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Questioni erudite e scrutini formali: la proliferazione della scuola milanese

Cap I.6 Presunti lombardi: la questione della ‘scuola milanese’ in area veneta ed emiliana

I. Antonio Abbondio

2. Questioni erudite e scrutini formali: la proliferazione della scuola milanese

cultura artistica italiana grazie alla sua attività presso i Leoni, ma anche per incoraggiamento di un mecenate come Rodolfo II650. Nell’Academie Antonio Abbondio è parte di un gruppo preciso di artisti, che hanno ormai tramandato il loro linguaggio ad una generazione successiva ed autoctona, rendendo possibile il sorgere di manifatture artistiche locali.

Sandrart dovette apprendere di Antonio attraverso la conoscenza diretta del figlio Alessandro (1570 circa -1648), che aveva visitato Norimberga nel 1614 e aveva ritratto il pittore tedesco in medaglia nel 1640651. Questo pallido spunto offrì il punto di partenza a un’oscura Vita di Antonio, opportuna nell’insieme dell’opera per suturare la generazione di Michelangelo alle origini dell’arte rinascimentale praghese; un tassello siffatto permetteva peraltro di individuare tout court, con una prosopopea, l’inventore della ceroplastica policromata652. Come si è detto, nell’Academie Antonio era però chiamato Alessandro senior (forse sulla scorta della sigla “AA” da lui usata su alcune medaglie) e sull’opera del fantomatico medaglista non veniva spesa parola. Aneddoti fittizi riconducevano la sua prima attività del protagonista alla Firenze granducale: ‘Alessandro senior’, nobile fiorentino, era stato allievo di spicco del sommo Buonarroti, e una replica della sua Natività, inviata “dal Granduca di Firenze” a Rodolfo II d’Asburgo, motivava la sua chiamata a Praga e l’attenzione dell’imperatore. L’opera di Antonio Abbondio non addita insomma una formazione medaglistica norditaliana, ma rimanda piuttosto alla Toscana di Vasari, e Francesco I, contraltare ideale delle manifatture rudolfine653.

2. Questioni erudite e scrutini formali: la proliferazione della scuola milanese

650 Sul periodo italiano di Adriaen de Vries cfr. ora Mulcahy 1999, pp. 46-51, e la preziosa appendice

documentaria ivi fornita alle pp. 293-294. Sui ritrattisti della Praga rudolfina cfr. p.e. Schütte 1988, pp. 575- 596; e Larsson 1997, pp. 122-129. Il concetto storiografico di una “scuola di Praga”, che proprio da Sandrart prende le mosse, è discusso in riferimento ad Antonio Abbondio e ai diversi artisti attratti da Rodolfo II da DaCosta Kaufmann 1988, pp. 36-56.

651 Il ritratto di Sandrart è in Habich 1929-35, II, 2, p. 532, n. 3621, tav. CCCXXXIII, fig. 13 (BML), e risale

al 1640. Così come appare ne L’Academia todesca dell’architettura, scultura et pittura (Sandrart 1675, p. 341) il rapporto dell’autore con Alessandro Abbondio (“Ich mit ihme viel Jahr in vertraulicher Freunfschaft gelebet”) vuole essere nel contempo una garanzia sulle informazioni e un modo per accreditare un profilo accademico di artista nobile, facondo e cortese, cui evidentemente anche l’incisore aderisce. Cfr. anche l’Eingangsrede dedicato all’arte transalpina, a p. 212 (I, parte II, libro III): “Wie ich ferner solches nicht wenig zu danken habe dem berühmten Alexander Abbondio zu München, der vor sich selbst sehr nachforschend in seiner Jugend gewesen und von denen alten Teutschen alles selbst fleissig erfahren, gesehen, und von seinem alten Vatter, einem curiosen kunstreichen Mann, vernommen, und ich also durch allerley dergleichen Mittel unsere Teutsche Kunstmahlere nach Möglichkeit dergestalt zusammengebracht, dass andere nach mir die fortsetzung gar leichtlich zu Werke richten können”. Di Antonio Abbondio Sandrart non conosceva invece né l’effigie su metallo, né quella a stampa, che avrebbe altrimenti utilizzato per precisare i dati anagrafici a sua disposizione e arricchire la raccolta di imagines artificum dell’Academie. Aveva però ammirato una sua Natività in cera che rimane da identificare, e la sua descrizione del pezzo ne apprezza la carnosità delle figure, la giustezza del dettaglio e della tinta, la profonda costruzione prospettica e la ricca invenzione di animali, paesi e caseggiati in scorcio.

