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Carlo V e gli scambi con l’area imperiale (1549-56)

Cap I.1 Leone Leon

10. Carlo V e gli scambi con l’area imperiale (1549-56)

Dal 1549 lo status di Leoni fu riconosciuto da un nuovo privilegio imperiale, per effetto del quale egli divenne “sculptor caesareus”233. Pur rifiutando a più riprese, nel 1549 e nel 1556, di prestare servizio come artista stanziale, in due viaggi successivi (a Bruxelles nel 1549, e ad Augusta nel 1551) lo scultore ritrasse in teste a grandezza naturale i membri borgognoni e austriaci della dinastia, realizzando a partire da quei modelli un nutrito gruppo di rilievi, busti e statue con le loro effigi (consegnato incompleto nel 1556 e terminato dal figlio Pompeo) e progettando una statua equestre di Carlo V voluta dal nuovo Governatore per Milano, ma mai fusa in bronzo234.

modulo assai superiore ai due tipi del 1541. E se “la sembianza soprumana di Cesare” sembrò all’Aretino “vivissima ne la natura de l’arte”(Aretino 1997-2002, III (1546), p. 199, n. 204, lettera al Franchini del maggio 1545), è probabile che contribuisse a tale effetto il fatto che l’effigie di Carlo V era stata modellata in cera, fusa e cesellata, mentre le sue medaglie precedenti erano semplicemente coniate; si trattava inoltre di un’“effigie e naturale e di pregio”(Aretino 1997-2002, III (1546), p. 140, n. 127, lettera al Franchini del gennaio 1545), perché plasmata o almeno riscontrata dal vero – un dettaglio cui tributeremo il giusto peso nel corso dei capitoli II.1 e II.2, ma che ci aiuta a comprendere perché un artista dotato dell’intelligenza ritrattistica di Leoni avesse sopravanzato altri medaglisti molto dotati, ma meno autonomi (come Alessandro Cesati).

230 Cfr. Affò 1788, p. 168, e Ronchini 1865, pp. 10-11.

231 Ancora nel 1546 Battista Brusa, residente nella casa piacentina di Apollonio Filarete, segretario di Pierluigi

Farnese, inoltrava allo scultore la posta proveniente dalla madre, che era rimasta nell’Urbe (Ronchini 1865, pp. 23-24, nn. 1-2). Nel suo carteggio con il provveditore fiscale di Milano Bernardo Spina, anche il segretario ducale Annibal Caro, alludendo alla propria amicizia con lo scultore, dichiarava di far buon viso ai “Lioni che non mordono” (Caro 1957-61, I, p. 305, n. 225, lettera del 12 agosto 1544).

232 Per un profilo biografico di Manno Sbarri cfr. Ronchini 1874 (1), pp. 133-141. Un aggiornamento

bibliografico sulla Cassetta Farnese è fornito da Christina Riebesell, in Monbeig-Goguel 1998, pp. 248-249, n. 95. La vicenda di questo manufatto (1543-61), alla cui ideazione fu interessato Claudio Tolomei, mentre i cristalli ovali furono intagliati sulla base di disegni di Michelangelo e di Perin del Vaga, dimostra eloquentemente sia il livello di sofisticazione delle commissioni che ruotavano attorno al nipote del Papa, sia l’intensità degli scambi che intercorrevano tra le arti applicate e la pittura nei centri artistici toccati dalla prima parte della carriera leoniana.

233 Nel novembre 1549 un privilegio cesareo (pubblicato da Casati 1884, pp. 55-56) investì Leoni della

condizione di familiaris, del titolo di eques auratus e di una provvisione di 150 ducati annui come ritrattista ufficiale dell’Imperatore; l’artista mantenne inoltre la sua posizione presso la Zecca milanese ed ottenne dal Senato un’abitazione a Milano (1550), mentre Arezzo gli concesse la cittadinanza onorifica (1555).

