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Cap I.5 Milanesi fuori Milano

I. Profilo di Giovannantonio de’ Rossi medaglista

1. Il successo centroitaliano

Giovannantonio de’ Rossi (1517 - post 1575), milanese, raggiunse la celebrità in Toscana, dove lavorò per Cosimo I de’ Medici, e a Roma, dove servì i papi che si successero sul soglio pontificio tra Giulio III (†1555) e Gregorio XIII (†1585)549. A tutt’oggi il catalogo di questo artista, che in alcune opere medaglistiche e glittiche si firmò “IO(hannes) ANT(onius) RVB(eus) MEDIOL(anensis)”550, è privo di opere giovanili: il corpus di

547 Tra le figure che nel quinto decennio lasciarono Milano alla ricerca di ambienti più favorevoli va ricordato

anche Martino Pasqualigo, allievo di Leone Leoni, il cui catalogo rimane tuttavia incerto (come vedremo nel cap. I.7). La notizia della fuga di Martino dalla bottega del maestro si desume da una lettera di Pietro Aretino risalente all’aprile 1546 (in Bottari e Ticozzi 1822-25, III, p. 156, n. LX).

548 Una preziosa panoramica sulla circolazione degli intagliatori milanesi nella penisola italiana e Oltralpe è

tracciata da Venturelli 1996, pp. 29-33. Come abbiamo già notato nell’Introduzione, mancano però tentativi di avvicinare in maniera sistematica la produzione glittica a quella plastica, e per molti artisti lo studio dei rapporti tra le due tecniche è fermo alla trattazione del Kris (1929).

549 Per la biografia di Giovannantonio de’ Rossi cfr. Forrer 1902-30, VIII, Supplement, p. 175; Thieme e

Becker 1907-50, XXIX, p. 60, e infra. Sulla sua opera medaglistica cfr. soprattutto Habich 1924, p. 117; per le gemme cfr. soprattutto Kris 1929, pp. 78-81; e Venturelli 1996, p. 203.

550 Così l’artista si sigla a partire da una delle sue prime medaglie romane, quella di papa Marcello II (Toderi e

Vannel 2000, II, p. 713, n. 2235, del 1555) e in quella di Enrico II di Valois, fusa probabilmente a Firenze (Toderi e Vannel 2000, II, p. 714, n. 2239, databile dopo il 1558). Anche in una lettera a Cosimo I del 13

cammei, medaglie e monete raccolto sotto il suo nome è stato ricostruito a partire dai suoi soggiorni romani e fiorentini, mentre i ritrovamenti archivistici relativi alla sua attività in Veneto sono caduti in non cale551.

La fortuna critica del de’ Rossi deriva in effetti dall’enorme cammeo in cui raffigurò, tra il 1557 e il 1562 circa, La famiglia di Cosimo I de’ Medici che regge Firenze e viene incoronata dalla Fama (Firenze, Museo degli Argenti)552. Per il ritratto del Duca, “der Freund technischer Experimente” (Kris), l’artista sfruttò un calcedonio di eccezionali dimensioni, ma per la fama dell’opera contò ancor più il fatto che l’iconografia dinastica del gran cammeo, che è d’ispirazione antiquaria, paragonasse la committenza di Cosimo I al mecenatismo promosso dagli imperatori romani, i cui ritratti erano intagliati in pietre dure di grande formato e a più strati: la valenza politico-culturale del gran cammeo mediceo gli garantì infatti un’immediata descrizione nell’edizione giuntina delle Vite di Vasari (1568), il quale aveva probabilmente concorso all’invenzione dell’allegoria raffigurata553. La fortuna del de’ Rossi, in effetti, fu quella di un artista attivo tra Roma e Firenze (come

gennaio 1558 Giovannantonio si sottoscrive come “milanese intagliatore di camei” (Gaye 1840, III, pp. 10-11, n. 12).

551

Già la menzione del de’ Rossi nella Nobiltà di Milano di Paolo Morigia (1595) è tutta giocata sulla perizia dell’intagliatore di cammei, e trascura la produzione medaglistica (Morigia 1619 (1595), pp. 487-488): “Domenico e Giovannantonio Rossi furono nel suo tempo i primi e più rari Milanesi nel lavorare et intagliare camaini ch’avesse la nostra Italia e più oltre”.

