• Non ci sono risultati.

Iacopo da Trezzo? Una proposta per il ‘Maestro del Carlo Visconti’

Cap I.2 Iacopo da Trezzo

III. Per un catalogo delle medaglie di Iacopo da Trezzo

2. Iacopo da Trezzo? Una proposta per il ‘Maestro del Carlo Visconti’

Il linguaggio scultoreo e le soluzioni tipologiche messe a punto nelle prime medaglie di Iacopo da Trezzo ebbero un successo tanto immediato e importante, quanto trascurato. Ad esso si connettono infatti due medaglie di grande formato, quelle di Carlo Visconti e Francesco d’Este, che costituiscono uno dei problemi più spinosi della medaglistica lombarda del secolo XVI (oltre che uno dei suoi vertici). Entrambe sono state recentemente riunite da Attwood in un medesimo gruppo, ma rimangono per la critica opere di autore anonimo338.

La prima medaglia raffigura Carlo Visconti (1523-65), che nel 1561, dopo l’ascesa di Pio IV al soglio pontificio, sarebbe divenuto il Vescovo di Ventimiglia e avrebbe dato avvio ad una sofisticata committenza di cristalli intagliati339. L’effigie metallica lo rappresenta prima di questi eventi in un’età compresa tra i venti e i trent’anni, ed il rovescio della medaglia ha probabilmente un significato galante, “COR ALIT”340. Siamo dunque nel sesto decennio,

336

Non è un caso che anche la medaglia dell’architetto e orologiaio cremonese sia stata più volte ascritta a Leone Leoni. Jean Babelon ha però mostrato che alla data dell’evento celebrato (il 1568, anno in cui il Torriani terminò la costruzione di una pompa per incanalare l’acqua del Tago in cima all’Alcázar di Toledo) la medaglia non può essere stata realizzata che in Spagna, cioè in un Paese dove fu attivo il solo Iacopo; dal carteggio di Leoni risulta peraltro che l’aretino fu in pessimi rapporti con il ritrattato, che godeva invece dell’amicizia del conterraneo lombardo (Babelon 1913 (2), pp. 275-277). Per la bibliografia sulla medaglia, cfr. supra.

337 Bibliografia: Armand 1883-87, III, p. 272, n. C (anonimo); Habich 1924, tav. XCVI, fig. 1 (anonimo

norditaliano); Dworschak 1958, p. 50 (Antonio Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, p. 159, n. 415 (Antonio Abbondio). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 99, n. 698 (anonimo); Börner 1997, p. 185, n. 802 (“anonimo maestro attivo a Milano o sotto l’influsso della scuola milanese”).

338 Attwood 2000, p. 166; Attwood 2003, I, p. 126. 339

Sui cristalli commissionati a Francesco Tortorino dal Visconti cfr. Venturelli 1998 (3), pp. 195-206.

340

Gaetani 1761-63, II, tav. CXVII, fig. 2; Armand 1883-87, II, p. 206, n. 15, e III, p. 255, n. c (Francesco Tortorino); Toderi e Vannel 2000, I, p. 109, n. 268 (anonimo). Esemplari principali: Regling 1908, p. 16, n. 123 (Leone Leoni); Rizzini 1892, p. 39, n. 251 (Francesco Tortorino); Whitcombe Greene 1913, p. 418; Álvarez-Ossorio 1950, p. 238, n. 445 (anonimo); Hill e Pollard 1967, p. 96, n. 510 (anonimo, seguiti da tutta la bibliografia successiva); Pollard 1984-85, III, p. 1485, n. 876 (anonimo); Stephen Scher, in Scher 1994, p. 169, n. 59 (data il pezzo al 1540-50 e ne spiega il rovescio); Börner 1997, p. 189, n. 823; Attwood 2003, I, p. 127, n. 101 (“unidentified Milanese medallist, II”); Toderi e Vannel 2003, I, p. 58, n. 507 (unilaterale:

quando il nostro, laico e loricato, ma già membro del collegio dei giureconsulti di Milano (1545), iniziava a farsi conoscere attraverso missioni diplomatiche, alcune delle quali dirette alla corte asburgica (1554 e 1558). La seconda medaglia ritrae Francesco d’Este (1516-78), figlio cadetto del duca di Ferrara Alfonso I e marchese di Massa Lombarda dal 1544341; anch’egli ebbe rapporti sicuri con gli Asburgo, perché fu rappresentante del padre Alfonso presso l’arciduca Ferdinando a Vienna, e sappiamo che Francesco prese parte volentieri alla vita mondana che ruotava attorno alla cerchia di Ferrante Gonzaga a Milano. L’artista su cui ci interroghiamo privilegia volumi compatti, decorati in superficie da fini dettagli ornamentali e da acconciature ordinate, ma levigati e quasi perlacei nella struttura del volto. In entrambi i tipi l’adozione di un tondello grande e spesso e di un busto allungato rivela l’intento di emulare tempestivamente l’ultima medaglia leoniana di Carlo V (giunta in Italia alla fine del 1549) o forse quella di Daniel de Hanna (1545), dove il rovescio si limita a una piatta spazialità araldica o alla complanarità di figure sostenute da una mensola sospesa, la cui tridimensionalità non coinvolge lo sfondo e si sviluppa solo verso lo spettatore.