234 Sulle statue, i busti ed i rilievi asburgici di Leoni cfr. la bibliografia fornita supra in partura di capitolo; la

Per modellare dal vero i volti dei sovrani Leoni fu dapprima inviato alla corte cesarea di Bruxelles al seguito del principe Filippo d’Asburgo, che durante il viaggio si lasciò ritrarre dall’artista in una medaglia fusa235; poi, giunto nei Paesi Bassi, lo scultore poté dar prova di sé consegnando la medaglia dell’Imperatrice commissionatagli nel 1543 e portando a termine una nuova medaglia di Carlo V236 ed una di Maria d’Ungheria237.

corso del 1549 Carlo V commissionò a Leoni la propria statua intera (fusa nel 1551 con un’armatura smontabile e l’aggiunta del Furore sottomesso dalla Virtù cesarea); un busto in marmo dell’Imperatore (compiuto entro il 1553); un ritratto ovato in bronzo della consorte Isabella (fuso tra il 1553 e il 1555); una statua marmorea (ASM, Registri della Cancelleria dello Stato, XXII, 9, c. 31v), probabilmente quella del sovrano sbozzata nel 1553; due bronzi, cioè una statua dell’Imperatrice e un busto di Carlo V (modellato entro la fine del 1553: cfr. Cupperi 2008) e due bassorilievi marmorei con le effigi affrontate della coppia imperiale, per un totale di quattro ritratti in marmo e quattro in bronzo. Alle opere richieste da Carlo dopo il 1554 si aggiunsero poi, forse per iniziativa dello scultore, una statua intera e un busto dell’imperatrice Isabella, che non giunsero oltre una sommaria sbozzatura: le due opere, custodite come le precedenti al Museo del Prado di Madrid, sarebbero infatti state scolpite dal figlio Pompeo, che avrebbe mutato la seconda in un ritratto di Maria d’Ungheria. Quest’ultima allogò invece a Leoni la fusione di quattro statue bronzee di cui Leoni aveva modellato le teste nel 1549 (Carlo V, Eleonora, Maria e Filippo d’Asburgo): non furono però fuse che la terza (1553) e la quarta (1551, rinettata entro il 1553 ed esposta pubblicamente a Milano in occasione delle prime nozze dell’infante nel 1554). Neppure le teste “in rilievo e quanto le naturali” promesse a Ferrante Gonzaga furono compiute (Campori 1855, p. 286, n. 1).

A proposito della statua equestre milanese, non è stato notato che ancora nel 1550 Luca Contile celebrò gli sforzi di Leoni per non “lasciarsi superare da l’Antonin il Pio”, cioè dal Marco Aurelio a cavallo delle collezioni capitoline romane (Aretino 2003-04, II (1552), pp. 235-236, n. 245): la lettera dimostra che nel 1550 Leoni lavorò effettivamente all’ideazione del gruppo scultoreo.

Uno sguardo alla produzione statuaria di Leoni conferma gli orientamenti delineati dalla sua medaglistica negli anni quaranta e cinquanta. Le statue, i busti ed i rilievi fusi e scolpiti per Carlo, Maria e Filippo d’Asburgo rivelano infatti una cultura figurativa sedimentata tra Veneto e Lombardia. Il nudo asciutto del Carlo V che trionfa sul Furore, ad esempio, è memore di statuette venete come l’Ercole e Anteo della National Gallery of Art di Washington D.C., già attribuito a Francesco da Sant’Agata ma ascritto a Camelio dal Pope-Hennessy (1963 (2), pp. 22-23), o come l’Ercole in legno di bosso della Wallace Collection di Londra, firmato dal medesimo “Francesco orefice” e parimenti databile entro il 1528 (sulle due opere cfr. rispettivamente Dieter Blume, in Beck e Blume 1986, p. 403, n. 99, che data il bronzetto al 1520 circa e la statuetta in legno al 1510 circa; e Mann 1981 (1931), p. 101, n. S273 tavv. 68 e 85, per il quale l’Ercole in bosso è invece databile intorno al 1510). I panneggi della Maria d’Ungheria e l’attitudine del Filippo II confermano invece i debiti di Leoni rispetto alla plastica di Iacopo Sansovino, mentre la resa analitica delle barbe filiformi trova riscontro nella sua scuola e, forse, nella frequentazione leoniana di stampe tedesche − un indizio tardo sull’apprezzamento di quest’ultime all’interno della bottega dell’aretino ci viene dalla stima dei beni posseduti da Pompeo a Madrid, tra cui figurano diversi album “de Alberto y Lucas” da Leida(Estella Marcos 1994 (2), p. 135), ma è evidente che la fortuna lombardo-veneta di Dürer è un dato di cultura importante anche per la formazione di Leone –.