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Gaye 1839-40, III, pp. 10-11, n. 12; Poggi 1916-18, pp. 41-48; Kris 1929, p. 79, tav. LXXVI, fig. 309; Morassi 1963, pp. 24-25; Piacenti Aschengreen 1968, pp. 144 e 306; Hayward 1976, p. 151; McCrory, in Barocchi et al. 1980, pp. 147-148, n. 277 (con regesto documentario); Langedijk 1981-87, I, pp. 504-506, n. 27; Barocchi e Gaeta Bertelà 1993, pp. 8-11, nn. 6-10; Venturelli 1996, pp. 30-31; Casarosa Guadagni 1997, pp. 73-93; Gennaioli 2007, p. 263, n. 252. Le misure attuali della gemma, probabilmente frammentaria, sono di 185 x 165mm.

553 Vasari 1966-87 (1568), IV, p. 628: “Si adopera ancora oggi ne’ cammei Giovanantonio de’ Rossi

milanese, bonissimo maestro, il quale, oltre alle belle opere che à fatto di rilievo e di cavo in varii intagli, ha per lo illustrissimo duca Cosimo de’ Medici condotto un cammeo grandissimo, cioè un terzo di braccio alto e largo parimente, nel quale ha cavato dal mezzo in su due figure, cioè sua Eccellenzia e la illustrissima duchessa Leonora sua consorte, che ambidue tengano un tondo con le mani, dentrovi una Fiorenza; sono apresso a questi ritratti di naturale il principe don Francesco con don Giovanni cardinale, don Grazìa e don Arnando, e don Pietro insieme con donna Isabella e donna Lucrezia, tutti lor figliuoli, che non è possibile vedere la più stupenda opera di cammeo né la maggior di quella; e perch’ella supera tutti i cammei et opere piccole che egli ha fatti, non ne farò altra menzione, potendosi veder l’opere”. Significativo anche il fatto che, a partire dal 1589, il cammeo di de’ Rossi fosse accostato nella Tribuna degli Uffizi al cammeo antico raffigurante Antonino Pio che sacrifica alla Speranza, oggi al Museo Archeologico di Firenze (Gennaioli 2007, p. 263, n. 252).

Il disegno vasariano che illustra l’invenzione del cammeo (Oxford, Christ Church College) è stato giudicato da Martha McCrory un’opera d’après (in Barocchi et al. 1980, p. 148, n. 278); eppure esso presenta varianti iconografiche significative: non solo la mano sinistra di Cosimo, la torsione del busto di Garsia, la pelliccia di Eleonora ed il suo décolleté in tessuto operato, ma la resa stessa dei volti principali cambia, né si vede perché il pittore aretino avrebbe dovuto riprodurre il gran cammeo reinterpretandolo liberamente. Mi sembra invece più verosimile pensare, col Kris (1929, p. 79), che Vasari avesse fornito il disegno per la composizione, mentre le fisionomie dei personaggi potrebbero essere state desunte da medaglie di Domenico Poggini (in Toderi e Vannel 2000, II, p. 489, n. 1444, e p. 491, nn. 1450-51). Le altre differenze tra il disegno e il calcedonio sono facilmente interpretabili cone semplificazioni operate dall’intagliatore, che dovette adattare alla materia disponibile le proposte del disegnatore (si cfr. in proposito anche le osservazioni di Gennaioli 2007, p. 263, n. 252, che trae tuttavia conclusioni diverse). Una “medaglia” (o forse un cammeo) con l’Allegoria di Firenze, prevista nel progetto grafico e menzionata nel carteggio con il committente, avrebbe dovuto essere commessa come un tondo nella mano destra di Cosimo I ed Eleonora: la si identifica in genere con il rovescio di una medaglia del Duca realizzata da Domenico di Polo dopo il 1543 (McCrory, in Barocchi et al. 1980, p. 150, n. 279; Toderi e Vannel 2000, II, p. 473, n. 1400). Nel 1562, comunque, il progetto primitivo fu abbandonato e de’ Rossi si offrì di intagliare un cammeo da inserire nella lacuna (Gennaioli 2007, p. 263, n. 252). Anche l’inserto, valutato come un preziosismo polimaterico, poté forse facilitare l’eliminazione di irregolarità nello spessore e nel colore dello strato bianco.

volle il Gori, che in pieno Settecento ne ricorda ancora l’attività romana in “numismatibus”) o addirittura (secondo una congettura del Mariette) formatosi in Toscana554.