652 La stessa inclusione della ceroplastica nella sezione dell’Academie dedicata alla scultura seicentesca, se da

un lato la univa alla statuaria (il legno e l’avorio di Georg Petel, il bronzo di Adrien De Vries, il marmo e soprattutto lo stucco di Alessandro Algardi), dall’altro la accostava all’intaglio su vetro come un’invenzione recente e quasi tedesca, obliterando i precedenti padani del genere.

653 In tal senso è centrale anche l’importanza attribuita alla ceroplastica, un ambito nel quale lopera di Antonio

Abbondio si ricollegava ad una tradizione tedesca preesistente (“in seinem Bildern, Historien und Contrafäten, so er [Alessandro iunior] in Wachs erhoben in natürlich gebührenden farben zu verspühren war, dass es ihme nicht wol bald einer gleich gethan = non imagines tantum humanas et icones viventium, sed et historias…”: Sandrart 1675, p. 341, e Sandrart 1683, p. 339; cfr. Lightbown 1970, parte II, pp. 37-38, e Böll 1977, pp. 443-444).

Dopo l’inclusione di numerosi tipi abbondieschi nelle varie histoires metalliques asburgiche (di norma senza attribuzione, anche nei casi in cui le sigle autoriali venivano copiate nelle illustrazioni)654, l’attività del trentino non entrò nemmeno nella Storia della scultura in Italia di Leopoldo Cicognara, e il primo tentativo di tradurre la biografia tradizionale di Abbondio in un corpus di opere significative risale all’opera di Bolzenthal (1840), che costituisce anche il primo tentativo di tracciare una storia del genere medaglia655.

Qui le informazioni fornite da Sandrart venivano seguite fedelmente e nei dettagli, ma la verifica autoptica sollevava dubbi onomastici. Le medaglie della corte di Massimiliano II e Rodolfo, firmate “AA” e “AN AB”, offrivano infatti nuovi argomenti a un’obiezione già avanzata da Stefano Ticozzi su basi meramente erudite: non due Alessandri, ma un Alessandro e un Antonio si erano successi come ritrattisti della corte di Praga656. Antonio, ritenuto il figlio del fiorentino sorto tra le pagine della Teutsche Academie, tornava autore di medagliette, medaglie e cere individuate sulla base delle iscrizioni autoriali, dell’identità austroboema degli effigiati e di una tangibile omogeneità stilistica.

Nel 1844 ad avanzare un vero saggio di catalogo e a tentare un’articolazione cronologica fu Joseph Bergmann657. Dopo estese ricerche biografiche sulle personalità ritratte da Antonio lo studioso considerò a scopo documentario anche le sigle autoriali, e il vaglio delle medaglie contrassegnate lo indusse in particolare a individuare due corpora distinti sulla base delle iscrizioni “AA” e “AN AB”: considerate come iniziali e nel contesto di uno stile unitario, le due abbreviazioni non evocavano due artefici diversi, ma permettevano per la prima volta di accostare sotto lo stesso nome un gruppo cospicuo di medaglie.

Mentre il catalogo dell’artista progrediva, i dati biografici tradizionali, alimentando un’ipertrofia di profili fittizi, rimanevano invece il principale ostacolo al lavoro dei conoscitori. Nel corso del XIX secolo, infatti, la figura di Antonio Abbondio venne ulteriormente sdoppiata: da un lato, sulla scorta delle ricerche di Ticozzi e Bolzenthal, era stato creato un nuovo Antonio privo di catalogo, figlio di un Alessandro fiorentino che era stato ceroplasta per Rodolfo fino al 1606; dall’altro un documentato Antonio Abbondio (detto l’Ascona) e il presunto figlio omonimo, cioè il medaglista ritratto da Rota, erano stati associati come discendenti di una schiatta milanese658.

La labirintica moltiplicazione dei profili biografici si accompagnò però ad una vera novità: il rinvenimento della sigla “AN . AB” sul recto della medaglia di Niccolò Madruzzo (†1570) svelò infatti la possibilità che Abbondio fosse stato attivo già in Italia. Da un lato, le medaglie dei Madruzzo suggerirono a Bergmann che la famiglia del cardinal Cristoforo, Governatore di Milano tra 1555 e 1557, si fosse orientata per la propria committenza sul capoluogo lombardo; dall’altro, lo stile di questa medaglia giovanile mostrava in effetti un forte debito rispetto a quella che si andava definendo come la scuola milanese di Leone Leoni: dai due indizi si volle desumere che negli anni cinquanta, mentre l’aretino andava ritraendo Ippolita Gonzaga vedova e il padre Ferrante (1547-54), Antonio doveva essere stato suo allievo. Come prova materiale della loro collaborazione veniva addotta una

654

Van Mieris 1732-35, II, p. 80.