La maniera ricca di Leoni tendeva una veritas disseminata ad arte di composti accidenti e basata (al di là della sua fortissima tensione stilistica) sullo studio dal vero (non è forse un caso che una delle novelle leoniane del Malespini sia basata su un cadavere trafugato dallo scultore per fare “notomie”: Malespini 1609, libro II, XI, cc. 28v-33r; e XLI, 164v-168r). Per certi versi l’unica esperienza parallela in ambito lombardo (come notato da Sricchia Santoro 1966, p. 6) fu quella di Antonio Campi, che in alcuni ritratti risulta decisamente affine al nostro: il suo disegno del volto di Cristina di Danimarca a matita nera (sul quale vd. Francesca Buonincontri, in Gregori 1985, pp. 317-319, n. 3.1.8) può essere ad esempio confrontato con la statua bronzea leoniana di Maria d’Ungheria.

235 Bibliografia: Van Mieris 1732-35, II, p. 224; Armand 1883-87, I, p. 164, n. 11 (attribuisce a Leoni sulla

scorta della firma), e III, p. 68, n. n; Plon 1887, p. 259; Habich 1924, tav. XCI, fig. 7; Toderi e Vannel 2000, I, p. 50, n. 60. Esemplari principali: Kenner 1892, p. 60, n. 3; Rizzini 1892, p. 36, n. 237; Domanig 1896, p. 5, n. 46; Álvarez-Ossorio 1950, p. 148, n. 159; Valerio 1977, p. 139, n. 97; Pollard 1984-85, III, p. 1227, n. 714; Cano Cuesta 1994, p. 180, n. 35; Johnson e Martini 1995, p. 120, nn. 2246-47; Börner 1997, p. 171, n. 741; Marina Cano Cuesta, in Checa Cremades 1998, p. 290, n. 7 (Madrid, Istituto Valencia de don Juan; nota che il medesimo soggetto fu proposto nel 1549 da uno degli archi trionfali eretti a Malines per l’arrivo del Principe); Attwood 2003, I, p. 99, n. 22; Toderi e Vannel 2003, I, p. 51, nn. 439-440.

236 Bibliografia: Van Mieris 1732-35, III, p. 182; Armand 1883-87, I, p. 162, n. 1 (attribuisce a Leoni); Plon

Nel 1551 Leone ritrasse a tutto tondo e in medaglie Ferdinando d’Austria e il figlio Massimiliano238, ed entro tale data realizzò anche i microritratti metallici dei due ministri imperiali che lo avevano accolto a corte, Antoine Perrenot de Granvelle e Luis de Ávila y Zúñiga, dei quali ci occuperemo più approfonditamente nei prossimi capitoli239.

Fu infine durante questo secondo viaggio che Leoni donò all’Imperatore un’eccezionale sardonice con le effigi iugate di Carlo e Filippo nel recto, e quella di Isabella d’Asburgo nel verso (New York, Metropolitan Museum)240. L’opera, esito estremo dell’assimilazione rinascimentale del cammeo al genere della medaglia, è una crasi tra il tipo ritrattistico con le effigi di due cesari, adottato nella monetazione romana imperiale in prossimità delle successioni, e quello con due coniugi appaiati, noto al Rinascimento attraverso diverse gemme antiche241. Lo spessore straordinario dello strato bianco superficiale presente sulla sardonice permise di spingere l’intaglio dei busti fino a definire mezze figure nel senso della longitudine e a disegnare arabeschi sulle armature e sui broccati. Un terzo strato minimo, di posizione intermedia rispetto al fondo rosato, consentì di raffigurare dietro la nuca di Carlo il fulmine di Giove242.