In realtà, le prime notizie che abbiamo sul de’ Rossi non provengono né da Roma, né da Firenze, ma da Venezia, dove Marcantonio Michiel, il quale, visitando nell’agosto 1543 la “casa de messer Michiel Contarini alla Misericordia”, notò una “testa in maestà di un vecchio in una ametista di mezzo rilievo, legata in uno anello, e il retratto de messer Francesco Zen in un cammeo, e la corniola intagliata in un altro anello”, tutti “de mano de Zuannantonio Milanese, che ora vive in Venezia”555. Lo scrittore veneziano precisa inoltre che “el retratto del Zeno” era “tratto de una cera de messer Zuan Falier”, artista lagunare di cui conosciamo solo due medaglie fuse e firmate, una delle quali (effigiante Andrea Gritti) risale al secondo decennio del XVI secolo556.

Trasferitosi nella città lagunare entro il 1543, Giovannantonio si trovava nel 1544 a Padova, dove era in procinto di partire per Roma con Domenico di Giovanni da Cavino: in un atto notarile pubblicato da Giovanni Gorini due si impegnano, non appena rientrati a Padova, a spartire in parti uguali i proventi di una vendita di monete antiche, medaglie e perle da condurre nella capitale pontificia557. Ci sono dunque buone ragioni per pensare che de’ Rossi, a differenza di quanto affermano alcuni suoi biografi recenti, ritornasse in Italia Settentrionale e non si trasferisse in quest’occasione alla corte papale, presso la quale avrebbe dimorato soltanto alcuni anni dopo (vi è infatti documentato a partire dagli anni cinquanta). Le competenze del nostro intagliatore, più specifiche di quelle di un semplice scultore, lo portarono a metter a frutto le sue doti di conoscitore di gemme, e l’abitudine al commercio sviluppata in questi primi anni deve averlo facilitato nella scelta di svolgere una carriera itinerante.

Al periodo veneto de’ Rossi o forse al suo entourage di quel momento sono avvicinabili la medaglia del condottiero veneziano Scipione Clusone e quella, pure anonima, dell’imolese Ottaviano Vestri558: entrambe trovano in parte confronto con la medaglia di Vincenzo

554 La fortuna della gran cammeo mediceo come meraviglia tecnica è evidente sia per la collocazione museale

data al gran cammeo a partire dal 1589 (la Tribuna della Galleria), sia per le menzioni erudite di cui esso fu oggetto tra il XVII e il XVIII secolo: cfr. soprattutto Mariette 1750, I, p. 129; Gori 1767, I, pp. CLV-CLVI (scuola toscana); Orlandi 1719, p. 225. Per la storia della gemma e la sua vicenda collezionistica cfr. McCrory 1997, pp. 159-179 (con bibliografia precedente). Sugli intagli del de’ Rossi cfr. anche in generale Mariette 1750, I, p. 129; Gori 1767, I, pp. CLV-CLVI.

Nel contesto della graduale toscanizzazione storiografica del de’ Rossi è interessante ricordare la menzione di Giovannantonio da parte del giurista e accademico romano Pietro Leone Casella, che nel 1606 elogia un Atlante intagliato in diaspro da Giovannatonio e lo inserisce in un canone di scultori toscani comprendente Donatello, Andrea Sansovino, Bartolomeo Ammannati, Baccio Bandinelli, Simone Mosca e il Giambologna (Casella 1606, pp. 164-165): “Si Roscii inclyta manu / iaspide in tantillula / si sculptum Athlas inspexerit, / non ovum in Ideae Ilio / prolemve bimulam Hectoris / ridebit imparem sibi, / sed hunc gemellum, et gemmaeum, et / excellere artis munere et / maiorem Athlantem Athlantium, / stellis opus mirantibus / dictus probabit Hercule”. Il passo fu noto a Venuti 1744, p. XXIII (il quale lo cita in un passo che è alla base della rivalutazione di Giovannantonio come medaglista) ed è segnalato da Agosti 1998, p. 74, nota 106; sul canone di artisti proposto dal Casella si veda Gombrich 1987, in part. p. 230.

555

Michiel ed. 1800, pp. 85 e 243, nota 149, dove “Zuannantonio” è identificato dall’editore con la figura nota a Vasari, Mariette e Gori. La puntualizzazione che l’artista “ora vive a Venezia” sembra adombrare una sua precedente attività in un’altra città, forse Padova o Milano.

556

Toderi e Vannel 2000, I, p. 232, nn. 624 e 625. Su Giovanni Falier cfr. anche qui il cap. I.1.

