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Cap I.6 Presunti lombardi: la questione della ‘scuola milanese’ in area veneta ed emiliana

II. Anteo Lotell

I rapporti figurativi tra Milano e l’area emiliana non interessarono soltanto la formazione di Abbondio, l’iter Ferrariense (e poi Romanum) di Pompeo e il suo negletto peso

699 Negli esemplari del Cabinet des Médailles di Parigi la differenza tra i due busti è contenuta tra 0,7 e 0,8

mm.

All’interno della produzione di Abbondio questo surmoulage costituisce comuque un episodio isolato: le riprese leoniane di Abbondio, limitate a tipi o iconografie, non discendevano dall’inabilità del trentino a trovare nuove soluzioni, ma piuttosto dalla necessità di richiamare attraverso una formula iconografica una classe ritrattistica riconoscibile. In questo le opere di Abbondio si uniformano ad un procedimento encomiastico che fu proprio di tutta la Lombardia asburgica e di diverse aree limitrofe (come vedremo nel cap. II.4): un altro esempio di questo fenomeno, tratto dal catalogo di Abbondio, è costituito dal medaglione con l’effigie di Massimiliano II (cfr. Toderi e Vannel 2000, I, p. 168, n. 459), che contamina il busto leoniano di Ferrante con la posa conferita ad Antoine Perrenot in un suo splendido medaglione anticheggiante (schedato in Toderi e Vannel 2000, I, p. 51, n. 61).

700 In questa direzione cfr. già Attwood 2003, I, p. 447, per il quale su Antonio agiscono suggestioni lombarde

nell’aggiornamento di Pastorino, attivo in quegli anni a cavallo del Po tra i Gonzaga e gli Este. L’importanza che la plastica della Bassa Padana andava assumendo si ripropone infatti all’attenzione dello storico al principio dell’ottavo decennio, e può essere saggiata a partire dalle vicende di una figura ‘minore’ non molto studiata. Anteo Lotelli (o Lotello), è uno scultore menzionato a più riprese, come “Antheus Mediolanensis”, nel carteggio intercorso tra Guglielmo V di Baviera e il suo agente milanese Prospero Visconti tra il 1573 ed il 1574701. Dapprima l’artista fornì una “scalpturam diversorum colorum cera absolutam”, un ritratto che effigiava il governatore spagnolo don Luis de Zúñiga y Requesens (1572-73): i primi contatti col Duca consentirono inoltre al ceroplasta di candidarsi per la realizzazione di alcuni ritratti di cardinali italiani che Guglielmo faceva ricercare nel capoluogo lombardo702. In un secondo momento però, quando apparve chiaro che i volti dei prelati sarebbero stati raffigurati su tela, Lotelli inviò una seconda cera con l’immagine del nuovo governatore di Milano Antonio de Guzman y Zúñiga, marchese di Ayamonte (1573-80), e venne infine convocato a Monaco per lavorare su commissione di Guglielmo703.

Una trentina di anni fa Ulrich Middeldorf propose di identificare il ceroplasta attivo in Baviera con un artista che si firma “ANTEVS” proprio in una medaglia nella quale Luis de Zúñiga y Requesens, poco prima o poco dopo il proprio insediamento a Milano nel 1572, si presenta come coadiutore della battaglia di Lepanto, che fissa un terminus post quem al 1571704. Le altre opere bronzee di questo scultore (la placca commemorativa per Margherita di Francia, duchessa di Savoia, eseguita a Torino nel 1576 e conservata al Louvre, e la medaglia della medesima, firmata ma non datata)705 hanno così permesso di individuarne l’attività in Piemonte e di ipotizzarne una francese o lorenese sulla base delle sue medaglie firmate più tarde, quelle di Carlo III di Guisa e del conte Jean d’Espinay (1578)706.