coll. 505-510; Vermeule 1955, coll. 467-469 (pubblica il modello in cera, allora conservato nella collezione privata di Benjamin Welling a Detroit); Valerio 1977, p. 139, n. 98; Toderi e Vannel 2000, I, p. 50, n. 38 (confuso con altri numerosi tipi ibridi, già attestati da Van Mieris 1732-35, II, pp. 259 e 454, e identificati come seriori da Kenner 1892, p. 63, n. 4a). Esemplari principali: Kenner 1892, p. 62, n. 4 (riferita alla battaglia di Mühlberg e datata post 1547); Domanig 1896, p. 5, n. 43; Hirsch 1908, p. 16, n. 122 (datata 1550); Regling 1911, p. 51, n. 626; Hill 1931, p. 198, n. 426; Hill e Pollard 1967, p. 81, n. 426; Valerio 1977, p. 139, n. 98 (unilaterale); Cano Cuesta 1994, p. 181, n. 36; Johnson e Martini 1995, p. 113, nn. 2217-18; Marina Cano Cuesta, in Checa Cremades 1998, p. 289, n. 6; Attwood 2003, I, p. 101, n. 24.

237 Bernhart 1919, p. 75, n. 163.5, e tav. XIV, fig. 163.5 (ag, d. 72 mm), a Vienna. L’unico altro esemplare a

me noto, segnalatomi dalla dottoressa Orsolya Rethelyi, è conservato al Museo Storico di Budapest ed è a sua volta in argento.

238 Sulla medaglia di Massimiliano d’Asburgo cfr. supra. Per quella di suo padre Ferdinando I cfr. Armand

1883-87, II, p. 236, n. 1 (non attrib.); Habich 1924, tav. XCI, fig. 5; Toderi e Vannel 2000, I, p. 57, n. 86. Esemplari principali: Kenner 1892, p. 76, nn. 11-12 (attribuito a Leoni, con rassegna delle copie tarde e dei reimpieghi per altre medaglie); Rizzini 1892, p. 176, n. 702; Hirsch 1908, p. 55, n. 675; Börner 1997, p. 176, n. 767; Attwood 2003, I, p. 104, n. 36.

239 Lettera dello scultore a Ferrante Gonzaga del 30 marzo 1549, in Ronchini 1865, p. 26, n. V. Per la

medaglia di Luis de Ávila y Zúñiga e la sua attribuzione a Leoni cfr. Bernhart 1925-26, p. 70 (esemplare unico in piombo, già a Monaco di Baviera), e Toderi e Vannel 2000, I, p. 53, n. 68. Come dimostrano le tavole allegate, la paternità leoniana del pezzo, mai riprodotto sinora, può essere agevolmente confermata. Sulla figura dell’Ávila, storiografo e consigliere di Carlo V, ritorneremo nel cap. II.1. Per le medaglie leoniane di Antoine Perrenot de Granvelle cfr. il cap. II.4 e infra.

240 Kris 1932, p. 18; Pérez de Tudela, in Checa Cremades 1998, p. 537, n. 181.

241 Gemme con figure coniugali iugate compaiono per esempio nell’inventario delle collezioni di Fulvio

Orsini (1606): “Amethysto con due teste di Papiniano e Plautia” (Nolhac 1884 (1), p. 161, n. 171); “Corniola grande con due teste, l’una di Nerone figliuolo di Germanico, in giovenile età, et l’altra di Julia, nipote di Tiberio” (p. 168, n. 335).

242 In Spagna come in Italia, il cammeo non costituiva che la forma più pregiata della medaglia da collezione:

essendo un ritratto autorizzato, si tendeva addirittura a replicarlo in metallo, come avvenne puntualmente per l’opera di Leoni. Dal recto del cammeo con Carlo V e Filippo II deriva infatti un diffuso tipo medaglistico che reca al recto l’iscrizione “. IMP . CAR . V . ET . PHI . PRINC . HISP”; e al verso, in un nastro tra le colonne: “PLVS OVLTRE”; sul pezzo in questione cfr. Van Mieris 1732-35, III, p. 233; Herrgott 1752, p. 96, tav. XXIV, fig. 63; Armand 1883-87, II, p. 182, n. 12 (anonimo), e III, p. 71, n. p (Leoni); Plon 1887, p. 266 (Leoni); Bernhart 1919, p. 78, n. 172; Toderi e Vannel 2000, I, p. 56, n. 83 (Leoni). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 35, n. 222 (Leoni); Domanig 1896, p. 5, n. 48 (attribuita a Leone Leoni e classificata come replica dal cammeo); Kenner 1886, p. 71, n. 8 (Leoni); Hirsch 1908, p. 16, n. 124; Regling 1911, p. 53, n. 653 (attribuita a Leone Leoni); De Rinaldis 1913, p. 53, n. IX.100-111 (anonimo); Álvarez-Ossorio 1950, p. 123, n. 158; Valerio 1077, p. 140, n. 100 (Leoni); Middeldorf e Stiebral [1983], n. LVII; Johnson 1990, p. 115, n. 64; Cano Cuesta 1994, p. 185, n. 38 (Leoni); Johnson e Martini 1995, p. 118, nn. 2226-27 (Leoni); Börner 1997, p. 176, n. 764 (Leoni); Attwood 2003, I, p. 107, n. 48 (Leoni); Toderi e Vannel 2003, I, p. 52, nn. 450- 452; VAT, s.n. (ae). Non si tratta però di un’opera autografa di Leoni, come si è voluto credere quasi per