557

Il contratto, siglato il 27 agosto 1544, nomina “Iohannesantonius de Rubeis ser Dominici habitator Paduae in contrata Burgi Rogatorum” (Gorini 1987, p. 54, n. 4; cfr. anche il documento n. 5 a p. 54, in cui Giovannantonio risulta debitore a Giovanni da Cavino di 35 scudi).

558

Per la medaglia di Scipione Clusone cfr. Hill 1915 (2), pp. 65-66 (Maffeo Olivieri); Hill 1920-21, p. 15, n. 60; Voltolina 1998, I, p. 506, n. 478 (anonimo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 271, n. 772 (anonimo). Esemplari principali: Attwood 2003, I, p. 234, n. 425 (anonimo). La data “MVLIIII”, iscritta nella legenda, è letta da tutta la bibliografia come un errore da emendare con “MDLIIII”. Per la medaglia di Ottaviano Vestri cfr.

Bovio opera di De’ Rossi; l’Allegoria di Roma raffigurata sul rovescio della medaglia di Pio IV presenta infine una stilizzazione analoga delle fiamme559.

La prima medaglia firmata del de’ Rossi, realizzata forse con scopi promozionali, risale invece al breve pontificato di Marcello II Cervini, che regnò durante il 1555 e fu uno dei più celebri antiquari romani − c’è da credere dunque che egli fosse particolarmente sensibile alle virtù di Giovannantonio560. Già una medaglia fusa del tardo Giulio III (1550- 50) è però parsa riconducibile alla sua maniera – in tal caso essa anticiperebbe di qualche anno l’arrivo del nostro a Roma561.

A nostro avviso, tra le possibile giunte legate a questo periodo va annoverata però anche una medaglia di Giovanfrancesco Barengo (1551-55), il cui stile è già stato ricondotto da Vannel e Toderi ad un ignoto artista lombardo562. Dal momento che l’effigiato fu Vescovo di Larino, presso Benevento, la città in cui egli posò per de’ Rossi deve essere Roma, dove il prelato fu protonotario apostolico sotto il medesimo papa Del Monte e in coincidenza con l’avvio dell’attività romana di Giovannantonio.

Nelle opere databili a questo primo soggiorno, che si protrasse per lo meno fino ai primi anni del papato di Paolo IV, eletto nel 1555, si riscontra ancora un linguaggio accostabile a quello dei plasticatori veneti: si confronti per esempio il ritratto di Vincenzo Bovio, modellato da Giovannantonio563, con la medaglia di Girolamo Grimani o con quella, più tarda, di Zaccaria Dolfin (ritratto con la dignità di cardinal presbitero che ottenne nel 1565)564.

Una terza fase dell’artista, fiorentina, può essere individuata nel triennio tra il 1556 e il 1559, durante il quale egli percepì da Cosimo I una pensione di cinquanta scudi, lavorò al gran cammeo già ricordato e realizzò un sigillo in granata per il cardinal Giovanni de’ Medici565. Altri punti di riferimento per l’attività toscana dell’artista sono offerti dalla

Armand 1883-87, II, p. 220, n. 35 (anonimo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 115, nn. 300 e 301 (anonimo lombardo). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 97, n. 683 (anonimo); Attwood 2003, I, p. 425, n. 1053 (anonimo).

559 Per questa medaglia di Pio IV cfr. Toderi e Vannel 2000, II, p. 716, nn. 2245-46; l’attribuzione del

rovescio a de’ Rossi, respinta da Attwood 2003, I, p. 422, n. 1042, fu suggerita da Venuti 1744, p. XXIII, e poi ripresa da Keary 1883 (1881), p. 61, n. 198, ignorando il precedente settecentesco; il recto cui l’Allegoria di Roma è associata è ascritto al milanese da Martinori 1917-30, X, p. 78, e Hill e Pollard 1967, p. 70, n. 370a. All’entourage del de’ Rossi si lasciano poi ascrivere due medaglie a doppia effigie, quella del veneziano Girolamo Vielmi (1550-60 circa: in Toderi e Vannel 2000, I, p. 271, n. 775, come opera anonima), fusa forse per celebrare al sua successione a Sisto Medici (effigiato al rovescio) nella cattedra di teologia di Padova, e quella di Girolamo Confalonieri, priore dei Crucigeri di Padova, associato nel rovescio al fratello Giovambattista (1557: Toderi e Vannel 2000, I, p. 273, n. 782, pure come medaglia anonima).