Quando però si passa dal piano della biografia a quello del linguaggio formale – anche a non voler rimarcare troppo il fatto che non sappiamo se la formazione di Anteo si fosse compiuta a Milano, dove egli emerse con il suo primo tipo metallico solo all’indomani della partenza di Fontana per Palermo (1569) –, il fatto che Lotelli fosse presentato a Guglielmo V come “Anteo scultore, che fa li ritratti in cera di diversi colori”, è un primo

701 Simonsfeld 1901, p. 311, n. 110 (22 luglio 1573); p. 319, n. 125 (9 dicembre 1573), pp. 324-325, nn. 136-

137 (20 gennaio e 3 febbraio 1574); Su Lotelli ceroplasta cfr. anche Kris 1928 (1), p. 396; Kris 1929, p. 80; Pyke 1973, p. 82; e Middeldorf 1977 (1), pp. 290-294.

Nel 1569 un “Anteo” eseguì gli ornamenti per la cornice di un ritratto dipinto di Giulia Castiglioni, mentre nel 1577 il medesimo ageminò un archibugio per la medesima famiglia mantovana (Coddé 1837, p. 8); Magnaguti 1965, p. 46, propose di identificare questo intarsiatore e ageminatore con il nostro medaglista, ma nel 1977 Ulrich Middeldorf (1977 (1), p. 292) escluse definitivamente questa ipotesi, segnalando che in D’Arco 1857, I, p. 87, e in Bertolotti 1889, p. 173, lo stesso artista mantovano figura come “Antonio Anteo”.

702

Simonsfeld 1901, p. 311, n. 110 (lettera di Prospero Visconti del 22 luglio 1573). Vista la cura con cui Prospero Visconti teneva aggiornato il proprio patrono oltralpino, è probabile che la realizzazione della medaglia del Governatore risalga allo stesso anno o a quelli immediatamente successivi. È pertanto meno probabile la data del 1572 proposta da Toderi e Vannel (2000, I, p. 84, n. 171), i quali ritengono la medaglia una celebrazione dell’insediamento del Commendatore a Milano.

703

Simonsfeld 1901, p. 315, n. 118 (4 novembre 1573). In una lettera del 16 dicembre al Duca, Visconti parla di una “Insubriae proregis imaginem, quam potremis litteris a me expostulabat Excellentia tua, nunc cera versicolore effictam mitto ac largior”, riferendosi probabilmente al governatore in carica, il Marchese di Ayamonte (p. 319, n. 125). D’altro canto, un “altro ritratto del Commendatore maggiore”, cioè di don Luis de Zúñiga y Requesens, era già allegato ad una lettera di Prospero Visconti a Guglielmo V di Baviera del 19 novembre 1573 (Simonsfeld 1901, p. 317, n. 122). Entrambe le cere fornite da Lotelli furono quindi realizzate in due versioni distinte.

704

Toderi e Vannel 2000, I, p. 85, nn. 171-172 (per i quali la medaglia fu forse realizzata assieme ad una perduta medaglia di Giovanni d’Austria, pure da ascriversi a Lotelli).

705 Cfr. risp. Migeon 1904, pp. 333, n. 431, e Toderi e Vannel 2000, I, p. 85, n. 175. 706 Toderi e Vannel 2000, I, pp. 84 e 86, risp. nn. 178 e 177.

indizio del fatto che Lotelli avesse scommesso su una tecnica ancora poco diffusa in Lombardia, ma praticata in Emilia da Pastorino Pastorini e forse ivi appresa anche da Antonio Abbondio707.

A considerare poi senza pregiudizi la prima opera certa di Anteo, la medaglia di Luis de Zúñiga y Requesens, le forme turgide e quasi repoussées del volto e il taglio stretto degli occhi non presentano nulla di milanese, e si apparentano invece al San Petronio nella croce astile di Battista del Gambaro (datata 1547, Bologna, Museo della Basilica di San Petronio), cioè ad una tradizione culturale immediatamente precedente l’innesto nella scultura felsinea di suggestioni legate a Giovambattista della Porta708; si tratta del resto di un filone figurativo che trova ancora espressione, in marmo, nella mezza statua di Alessandro Fava in San Petronio, scolpita poco dopo il 1572 e non troppo distante dalla nostra medaglia in dettagli come la forma degli orecchi o la decorazione della corazza709. Anche il troncamento del busto, radente a pieno rilievo il bordo e sovrapposto alla perlinatura, ricorda soluzioni di Pastorino, e la collocazione della ‘firma’, modellata in grassetto a grandi lettere direttamente sul campo accanto al busto, depone a favore del fatto che Anteo seguisse criteri di impaginazione non lombardi (attestati per esempio nelle medaglie del Bombarda), e mostra quanto egli sentisse la necessità di demarcare quella che dovette essere una delle sue prime opere milanesi di rilievo.