655 Bolzenthal 1840, pp. 166-169.

656 Ticozzi 1830-32, I, p. 19, s.vv. Abbondio Alessandro e Abbondio Antonio, fu il primo a sostenere che

Antonio fosse figlio di Alessandro.

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Bergmann 1845, pp. 1-25.

658 Lo stesso Antonio sarebbe stato fratello di Alessandro il Giovane, la personalità documentata da Sandrart

che aveva lasciato a Monaco di Baviera un’opera statuaria in cera, il Vesperbild della Chiesa della Trinità. Nel frattempo Alessandro il Giovane aveva assunto persino tratti fisionomici: Georg Christoph Kilian (1707- 1781) aveva infatti inciso un suo ritratto (München, Graphische Sammlung) derivato, forse indirettamente, dalla medaglia di Antonio, ma con leggenda “Alexander Abundius Florent(inus), discipulus Michel Angel(is) […], celebrem ad finem saeculi XVI […]”, tutte informazioni desunte da Sandrart.

seconda versione della medaglia di Niccolò (in realtà un ibrido), nella quale il rovescio ricalcava la Gigantomachia realizzata da Leoni per la medaglia di Carlo V d’Asburgo del 1549659.

Quale significato dare allora alle differenti sigle con cui l’autore aveva contrassegnato le proprie opere? Una delle medaglie con iniziali “A A” note a Bergmann, quella di Carlo duca di Stiria, recava nella leggenda l’indicazione “1567”, mentre la variante “AN AB”, attestata undici volte in medaglie datate dall’iscrizione, compariva dal 1572 al 1587660; altri dodici tipi recavano la stessa forma di abbreviazione senza indizi cronologici: apparve dunque naturale considerare opere mature quelle di questa seconda serie, legata a personalità della corte asburgica, e ritenere la ‘firma’ “AA” una forma giovanile661.

L’accostamento alla scuola milanese (favorito anche dal corposo volume che Eugène Plon aveva dedicato a Leone Leoni nel 1887) si dimostrò fortunato, e nel 1907 Karl Domanig mise in evidenza la continuità privilegiata tra l’opera lombarda di Iacopo da Trezzo e le prime prove di Antonio Abbondio: un’osservazione che avrebbe avuto un cospicuo peso operativo sulle attribuzioni della generazione successiva662.

Infatti, mentre le indagini archivistiche restituivano a Antonio Abbondio un profilo biografico unitario e i corretti natali, la ricognizione delle grandi collezioni e l’accertamento della bontà degli esemplari ampliavano progressivamente il suo catalogo663. Nel repertorio sistematico redatto da Fritz Dworschak sotto la direzione di Georg Habich (1934), il punto fermo per la ricostruzione dell’opera di Abbondio giovane diventò la medaglia di Iacopo Antonio Boncompagni di Sora, datata “1561” sulla legenda e attribuita con solidi argomenti stilistici664. Il legame con Bologna del personaggio effigiato, figlio naturale del futuro Gregorio XIII, diede poi motivo di includere in questa fase italiana giovanile la medaglia di Caterina Riva (“AN . AB”), precedentemente ricondotta da Bergmann al soggiorno tirolese dell’artista, ma ora identificata con un personaggio emiliano soprattutto sulla base di considerazioni formali (o più precisamente di taglio) che fecero immaginare la prima formazione d’Abbondio a contatto col Bombarda665. La medaglia del Boncompagni recava

659 La precocità della medaglia di Niccolò Madruzzo rispetto a quelle asburgiche portò Bergmann a suggerire

per essa il nome di Antonio il Vecchio, cioè dello scultore detto l’Ascona, autore dei telamoni di Casa Leoni a Milano (1560-63); sorse così immotivatamente una terza figura di Antonio medaglista che, nonostante i chiarimenti offerti in merito da Max Rosenheim e George F. Hill (1907, pp. 141-147), si è trascinata fino al catalogo di Cesare Johnson e Rodolfo Martini (1988, pp. 21-27), offrendo un ulteriore argomento fallace in favore dell’associazione tra l’Antonio Abbondio di Riva ed un presunto magistero leoniano diretto. Sulla storia delle ulteriori confusioni tra l’Ascona e l’allievo di Guglielmo della Porta Giovannantonio Rizzi da Viggiù, entrambi talora affrettatamente identificati con Antonio Abbondio, cfr. Agosti 1996 (1), pp. 177-182. Per una bibliografia aggiornata sulla medaglia cfr. infra.

660 Sulla medaglia di Carlo di Stiria cfr.Toderi e Vannel 2000, I, p. 161, n. 423.

661 Sulla base delle sigle, e ormai a prescindere da un vaglio formale, il catalogo di Antonio Abbondio crebbe

nella voce relativa del Forrer (1902-30, I, p. 14), dove le iniziali “AA” inducono a includere tra le opere di Abbondio medaglie come quelle di Antonfrancesco Doni e Guido Panciroli, poi ricondotte ad Agostino Ardenti da Rosenheim e Hill 1907, pp. 141-150.