560 Toderi e Vannel 2000, I, p. 713, n. 2235. 561

Bibliografia: Toderi e Vannel 2000, II, pp. 713-714, nn. 2231-34. Esemplari unilaterali sono in Armand 1883-87, II, p. 215, n. 8 (anonimo) e n. 7 (variante epigrafica), e in Hill e Pollard 1967, p. 69, n. 369a (de’ Rossi). Una medaglia non rinvenuta in collezioni pubbliche (ma illustrata in Regling 1911, p. 25, n. 316) potrebbe anticipare il soggiorno del de’ Rossi all’“AN(no) IVBILEI” del 1550, come sostengono Toderi e Vannel 2000, II, p. 713, n. 2231; più incerta la datazione delle altre medaglie di questo Pontefice, una delle quali è però senz’altro del 1554-55 (Toderi e Vannel 2000, II, p. 713, n. 2234).

562 Armand 1883-87, III, p. 250, n. A (Bologna, Museo Civico Archeologico); Toderi e Vannel 2000, I, p. 106,

n. 254.

563

Bibliografia: Armand 1883-87, I, p. 247, n. 26 (attribuisce il pezzo a de’ Rossi, seguito da tutta la bibliografia); Toderi e Vannel 2000, II, p. 716, n. 2243. Esemplari principali: Hill e Pollard 1967, p. 70, n. 371; l’esemplare in Toderi e Vannel 2000, II, p. 716, n. 2242, è un ibrido.

564 Toderi e Vannel 2000, I, p. 274, n. 784 (come anonimo). 565

Il sigillo rimane da identificare tra le due gemme con armi medicee e cappello cardinalizio custodite al Museo degli Argenti: cfr. in proposito McCrory 1997, p. 166, figg. 10-11, e la lettera di Alessandro Valenti a Ferdinando de’ Medici del 12 luglio 1560 (in Barocchi e Gaeta Bertelà 1993, p. 10, n. 9): “Ho consegnato subito il granato ovato a Giovanni Antonio, che vi intagli l’arme con il cappello secondo commissione di

medaglia di Enrico II di Valois (1558), che aveva sposato Caterina de’ Medici, e da quella unilaterale firmata per il letterato Giovambattista Gelli (†1563)566. Al ritratto del Re di Francia è stata poi ricondotta un’agata del Museo degli Argenti derivata dallo stesso modello e intagliata in tutta probabilità dallo stesso Giovannantonio567: al di là dell’alto livello esecutivo del pezzo e della sua fedeltà stilistica al prototipo fuso, è infatti assai improbabile che una committenza lontana e di rango regio si rivolgesse a de’ Rossi per una semplice medaglia, così come è evidente che a Firenze innumerevoli maestri avrebbero peraltro saputo plasmarla più felicemente. È invece ragionevole pensare che l’ingaggio del milanese prevedesse la realizzazione di un esemplare in pietra dura per i sovrani e di una versione metallica destinata alla corte.

Alla medaglia del Gelli è poi possibile accostare quella di un altro scrittore della cerchia medicea, Ludovico Domenichi (†1564)568: questo secondo ritratto presenta infatti il medesimo taglio del busto, una resa simile dei tratti fisionomici e lo stesso andamento nel panneggio, sinuoso sul bordo della cappa e rettilineo all’attaccatura della spalla569. Databile tra gli anni cinquanta e il 1564, l’effigie del grande volgarizzatore toscano offre inoltre un possibile aggancio tra le frequentazioni veneziane del de’ Rossi ed il suo successo fiorentino: anche il poligrafo proveniva infatti dalla Serenissima, dove si era trasferito da Piacenza nel 1543570.

Dal 1560 fino al 1572 de’ Rossi fu impiegato stabilmente come incisore delle stampe alla Zecca pontificia: oltre alle precedenti prove romane, nell’assunzione al fianco di un artista molto più dotato come Alessandro Cesati, suo conterraneo, dovettero contare l’appoggio di un papa milanese come Pio IV e la specifica competenza di Giovannantonio come intagliatore. Accanto alle medaglie fuse, del suo periodo romano rimangono infatti un cammeo di Pio IV (Firenze, Museo degli Argenti), un cammeo di Pio V (Paris, Musée du Louvre) e numerose coniazioni monetali o medaglistiche d’apparato, da tempo riconosciute571.