Un secondo indizio della gravitazione giovanile che legò Anteo alla Bassa Padana viene infine dalla medaglia di Scipione Gonzaga dei Marchesi di Gazzolo (1542-93), la quale non solo è databile al 1562 sulla base dell’iscrizione “AN(no) XX”, ma ci pare anche attribuibile a Lotelli sulla base del confronto con il ritratto di Luis de Ávila710.

Solo con il 1573, rientrato Annibale a Milano, notiamo in Lotelli un episodico desiderio di forme alla Fontana, distinguibile per esempio nei panneggi e nelle orbite morbidamente marcate di Guglielmo di Baviera711, la cui medaglia ovale segna l’approdo ad un modellato più adatto alla traduzione metallica, mentre dopo il 1576 emerge con chiarezza un desiderio represso di forme abbondiesche, già notato dal Middeldorf (Carlo III di Lorena)712, forse in ragione di antichi contatti bavaresi con l’opera del trentino, o forse per effetto di nuove esperienze a noi ignote713.

Per come ci è nota, la figura di Anteo è dunque milanese solo di natali o forse di famiglia o di adozione, ma la sua formazione addita altri punti di riferimento diversi dall’opera dei Leoni e di Annibale Fontana; anche quando da ultimo la sua opera, avvicinandosi stilisticamente ai nuovi standard di microritratto fissati a nord delle Alpi da Antonio Abbondio, cercò di attrarre l’attenzione di una committenza internazionale di corte, la sua

707 La citazione è tratta da una lettera di Prospero Visconti del 20 gennaio 1573 (in Simonsfeld 1901, p. 325, n.

136. Sul problema della genesi dei microritratti in cera torneremo infra, cap. I.7.

708

Cfr. da ultimo Tumidei 2002, pp. 60-62.

709 Si veda in proposito Bacchi 2002, che non esclude la possibilità che il monumento Fava possa essere

ricondotto l’attività di Alessandro Menganti (p. 50 e fig. a p. 47).

710 Sulla medaglia, schedata finora come opera anonima, cfr. Armand 1883-87, II, p. 262, n. 6; Toderi e

Vannel 2000, I, p. 150, n. 393 (Mantova); e Attwood 2003, I, p. 364, n. 890 (Toscana). A nostro avviso la lettura corretta della didascalia è “SCIB . GONZAGA . MAR . CAROLI . GAZ . F . / ANNO XX”.

711 Toderi e Vannel 2000, I, p. 85, n. 174, da confrontare con la medaglia fontaniana di Consalvo de Córdoba

Toderi e Vannel 2000, I, p. 75, n. 141.

712

Toderi e Vannel 2000, I, p. 85, n. 178.

713

Suscita invece numerose riserve l’attribuzione a Lotelli della medaglia dell’ignoto “SEIPIO DE SARD…” (scilicet “SCIPIO”), la cui iscrizione “ANT”, letta dal solo Armand su di un esemplare già nella collezione Robertson (1883-87, III, p. 130, n. D), non pare ragione sufficiente per ignorare le ragioni dello stile, neppure laddove l’ipotesi sembri rafforzata dall’iniziale “L” apposta all’esergo del rovescio nel’unico esemplare oggi noto, quello di Berlino (Börner 1997, p. 184, n. 798; Toderi e Vannel 2000, I, p. 85, n. 173). Perché poi l’artista avrebbe dovuto signare le due facce in maniera così diversa, se voleva davvero accreditarne la comune autografia?

maniera rimase quella di un artista emiliano che prende le vie del nord finendo per incrociarsi coi milanesi solo fortuitamente.

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