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Cap I.2 Iacopo da Trezzo

I. Cenni biografic

Nel 1555 il manuale per amatori di “medaglie antiche” pubblicato da Enea Vico, un parmigiano che era vissuto a stretto contatto col collezionismo veneziano, include lo scultore e intagliatore Iacopo da Trezzo (1514/15-1589) in un canone di artisti assai più celebri, tutti attivi entro gli anni quaranta del XVI secolo e noti come “eccellenti imitatori di medaglie antiche nel cognio”:

Nell’imitatione (per dimostrare la eccellenza loro facendo nuovi cogni di acciaio) nell’età mia sono stati eccellenti Vettor Gambello, Giovanni dal Cavino padoano e suo figliolo, Benvenuto Cellini, Alessandro Greco [Cesati], Leone Aretino, Iacopo da Tresso, e Federico Bonzagna parmigiano288.

Quelli ricordati da Vico sono incisori di prima grandezza, attivi in città di solida tradizione antiquaria come Padova, Venezia e Roma: la menzione di Iacopo, che al contrario non pare aver mai lasciato l’area lombarda prima del 1554, risulta tanto elogiativa quanto inaspettata per chi consideri la sua scarsa fortuna critica attuale. Nel passo di Vico l’accostamento di Iacopo ai massimi medaglisti della sua età costituisce altresì un importante riconoscimento di Milano come centro artistico emergente, e vale infine come conferma autorevole del fatto che l’attitudine emulativa dei lombardi verso l’antico, che siamo abituati a credere tramontata con Agostino Busti ed il Moderno, nell’intaglio dei coni e delle pietre dure rimane invece vitale e propositiva per due generazioni ancora.

A questo floruit della medaglistica coniata ambrosiana, che verso la metà del XVI secolo raggiunge una notorietà sovraregionale, fa però riscontro una produzione che per Iacopo, nato nel secondo decennio del secolo, è avvolta dall’oscurità almeno fino agli inizi del sesto − anche a causa il silenzio delle fonti d’archivio e dell’incertezza che avvolge i suoi rapporti con la Zecca ducale289. La fama arride a Iacopo solo dopo i trent’anni, ed è solo dalla medaglia con cui Antonio Abbondio gli rende omaggio nel 1572 – fondendo un ritratto di modulo inusualmente grande − che apprendiamo il suo cognome, Nizolla o Nizola290. Lo stesso Giorgio Vasari conosce quest’artista come intagliatore di vasi in

288 Vico 1555, p. 67. Sul contesto di studi in cui il passo si inserisce cfr. ora Daly Davis 2004, pp. 367-387.

Sugli interessi antiquari di Enea Vico si vedano in generale Favaretto 1990 e Bodon 1997.

289

Conti 1995 (2), p. 390, annuncia la pubblicazione di un documento dell’11 maggio 1542 che descrive la consegna dei punzoni della Zecca milanese a Leoni Leoni per il tramite di “Giovanni Jacomo Nizolo”, ma non ne segnala la collocazione. Bisogna inoltre notare che Giovan Giacomo era il padre di Iacopo: Babelon 1922, p. 271, app. 1, ha pubblicato infatti un documento relativo al presunto padre di Iacopo, “Iovan Iacobo pictor milanese”, che nel 1532 consegnò al Duomo di Vigevano, giuspatronato di Francesco II Sforza, il Gonfalone di Sant’Ambrogio da lui dipinto (ASM, Autografi, b. 102, fasc. 25). La supplica, redatta dal Vescovo della cittadina pavese e risalente all’aprile 1537, richiedeva alla Cancelleria Ducale il saldo per il lavoro svolto. Alle informazioni biografiche e genealogiche fornite da Babelon si può aggiungere che a Milano Iacopo percepì un salario come conservatore degli Ebrei dal 3 ottobre 1567 al 19 ottobre 1585. Si trattava di un incarico triennale, ma di fatto vitalizio, in cui l’artista assente si fece via via sostituire da Ottaviano Ferrari e da altri residenti attraverso suppliche in cui dichiarava di essere assente da Milano (ASM, Dispacci reali, b. 272, fasc. 15-23, e Famiglie, b. 189; cfr. anche Venturelli 1996, p. 33).