Una testimonianza sul credito di cui godette la bottega romana di de’ Rossi (per la verità, anche a danno dello stesso Giovannantonio) ci viene offerta nel 1565 dall’antiquario

vostra Signoria illustrissima e reverendissima. Me ha promesso mettervi le mani subbito e non lassarlo sinché non è fenito, che serrà fra dieci giorni”.

566

Toderi e Vannel 2000, II, pp. 714-715, risp. nn. 2239 e 2241 (la n. 2240 è una variante della precedente nell’esergo). Sulla biografia del letterato fiorentino cfr. Angela Piscini, Gelli, Giovan Battista, in DBI, LIII, 1999, pp. 12-18.

567

Il cammeo giunse a Firenze attraverso il legato di Cristina di Lorena: McCrory 1979, p. 514, fig. 56; Gennaioli 2007, p. 261, n. 249. L’attribuzione al de’ Rossi, respinta dalla McCrory e da Gennaioli, risale a Kris 1929, p. 171, n. 312.

568 Toderi e Vannel 2000, II, p. 494, n. 1461, attribuiscono la medaglia a Domenico Poggini, seguendo la

tradizione fissata da Armand 1883-87, I, p. 255, n. 5. Per gli esemplari principali cfr. Rizzini 1892, p. 55, n. 355; Börner 1997, p. 161, n. 690. Tutta la bibliografia sottoscrive l’attribuzione a Poggini.

569 I caratteri epigrafici modellati della legenda si ritrovano nella medaglia firmata per Paolo IV (Toderi e

Vannel 2000, II, p. 714, n. 2236), la cui didascalia è analogamente compresa tra foglie d’acanto e impaginata lungo un margine inciso. Il rovescio della medaglia di Domenichi trova confronto in quelle di Giulio III (Toderi e Vannel 2000, II, p. 713, n. 2232) e di Enrico II, entrambe fuse dal de’ Rossi.

570 Per la biografia di Domenichi cfr. Angela Piscini, Domenichi, Ludovico, in DBI, XL, 1991, pp. 595-600.

Se si accetta che la medaglia appartenga al periodo fiorentino dello scrittore, essa andrà collocata dopo il maggio 1553, quando egli, inizialmente accusato di avere diffuso “cose luteriane”, fu infine scarcerato. In tal caso il rovescio farebbe riferimento al volgarizzamento delle Historie di Paolo Giovio che Domenichi pubblicò nel marzo dello stesso anno (come suggerito da Gaetani 1761-63, I, p. 333), mentre le “opere maggiori” promesse dal motto potrebbero essere le Storie della guerra di Siena, avviate per incarico di Cosimo I al termine degli anni cinquanta e realizzate in più diretta emulazione con lo storiografo comasco.

571 Sul cammeo fiorentino cfr. Gennaioli 2007, p. 264, n. 253. Sul cammeo con il ritratto di Pio V cfr. Kris

1929, p. 171, n. 311; sull’attività di de’ Rossi alla Zecca romana cfr. Bertolotti 1881, pp. 318-321; e Martinori 1917-30, X, p. 83, e XI, p. 67.

Girolamo Garimberti, che nel consigliare Cesare Gonzaga sulla finitura di una “cassetta” cui mancavano alcuni cammei, lo sconsigliò di rivolgersi a “Milano, la quale ha carenza di buoni artefici, per molti che n’abbia in quest’arte”, e gli segnalò piuttosto “un giovine di maestro Giovannantonio de’ Camei, singolarissimo in questa sua professione per l’età sua, non passando deciotto anni et tuttavia migliorando tanto in quest’arte che le cose sue concorrono con quelle del maestro”572. Ci sono pochi dubbi sul fatto che l’abile allievo debba essere identificato con Domenico Compagni, detto a sua volta “dei Cammei” ed attivo a Roma come restauratore di monete antiche e come intagliatore573.

Lo stile veneteggiante del de’ Rossi è ormai così isolato nella Roma dell’ultimo quarto del secolo che ci spingiamo ad attribuirgli anche la medaglia del segretario apostolico Filippo Ruis (o Ruiz), un’opera che sposterebbe oltre il 1579 la data ancora incerta della morte di Giovannantonio574. Il volto del funzionario trova precisi confronti tra le medaglie papali, il taglio del busto è quello dell’effigie di Paolo IV e l’impostazione del rovescio, circondato dall’iscrizione per 360 gradi, si ritrova nel rovescio modellato per Pio IV575.

2. Le origini lombardo-venete del linguaggio del de’ Rossi (e una nota su alcune

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