Tra le opere medaglistiche di modulo medio si segnalano per qualità i ritratti realizzati a più riprese per Antoine Perrenot de Granvelle: nel rovescio con Nettuno che placa le acque la combinazione di motivi iconografici antichi, già sperimentata nelle placchette genovesi, si estende alle medaglie, portando a compimento il loro avvicinamento al genere delle “storie” attraverso un’artificiosa veduta prospettica (che Leoni vanta in una lettera del 10 agosto 1555).

Circa poi l’isthoria [sic] del «DVRATE» non mi sono curato di fare un rovescio tutto pieno di cani che non havesse rilievo a guisa d’un panno d’Arasa, ma [ho] accennato il «et timidos nautas canis lacerasse marinos [scil. marinis]» in due luoghi, atendendo a la prospetiva e de l’acqua e de le figure con i suoi lontani, co’ l’invenzione del Netuno, il quale, mentre aqueta il mare, difende Tetide, furatagli da il tal mostro marino, che a-ccapo di sotto s’atuffa ne l’aque. Il tritone giovine, che con ambe le mani aperte suona, dà inizio de la nuova tranquilità del mare. Ho anche in quela suprema barca espresso gli omicidi de i timidi marinai getati ne l’aque; le quali cose però non si partono da l’historia243.

L’importanza di questa dichiarazione di intenti (edita da Plon con diversi travisamenti testuali di sostanza) è stata del tutto trascurata. Non solo la lettera di Leoni contrappone la propria resa prospettica a mezzo rilievo all’alto rilievo monetale in uso nella prima metà del XVI secolo, ma afferma anche la necessità di un’inventio in cui il motivo atteso dallo spettatore venga subordinato a giunte pertinenti e l’azione centrale venga affiancata da un’arguta varietas di atti collegati per reazione, secondo una sorta di unità di tempo e di luogo: il rovescio di medaglia si trovava promosso a ‘pittura di storia’ e ad oggetto d’ekfrasis244.

Ma la lunga ‘dichiarazione’ leoniana si sofferma anche sul motivo iconografico e sulle sue fonti: giacché nella sua lettera dell’11 gennaio, monsignor Granvelle aveva concesso carta bianca all’artista (“facciate quello vi parrà per il cunio così per la medaglia come per il riverso”), Leoni rintenne utile argomentare le scelte compiute245. Intervenendo in una serie metallica dominata da rovesci monotematici, lo scultore volle affermare la propria originalità anche nell’invenzione, che egli aveva variato incrociando l’allocutio di Enea ai compagni, fonte del motto “DVRATE” (Aen., 1, 207), con un passo delle Bucoliche che

esclusione: nei numerosi esemplari conservati la bassa definizione del rilievo (che pure è molto aggettante), lo spessore considerevole del tondello, i caratteri epigrafici e la stilizzazione dei flutti nel rovescio non trovano confronto tra i microritratti fusi dallo scultore aretino. Fu un altro artista a trarre uno stampo dalla doppia effigie del cammeo (sacrificando il dettaglio troppo sottile del fulmine intagliato dietro la nuca di Carlo) e a corredarlo di una ghiera con la legenda e di un rovescio pertinente (una fase intermedia di questo procedimento è attestata dall’esistenza di esemplari unilaterali ovali fusi in piombo: cfr. Habich 1924, tav. XCI, fig. 4; Attwood 2003, I, p. 104, n. 34).