Chi è questa personalità di primissimo piano, capace di desumere in maniera ineccepibile le convenzioni iconografiche del Nizolla e di applicare alla modellazione della cera gli stessi effetti della glittica? Fu un allievo di Iacopo a riflettere in forma così efficace la sua sensibilità ritrattistica e la maniera che il Nizolla adottò all’epoca della medaglia di Isabella Capua, che per le due effigi anonime si pone come il termine di paragone più diretto? O fu il maestro stesso, che in queste opere di grande formato e bronzee ricercò una pelle e una qualità di finitura leggermente diverse da quelle ottenute lavorando e cesellando l’argento per le medaglie regie di Filippo e Maria Tudor, concepite già in un diverso clima da ritratto di corte, bronzinesco o addirittura già fiammingo?

Non stupisce che l’estrema accuratezza del ritratto di Carlo Visconti e della sua esecuzione, ben sottolineate da Stephen Scher assieme ai caratteri “di scuola lombarda”, abbiano sinora trattenuto dall’avanzare il nome di un artista come Iacopo, fortemente svalutato dalla contiguità con i Leoni; ma l’affinità dei dettagli morelliani e del disegno dello spallaccio con la medaglia trezziana di Pietro Piantanida e con quella di Ascanio Padula merita uno scrutinio attento, anche perché datando i ritratti di Carlo Visconti e di Francesco Este a prima del 1554, viene di fatto a cadere l’obiezione principale opposta finora alla loro possibile attribuzione al Nizolla342.

Il busto di Carlo Visconti, simile a quello del Piantanida, è già avviato verso quella soluzione a mezze braccia e busto intero diffusa dalla medaglia autografa di Filippo II. La lavorazione delle ciocche è identica a quella eseguita sull’effigie di Giannello Torriani (1568), l’unica che le sia affine per genere e formato. Sono poi tipiche di Iacopo sia l’impaginazione della figura, sia le caratteristiche del tondello (la perlinatura, i margini incisi per la didascalia, l’orientamento ed il modulo dell’iscrizione); anche le lettere della

anonimo).

341 Armand 1883-87, II, p. 148, n. 9; Boccolari 1987, n. 116, n. 92; Toderi e Vannel 2000, I, p. 397, n. 1174.

Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 82, n. 563; Attwood 2003, I, p. 126, n. 100 (tutti come anonimo). Come nota anche Attwood, la medaglia di Francesco d’Este forma con la quella di Carlo Visconti un dittico inscindibile: vi ritroviamo lo stesso tipo di busto quasi intero e troncato da una linea radente il bordo, il braccio sinistro avanzato e a mezza lunghezza, il destro interrotto da un taglio rilevato e parallelo al bordo. Lo spallaccio, a testa di leone, è simillimo al precedente, così come è assai vicina la corazza, decorata a bande verticali.

È nostra convinzione che l’omissione del titolo di Marchese di Massa Lombarda (1544) nella medaglia di Francesco d’Este non sia sufficiente per fissare un terminus ante quem in coincidenza dell’assunzione del titolo, come proposto dai due studiosi: dal punto di vista stilistico la medaglia trova collocazione nella seconda metà del XVI secolo.

legenda, finemente cesellate, sono sovrapponibili a quelle della medaglia firmata di Isabella Capua. Nel rovescio dell’effigie estense Il tempio della Pace e quello della Guerra sono pressoché identici agli edifici rappresentati sulla medaglie di Maria Tudor e del cardinale Diego de Espinosa343, e riconducono all’opera di Iacopo anche la stilizzazione degli occhi, le palpebre gonfie e l’orbita netta e triangolare. L’anatomia del viso, morbidissima, trova confronto soprattutto nella medaglia firmata di Ascanio Padula, mentre il panneggio del mantello è assai vicino a quello del ministro rudolfino Johann Khevenhüller (1972).

Anche se nel periodo precedente l’assunzione al servizio di Filippo II (1555) la produzione di Iacopo non contempla effigi virili confrontabili, l’impressione è quella di essere di fronte ad opere dell’ultimo periodo lombardo del Nizolla, la cui maniera qui non sarebbe ancora quella raggelata nei Paesi Bassi dal duplice influsso di Giovampaolo Poggini e di Anthonis Moor. E non è da escludersi che proprio l’impossibilità di una modellazione dal naturale o l’imposizione di modelli da parte del Re di Spagna possano avere inibito in Iacopo una vena di modellatore, che riemerse però nella sua produzione successiva.

La questione non è certo di quelle da considerarsi chiuse, e a complicarla emerge anche il nome di un Francesco Nizolla, fratello di Iacopo e documentato come intagliatore344: allo stato attuale delle ricerche, a fronte di datazioni così alte e del tenore delle due medaglie in questione (il cui artefice è tale da non poter esordire in queste opere, attirare clienti di peso e svanire nel nulla), mi pare legittimo ipotizzare che negli ultimi anni del soggiorno italiano la clientela di Iacopo possa essersi allargata a committenti provenienti dai ducati lombardo- emiliani, ma in rapporto con la corte milanese e con gli Asburgo.

Le tracce di un transito del Nizolla a sud del Po si colgono del resto anche nella microplastica locale: l’attività di Pastorino da Siena, personalità ricettiva quant’altre mai, pare esserne stata stimolata (come mostra il suo ritratto di Ercole II, datato 1554)345; anche una medaglia del cardinal Ercole Gonzaga, accorpata da Attwood con quelle di Carlo Visconti e Francesco d’Este, mostra in realtà drappeggi filiformi ed un modellato pastoso e libero che sono di mano diversa, vicina al Pastorino346.

Outline

Documenti correlati