290

Per la medaglia di Antonio Abbondio con legenda “IACOBVS NIZOLLA DE TRIZZIA MDLXXII”, cfr. Toderi e Vannel 2000, I, p. 165, n. 444, e qui il cap. I.6. Anche la data di nascita di Iacopo (1514/15) viene dedotta da un memoriale dell’artista risalente al 1585 circa (lo si trova pubblicato a cura della redazione nella Sección de autografos della “Revista de archivos, bibliotecas y museos”, s. I, V, 1875, pp. 83-87, in part. 85-

cristallo, e le Vite del 1568 collocano ormai la sua attività “in cavo e in rilievo” sullo sfondo della corte di Filippo II d’Asburgo (dove il lombardo lavorò dal 1554 fino alla morte)291. Non meno indicativo è il fatto che la seconda parte della carriera di Iacopo (1550-54) fu legata a episodi di mecenatismo principesco che lo rivelano artista già maturo, ancorché soggetto a forte concorrenza: il medaglista risulta infatti attivo non solo per la famiglia del governatore lombardo Ferrante Gonzaga, ma anche per Cosimo de’ Medici, dedicatario del trattatello di Vico e destinatario, il 18 gennaio 1552, di una lettera con cui il Nizolla sollecita da Milano il pagamento “per un vaso di cristallo, finito a sua Eccellentia già lungo tempo”292.

La terza fase della carriera di Iacopo (1554-89), asburgica ed europea, è stata invece ricostruita in dettaglio da Jean Babelon, che ha effettuato ricerche negli archivi belgi e spagnoli: con l’investitura di Filippo d’Asburgo a duca di Milano (1554), il Nizolla entra infatti al servizio del nuovo signore come incisore di coni da moneta, seguendolo a Londra in occasione del suo matrimonio reale con Maria Tudor (1554) e ritraendo entrambi i sovrani in medaglie di lusso293, come ricorda Paolo Morigia:

E quando il figliuolo [di Carlo V] Filippo prese Maria regina d’Inghilterra per moglie, sua Maestà Cesarea mandò il nostro Trezzo in Inghilterra a presentar a quella Regina gioie d’inestimabile valore294.

Introdotto a Bruxelles (1555) tra i nuovi frutti ibridi delle serre asburgiche, come Anthonis Moor e lo scultore Jacques Jonghelinck, anche il medaglista lombardo cresce d’importanza

87).

291 Per la ricostruzione della biografia di Iacopo cfr. Bolzenthal 1840, pp. 148-149; Babelon 1922, pp. 13-27, e

Forrer 1902-30, VI, pp. 132-139. Quest’ultimo prende un abbaglio nell’affermare che l’edizione torrentiniana (1550) delle Vite di Giorgio Vasari menzioni l’artista, che compare invece in due paragrafetti piuttosto generici della Vita di Valerio Vicentino e altri intagliatori nella redazione del 1568 (Vasari 1966-87, IV, p. 629). A tale data avanzata la memoria dell’intagliatore, chiamato “Cosimo da Trezzo”, appare però già sbiadita dalla sua protratta assenza dall’Italia. Vasari non ricorda nemmeno le opere di Iacopo presenti nella Guardaroba medicea, e la notizia che Iacopo lavorasse “in cavo e in rilievo” presso la corte di Filippo II gli deve esser stata passata da Leone Leoni o da Giovampaolo Poggini, che lavorava in Spagna con Iacopo e Pompeo Leoni. A uno “Iacopo da Trezzo” che intaglia vasi in pietra dura a Milano, il biografo accenna invece in un passo immediatamente successivo, nel quale rammenta anche l’attività di Gasparo e Girolamo Miseroni per Cosimo I.

