear News, no. 27, (2008)
disponibile al link: www.ans.org/pubs/magazines/download/a_550 [visitato il 23 aprile 2015] e A. Albonetti, Euratom e sviluppo nucleare, cit., pp. 66-‐70.
190 Base di quella che, a partire dal sarebbe diventata l’European Nuclear Energy Agency o ENEA.
politica dell’integrazione. A Spaak fu risposto che obiettivo principale della politica estera di Londra era rilanciare le negoziazioni sull’atomic pool all’interno della cornice intergovernativa provvista dall’OECE. A partire da quel momento, infatti, il Regno Unito, non avrebbe potuto più nascondere i grandi interessi industriali nel settore atomico: esportare la sua tecnologia sul mercato europeo avrebbe garantito decenni di vantaggiosi contratti di fornitura. Bisognava dunque agevolare, attraverso l’OECE, l’accesso di tecnologie britanniche sul continente prevenendo l’attivismo commerciale delle industrie francesi: ciò andava fatto senza perder d’occhio i progressi tedeschi e cercando di evitare la formazione di un asse tra questi ultimi ed i francesi.
Spaak obiettò a queste motivazioni, ricordando come l’OECE non avrebbe potuto esser, in nessun modo sufficiente a garantire un controllo sui combustibili fissili e sulle attività nucleari in Germania, mentre EURATOM, grazie alla pianificata Agenzia degli Approvvigionamenti192 avrebbe potuto assolvere questa
funzione in maniera efficace. Il Foreign Office tuttavia, non concordava con questa visione: a Spaak venne riferito che ufficialmente il Regno Unito sarebbe rimasto fuori dall’EURATOM per due ragioni. In primo luogo poiché c’era un forte scetticismo in merito alle prospettive integrative: EURATOM, così come stava emergendo dai lavori del Comitato di Bruxelles sicuramente avrebbe avuto una spiccata connotazione sovranazionale, tale da minacciare, secondo i britannici, l’efficienza e l’operatività dell’organo. In secondo luogo perché la natura mista civile-‐militare del piano di crescita nucleare inglese, mal si prestava ad un’integrazione con i comparti nucleari prettamente civili dei partner continentali193.
Come ha scritto Pascaline Winand, dietro il diniego alla collaborazione britannica con EURATOM si celavano svariati timori sia di carattere economico sia di carattere politico. Per quanto riguarda i primi, vi era la consapevolezza che la Gran Bretagna avrebbe dovuto competere con i Sei nel settore nucleare. Infatti, se nel breve periodo la sua superiorità non poteva esser sindacata, era molto
192 A. Albonetti, Euratom e sviluppo nucleare, cit., pp. 143-‐148.
193 Note du Secrétariat Général, La negociation d’EURATOM, Paris, 21 décembre 1956, in DDF 1956,
probabile che la cooperazione europea e la tariffa esterna comune avrebbero consentito ai paesi dell’EURATOM di colmare il loro ritardo194 in un periodo
ragionevolmente breve. Il Regno Unito, in pochi anni, si sarebbe trovato a subire gli svantaggi di un’integrazione settoriale che avrebbe ostracizzato i suoi reattori dal mercato europeo, relegando la sua industria in una posizione ancillare. Da un punto di vista politico, invece, Londra temeva che la crescita economica europea avrebbe reso più probabile l’unità politica del vecchio continente, agevolando il cammino verso una politica militare comune che avrebbe consentito ai Sei, anche attraverso EURATOM, di acquisire armamenti atomici195.
La prospettiva di un asse Parigi-‐Bonn diventava dunque possibile e doveva essere assolutamente fermata. Ciò che la Gran Bretagna temeva maggiormente era la creazione di un blocco di potere in Europa che avrebbe rovesciato completamente gli equilibri atlantici, facendo della Comunità l’interlocutore privilegiato degli Stati Uniti con il rischio di un suo isolamento politico ed economico196.