Il rovescio per la versione in bronzo del cammeo è ricondotto da Plon a un “conio delle medaglie con il toso” menzionato nella lettera scritta da Leoni a monsignor de Granvelle il 14 agosto 1555 (APM, ms. II-2271, c. 98r, in Plon 1887, p. 370, n. 39, e p. 266), ma la medaglia cui si riferisce la missiva è in realtà un ritratto del Perrenot (cfr. infra, cap. II.3); del resto, il tipo con Colonne d’Ercole entro collare del toson d’oro non è fuso, bensì coniato (sulla questione cfr. Cupperi 2002 (2), p. 52).

243 APM, ms. II-2271, c. 10r (edita con lezioni divergenti in Plon 1887, p. 374, n. 48). La citazione contenuta

nella lettera è da Verg., Egl., 6, 74-80: “Quid loquar, aut Scyllam Nisi, quam fama secutast / candida succinctam latrantibus inguina monstris / Dulichias vexasse rates et gurgite in alto / a timidos nautas canibus lacerasse marinis; / aut ut mutatos Terei narraverit artus, / quos illi Philomela dapes, quae dona pararit, / quo cursu deserta petiverit et quibus ante / infelix sua tecta super volaverit alis?”. Sulla medaglia cfr. in generale Armand 1883-87, II, p. 255, n. 36; Casati 1884, p. 54; Plon 1887, p. 266 (Leoni); Armand 1883-87, III, p. 70, n. M; Bernhart 1920-21, p. 113, n. 3; Venturi 1937, p. 413; Toderi e Vannel 2000, I, p. 56, n. 81; Smolderen 2000, p. 300, n. VIII. Esemplari principali: Valerio 1977, p. 141, n. 103; Cano Cuesta 1994, p. 187, n. 41; Johnson e Martini 1995, p. 128, n. 2279.

244

Il paragone con le arti maggiori e con i gradi formati è anche alla base dell’interazione tra la scena coniata e lo spazio dello spettatore che Leoni immagina per palesare il carattere “aspro” del Nettuno (“il rovescio potrà ben dargli di che dire, perché il Netuno, se ben brava, non potra dargli del tredente”).

descrive una tempesta con l’intervento di Scilla e creature mostruose (questo secondo passo, Egl., 6, 74-80, è citato nella lettera). Il rovescio leoniano si basava dunque su di un procedimento filologico che non solo “non si dipartiva dall’historia”, ma trovava anche ulteriori possibilità di intreccio con fonti visive antiche: la raffigurazione di Teti caudata è infatti palesemente basata su di un denario siciliano (40 a.C.) noto anche a Pirro Ligorio246. Anche nelle medaglie di modulo grande il capolavoro di Leoni si colloca nell’ambito della committenza del Granvelle, della quale tratteremo più diffusamente nel cap. II.3: il rovescio con l’Unicorno che purifica le acque (ante 1561) rielabora un soggetto abbastanza comune dando vita a una vertiginosa composizione addensata di scorti, popolata di innumerevoli varietà botaniche e zoologiche ed animata da distinti episodi di vita selvatica247.

Non sorprende che in questi stessi anni i rovesci paesistici leoniani si affermassero immediatamente come invenzioni figurative esemplari, reimpiegabili in altri media e come decorazioni ambientali248: in qualche momento tra la posa della prima pietra nel 1558 e la sospensione dei lavori nel 1572, nei pennacchi del cortile d’onore di Palazzo Marino vennero infatti inseriti due rilievi che riproducono i rovesci con Ercole e i giganti e Il ratto di Proserpina, realizzati da Leoni per le medaglie di Ferrante ed Ippolita Gonzaga249. Come ai tempi del Moderno, la microplastica tornava ad essere il settore più avanzato delle arti congeneri alla scultura e finiva per fornire alla decorazione architettonica un repertorio di ‘invenzioni’ divenute non meno classiche delle iconografie antiche250. Giacché nessuna delle storie rappresentate sulle pareti di Palazzo Marino è dedotta dall’antico, c’è anzi da chiedersi se in questo caso la ripresa su scala monumentale di due rovesci medaglistici contemporanei non sia da intendersi come un corrispettivo figurativo del carattere insistitamente e orgogliosamente moderno del partito architettonico.

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