292 Per la lettera citata a testo cfr. Babelon 1922, p. 272, n. 2. Antonio Morassi accostò ipoteticamente la

lettera a una fiasca a borrache, diversa da quella trattata infra e realizzata in diaspro di Spagna e corallina iberica (Firenze, Museo degli Argenti: Morassi 1963, p. 25, n. 33 e tav. 31, h. x l.: 275 x 240mm), ma concluse che l’opera, stilisticamente riconducibile a una bottega milanese attiva tra 1570 e 1580, fosse dovuta ai fratelli Saracchi, come riteneva anche la Piacenti Aschengreen (1968, p. 139, n. 293, fig. 20). Cornelia Willemijn Fock ha successivamente confermato l’infondatezza di ogni collegamento col Nizolla e la provenienza della fiasca dalla collezione di Caterina de’ Medici: è stata così ribadita l’attribuzione tradizionale, sostenuta in effetti da diverse somiglianze morfologiche e decorative (Cornelia W. Fock, in Barocchi et al. 1980, p. 232, n. 445; Hackenbroch 1996, p. 158; Venturelli 1996, pp. 90-91; Piacenti Aschengreen 1997, p. 133, “bottega dei Sarachi”; Venturelli 2005 (2), p. 298, s.n., “Sarachi?”).

293 Rispettivamente in Toderi e Vannel 2000, I, p. 62, nn. 100 e 99 (per l’interpretazione dell’Allegoria della

Pace rappresentata sul verso della medaglia di Maria Tudor in relazione con la sua opera di riavvicinamento alla Chiesa di Roma, cfr. Almudena Pérez de Tudela, in Checa Cremades 1998, p. 297, n. 15). Datata in genere al 1555 per simmetria con quella del marito, l’effigie è invece da anticipare al 1554, come dimostra una lettera di Iacopo da Trezzo del 21 dicembre 1554, pubblicata in Pérez de Tudela 2000, p. 269 (cfr. qui l’app. II). Nonostante l’affinità di costume con il celebre ritratto coevo di Anthonis Moor (Madrid, Museo del Prado: Prado 1990-96, I, p. 391, n. 1446), bisognerà trattenersi dall’indicare il dipinto come modello dell’opera di Iacopo (è la tesi della Pérez de Tudela): Iacopo fu inviato in Inghilterra per realizzare ritratti dal vero, e anche se non è da escludersi che egli abbia approfittato delle stesse sedute di posa concesse al pittore fiammingo, la medaglia rappresenta la regina di profilo, mentre la tavola la raffigura di tre quarti. L’assunto che ogni medaglia derivi dal dipinto più vicino per fisionomia e datazione è spesso facilmente confutabile.

grazie alla protezione del ministro Antoine Perrenot de Granvelle e alla benevolenza dello stesso Filippo, che dal 1556 succede al padre come signore dei Paesi Bassi. Mantenere a corte un intagliatore di gemme risponde per il Re di Spagna a un preciso disegno. Le ambite opere dell’italiano infatti non rispecchiano solo i fasti della corte filippina, ma raggiungono probabilmente anche l’estero, sotto forma di doni: primo tassello nella creazione delle future manifatture di palazzo madrilene, la cooptazione di Iacopo (di poco successiva a quella di Leone Leoni come statuario) intende mostrare che le corti di Carlo e Filippo non sono abili solo politicamente, ma anche nell’incoraggiare l’elaborazione di linguaggi ritrattistici aulici ed originali295.

Alla mani del Nizolla i sovrani di Borgogna e Spagna (Filippo II, ma anche la sorella Giovanna ed il figlio Carlos) affidano inoltre sia gli accessori più sontuosi del proprio vestiario (pendenti, bottoni, anelli incrostati di cammei o di gemme), sia l’intaglio della propria immagine nelle monete296. I tipi ritrattistici forniti da Trezzo vengono infatti replicati in alcune monete inglesi datate “1554” e recanti le effigi di Filippo II e Maria Tudor: l’artista stesso ne rivendica i coni in una lettera del 21 dicembre di quell’anno297. Le legende, orientate in modo tale che la lettura proceda dall’alto verso il basso in senso orario, secondo la consuetudine inglese, suggeriscono che l’artista abbia fornito esclusivamente i punzoni intagliati con le figure: per le monete spagnole è infatti documentata solo la fornitura di modelli lignei ingranditi da sottoporre preliminarmente all’approvazione del sovrano298.

Alexandre Pinchart ha infine dimostrato con documenti d’archivio che Iacopo intagliò non solo il sigillo e il controsigillo che Filippo II usò fino alla morte di Maria Tudor per le patenti relative al governo dei Paesi Bassi (1557)299, ma anche i coni per i gettoni del

295

Cammei molto simili a quelli realizzati da Iacopo sono raffigurati nei ritratti reali in segno di distinzione e per evidenziare il grado di parentela con l’effigiato: nella statua marmorea della tomba di Giovanna d’Asburgo, scolpita da Pompeo Leoni intorno al 1574 (Madrid, Monasterio de las Descalzas Reales), la principessa porta al collo l’immagine del fratello; ed anche in un ritratto di Isabella Clara Eugenia d’Asburgo attribuito alla cerchia di Alonso Sánchez Coello e custodito al Museo del Prado (Prado 1990-96, p. 639, n. 2435, inv. 861) l’infanta tiene in mano un cammeo con il volto di Filippo II (cfr. infra). Lo stesso atto è infine raffigurato in un secondo ritratto di Isabella, ascritto dubitativamente a Juan Pantoja de la Cruz, nel quale la principessa esibisce una medaglia (Prado 1990-96, I, p. 632, n. 2405). In tutti questi casi è verosimile che il pregio della medaglia o del cammeo derivasse anche dalla sua conformità a modelli autorizzati dal sovrano.

296

I documenti sui cammei e sulle gemme intagliate da Iacopo sono raccolti da Babelon 1922, pp. 37 e 252- 256. Sulla produzione glittica di Iacopo cfr. ora anche Venturelli 1996, pp. 33 e 53.

297 La lettera, diretta ad Antoine Perrenot, è pubblicata in Pérez de Tudela 2000, p. 269 (cfr. qui l’app. II). Già

Babelon 1922, pp. 205-206, ha attribuito il “modello” per gli scellini del 1554 a Iacopo da Trezzo. Un primo tipo per la mezza corona presenta nel recto Filippo, nel verso Maria (r/: “PHILIPPVS . D . G . R . ANG . FR . NEAP . PR . HISP .”, all’esergo: “1554”; v/: “. . MARIA . D . G . R . ANG . FR . NEAP . PR . HISP .”, sul campo: “1554”); un secondo, destinato allo scellino e ricavato con i medesimi punzoni, ripropone i due personaggi affrontati sul recto, mentre nel rovescio sono le armi dei coniugi (r/: “PHILIP . ET . MARIA . D . G . R . ANG . FR . NEAP . PR . HISP .”, sul campo: “1554”; v: “. POSVIMVS . DEVM . ADDIVTOREM . NOSTRVM .”; nel campo: “XII”). Un terzo tipo di modulo inferiore (sei pence), che presenta tagli diversi e figure più piccole, fu coniato con varianti nella legenda fino al 1557 (“ r/: “PHILIP . ET . MARIA . D . G. R . ANG . FR . NEAP . PR . HISP .”, sul campo: “1554”; v: “. POSVIMVS . DEVM . ADDIVTOREM . NOSTRVM .”; nel campo: “VI”): cfr. Grüber 1970 (1899), pp. 93-94, risp. nn. 488, 489 (d. 32mm ca.) e 490 (d. 28mm ca.), e Hill 1923(2), p. 165. Le quattro forme di busto attestati in varie combinazioni nei tre nominali in questione sono varianti ridotte e non meccaniche dei ritratti che comparirono successivamente sulla medaglia del 1555, il che suggerisce un coinvolgimento diretto del Nizolla nella loro realizzazione.

298

La novità iconografica e la resa più caratterizzata dei due ritratti dovettero marcare profondamente l’immagine dei due sovrani, giacché ancora nel 1663 il poeta Samuel Butler (1612-1680) li ricorda in una maliziosa similitudine del suo poema Hudibras, composto tra il 1660 ed il 1680 come satira contro i cromwelliani (“Still amorous and fond and billing / like Philip and Mary on a shilling”: Butler 1895 (1663- 78), p. 334).

299 Pinchart 1870, pp. 14-18. I disegni preparatori per i sigilli intagliati da Iacopo furono commissionati a un

Bureau des Finances di Bruxelles (1555-59), che egli stampò personalmente (come attesta la quietanza inedita per il pagamento delle pile dei torselli che egli consumò)300. Pinchart identificò i gettoni in alcuni esemplari bronzei ed argentei tuttora esistenti, ed è inspiegabile che opere di simile qualità figurativa ed esecutiva, emesse in numero assai limitato per i consiglieri del sovrano ed escluse dalla circolazione, siano state ignorate da tutte le successive trattazioni sul Nizolla301: i caratteri epigrafici e il virtuosismo dei ciuffi di Filippo II, ora corti, ora lunghi e increspati, sono al contrario attestazioni importanti dell’alto livello raggiunto dalla produzione coniata di Iacopo (finora nota solo da una tarda medaglietta di Filippo II del 1588)302. Da una lettera inviata dallo scultore a monsignor de Granvelle il 12 dicembre 1554, risulta inoltre che egli realizzò per il prelato dei gettoni (non necessariamente da identificarsi con quelli sopra menzionati)303.

Scrivo a messer Gianelo [Torriani, orologiaio di corte] mi mandi li spontoni che cominciai per li getoni di vostra Signoria, ché, avendomi sua Maestà [Filippo II] dato il caricho di far tute le stampe de questo regnio, fornirò anchora questa tanto che arò le mani in pasta e quanto più presto li averò, l’arò più caro che li fornirò subito304.

La stessa lettera ci informa che Iacopo approntò personalmente gli esemplari aurei della medaglia di Maria Tudor destinati ai reali di Spagna e Inghilterra (uno dei quali è oggi esposto al British Museum)305: la piena autografia dell’opera motiva forse anche la

perché i coni fossero affidati al milanese, tanto da rimandare indietro con un piccolo compenso per il disturbo l’orafo Thomas van Gheer, che Filippo aveva precedentemente chiamato da Anversa a tale scopo. I gettoni, che di norma contengono un ritratto (cfr. infra), sembrano invece disegnati dallo stesso Iacopo.

300 AGRB, Acquits de la Chambre des Comptes à Lille, Récette Générale des Finances, bb. 1175 bis-1176, c.

2r: “Li Signori de la Finanza deno dare a Iacomo da Trezo per fatura de la stampa de gitoni con una pila e dui torseli (scuti) 25, e più per pile 5 (scuti) 2, e più per 24 torseli (scuti) 8; e anchora che abia domandato giustamente quelo ch’io merito, mi contentarò di tuto quelo che le Signorie mi darano”. E poi: “ Ho auto a bon conto (scuti) 20, e più addì 23 marzo (scuti) 16. Iacomo da Trezo”. Le due quietanze sono tradotte con data: “Je, Jacques, confesse avoir reçu de Robert de Bouloingne, controlleur et receveur général des finances du Roy n(ost)re sire, la somme de vingt escuz d’or [...] à bon compte de ce que me fera don pour graver les coings servans à forger gectoirs [...]. Le VIIe jour de mars XVc cincquantecincq. Iacomo da Trezo milanese”. Il 23 dello stesso mese fu liquidato un pagamento finale di 16 scudi.

301 Pinchart 1870, pp. 14-18, identifica questi gettoni con i tipi riprodotti in Van Loon 1732-35, I, pp. 9

(1556), 14 (1557), 21 (1558), 26 (1559), i quali però potrebbero attrarre nel catalogo di Trezzo anche i due tipi di gettoni per la Chambre des Comptes di Lille del 1557, che raffigurano Filippo II e Maria Tudor affrontati (in Van Mieris 1732-35, I, p. 402). Una verifica al medagliere della Bibliothèque Royale Albert I di Bruxelles mi induce a confermare l’attribuzione dei seguenti gettoni (che designo secondo il catalogo dI Dugniolle): 1) Dugniolle 1876-80, II, p. 229, n. 2100 (BRAB, tiroir 62, nn. 48, 48-1, 48-2, ae, d. 29mm): r:/ “PHILIPPVS • D • G HISPANIARVM • REX”; v/: “G • DV • BVRREAV DES FINANCES”; sotto lo scudo scudo di Filippo II: “56”. 2) Dugniolle 1876-80, II, p. 259, n. 2148 (BRAB, tiroir 63, n. 49, ae, d. 29,1mm): commemora la dichiarazione di guerra alla Francia. 3) Dugniolle 1876-80, II, p. 246, n. 2170 (BRAB, tiroir 63, n. 50, con varianti nell’iscrizione, ae, d. 29,4mm): r/: “• GECTOIRS • POVR LE BVREAV • DES FINANCES • 1558”; v/: “POST • TENEBRAS • LVCEM •”. 4) Dugniolle 1876-80, II, p. 249, n. 2180 (BRAB, tiroir 63, n. 51, ag, d. 30,5mm): r/: “IN VTRVMQVE PARATVS : 1559 :”, accompagnato da un busto con spada e alloro; v/: “GECTOIR POVR LE BVREAV DES FINA •”, tipo che secondo Dugniolle allude alle negoziazioni per la pace con la Francia.

302 Bibliografia: Van Loon 1732-35, I, p. 293; Armand 1883-87, I, p. 242, n. 6; Toderi e Vannel 2000, I, p. 65,

n. 113. Esemplari principali: Pollard 1984-85, III, p. 1250, n. 726; Börner 1997, p. 179, n. 775.

303

Smolderen 2000, p. 314, riporta due varietà di gettoni con l’arme del Granvelle: il primo in particolare (A), per quanto giudicabile dall’esemplare malamente impresso ivi riprodotto, non sembra attribuibile allo Jonghelinck (come sostenuto invece dallo studioso), perché la stilizzazione dei flutti è affatto differente da quella prediletta dall’artista fiammingo; ma per dirimere la questione sarebbe necessario individuare un esemplare migliore.

304 Lettera di Iacopo da Trezzo ad Antoine Perrenot del 21 dicembre 1554: il testo, pubblicato in Pérez de

Tudela 1999, p. 269, è qui riproposto dopo aver rivisto alcune lezioni sull’originale (cfr. qui l’app. 2).

formalità della firma che vi compare e di quella del ritratto di Filippo II suo pendant, nel quale l’iscrizione “IAC(obus) (a) . TREZZO . F(ecit) . 1555” fu eseguita con abbreviazioni più ridotte e un testo latino che include un predicato verbale e la data di realizzazione. L’opera segnò anche l’avvio di un rapporto privilegiato di mecenatismo, una circostanza che rende ancora più comprensibile la solennità e la vistosità con cui il medaglista associò in forma epigrafica il suo nome a quello del patrono. Da allora le effigi in metallo della corte asburgica, nelle quali la responsabilità dell’artista ormai stanziale appariva scontata, furono invece congedate senza contrassegni autografici (come dimostra il ritratto dell’amico Giannello Torriani, del 1568 circa)306. Il nome dell’artefice si trova infatti specificato soprattutto nelle medaglie per personaggi ‘fuori contesto’, come l’inglese Maria Tudor, l’austriaco Johann Khevenhüller o l’ignoto Ascanio Padula, “NOBILIS ITALVS” la cui medaglia sembra cadere durante il periodo spagnolo di Iacopo (come pare confermare l’indicazione sulla nazionalità dell’effigiato)307.

Intorno al 1557 Iacopo si stabilì a Madrid, dove rimase fino alla morte come artista di corte e incisore per la sua Zecca. Se la successione tra Carlo e il figlio nei diversi territori della loro corona, imponendo di rinnovare tutti i coni reali, facilitò l’assunzione di Iacopo, la sua successiva attività spagnola non si limitò al disegno ed eventualmente all’incisione di microritratti monetali (occupazione che sembra invece essere stata il compito principale, ma non esclusivo, del toscano Giovampaolo Poggini). Già tra il 1558 e il 1562 l’artista lombardo intagliò infatti per il sovrano sigilli, cammei e gemme, mentre a quanto pare scolpì solo due modelli in legno con l’effigie del Re di Spagna (uno per realizzare monete, l’altro per gettoni e medaglie, come precisa un suo memoriale)308.

Monarca assai più sedentario rispetto al padre, e coinvolto in maniera più diretta nelle diverse fasi legate all’acquisto, alla commissione e alla tesaurizzazione degli oggetti d’arte, Filippo mirò a riunire attorno a sé artisti da camerino che assecondassero la sua precoce passione per gioie e intagli, condivisa anche dal figlio Carlos (per il quale Iacopo intagliò un’agata con il ritratto della regina Isabella)309: alla loro corte anche uno statuario come Pompeo Leoni (cap. I.5) era spesso richiesto per la realizzazione di monili e piccoli manufatti in argento. La bibliografia su Iacopo ignora invece il fatto che anche Carlo V fu probabilmente tra i committenti del milanese, come lascia credere un documento inedito attentante la spesa per “ung verre de christal de roche que l’Empereur a achepté a maistre Jacop” nel 1557: la presenza del Nizolla a Bruxelles e la sua specializzazione lo rendono senz’altro un candidato forte per l’identificazione con l’intagliatore dell’anziano sovrano310.

306 Bibliografia: Pinchart 1870, p. 18 (Leone Leoni); Armand 1883-87, I, p. 170, n. 38 (CMP, AV n. 945:

Leone Leoni); Plon 1887, p. 274 (riporta la proposta di Armand); Fabriczy 1904 (1903), p. 208 (attribuisce a Iacopo da Trezzo); Babelon 1922, pp. 228-233 (Iacopo da Trezzo); Hill 1923 (2), pp. 164-166 (Iacopo da Trezzo); Vermeule 1987, pp. 263-281; Toderi e Vannel 2000, I, pp. 60-61, n. 94 (Iacopo da Trezzo). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 37, n. 242 (Leone Leoni: riporta imprecisamente la leggenda); Hill 1931, p. 202, n. 435 (Leone Leoni); Álvarez Ossorio 1950, p. 231, n. 270 (Iacopo da Trezzo); Laurenzi 1960, p. 95, n. 172 (Leone Leoni); Hill e Pollard 1967, p. 84, n. 441a (Iacopo da Trezzo); Sadik 1969 (1960), s.p., n. 67 (Leone Leoni); Börner 1997, p. 178, n. 779 (si risolve per Iacopo da Trezzo per motivi biografici); Francesco Rossi, in Gregori 1985, p. 352, n. 5.4 (Iacopo da Trezzo); Pollard 1984-85, III, p. 1240, n. 721 (Iacopo da Trezzo); Philip Attwood, in Scher 1994, p. 160, n. 55 (Iacopo da Trezzo); Attwood 2003, I, p. 122, n. 91 (Iacopo da Trezzo); Toderi e Vannel 2003, I, p. 52, n. 461 (Iacopo da Trezzo). CRNM, cassetto 105, s.n., e cassetto 106, n. 464.

307 Toderi e Vannel 2000, I, p. 64, nn. 109-110. 308 Babelon 1922, pp. 29-31.

309

Cfr. Martín González 1991, p. 60. Sulla collezione di preziosi accumulata da Filippo II cfr. Checa Cremades 1992, pp. 87-97.

310 Il mandato di pagamento, inedito (AGR, État et Audience, Revenus et dépenses de Charles V, 1557, c.

È altresì in questo trentennio iberico, concluso dalla collaborazione con Pompeo Leoni per la tomba di Giovanna di Portogallo (Madrid, Monasterio de las Descalzas Reales, 1574),

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