662 Domanig 1907, pp. 40-43.

663 Allo biografia di Abbondio furono dedicati gli studi di Bergmann 1846, pp. 43-44; Fiala 1909 (il cui

regesto è compendiato nella recensione di Bernhart 1913-14, pp. 97-100) e Giuseppe Gerola, in Dworschak 1958, pp. 9-17. Sul suo catalogo cfr. anche Habich 1900-01, pp. 401-407; Habich 1913-14, pp. 100-109.

664 Habich 1913-14, p. 101; Dworschak, in Habich 1929-35, II, 2, p. 488, n. 3339 (KMW, CMP, SMM). Per la

bibliografia sul tipo ora cfr. anche: Armand 1883, II, p. 233, n. 22 (anonimo); Dworschak 1958, pp. 50 e 65 (Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, p. 157, n. 405 (Abbondio). Esemplari principali: Hill e Pollard 1967, p. 89, n. 468 (Abbondio).

665 Bibliografia generale: Bergmann 1845, p. 23 (Abbondio); Armand 1883-87, I, p. 272, n. 25 (Abbondio);

Dworschak, in Habich 1929-35, II, 2, p. 488, n. 3340 (Abbondio); Dworschak 1958, p. 50 (Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, pp. 157-158, n. 406 (Abbondio). Esemplari principali: Armand 1883, I, p. 272, n. 25 (CMP, AV n. 1042); Hill e Pollard 1967, p. 89, n. 467 (Abbondio, “before 1565”); Attwood 2003, I, p. 457, n. 1145 (anonimo).

infine con sé quelle di Alonso Pimentel e di Fabrizio Vaiani, simillime per stile, apparato epigrafico e fisionomia666, e introduceva nel corpus di Abbondio una serie di altri ritratti italiani altrimenti variamente databili, come quelli di Niccolò Vicentino e Pierpaolo Maffei e, in secondo grado, quelli di Giovanfrancesco Martinioni e Alessandro Cacurio667. A loro volta le medaglie di Pimentel e Vaiani, già attribuite ad Abbondio da Habich, si legavano ad altri microritratti stilisticamente “inseparabili”, i ritratti di Pietro Piantanida e Giovambattista Marino. Le medaglie italiane di Antonio venivano così considerate anteriori al 1566 e ricondotte, per lo più arbitrariamente, all’ambiente milanese668.

L’operazione di Dworschak implicava diverse considerazioni. Sul piano documentario, le sue ricerche avevano portato a chiarire le ascendenze di Antonio Abbondio (figlio di un Alessandro e padre di un altro Alessandro) e a confermarne la provenienza italiana669. D’altronde, in un artista nato intorno al 1538 la scarsità di opere precedenti il 1566 − la medaglia di Niccolò Madruzzo si era spostata verso il 1570 − indusse a cercare le tracce dell’attività di Abbondio tra i ritratti di scuola milanese accostabili alle medaglia firmate degli anni sessanta (come già aveva proposto Habich a proposito della medaglia del Boncompagni); la ricerca si spostò allora nella direzione indicata da Domanig, cioè tra le opere più vicine allo stile di Iacopo da Trezzo, la cui produzione fino agli anni cinquanta appariva ancora circoscritta all’ambito della corte dei governatori asburgici e identificata da una stretta dipendenza stilistica dal “maestro” Leoni670.

La riprova di tale procedimento si ebbe con l’inclusione di medaglie attinte da due corpora già isolati da Georg Habich sotto le denominazioni ‘Gruppo del cardinal Bembo’ (medaglie di Scaramuzza Trivulzio, Giovanni di Lorena, Pietro Piantanida e Giovanfrancesco Martinioni) e di un “ignoto maestro norditaliano” (medaglie di Gian Francesco Trivulzio, Francesco de’ Nigri e Narciso Vertunno, Laura Gonzaga, Alessandro Cacurio)671. Il primo

666 Per la medaglia del Pimentel (1515-75) cfr. Armand 1883-87, III, p. 283, s.n. (anonimo); Habich 1929-35,

II, 2, p. 486, fig. 505 (Abbondio); Dworschak 1958, p. 50 (Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, p. 158, n. 410 (Abbondio). Per quella del Vaiani, non altrimenti noto, cfr. Armand 1883-87, II, p. 233, n. 23 (anonimo); Habich 1929-35, II, 2, p. 486, fig. 506 (Abbondio); Dworschak 1958, p. 50 (Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, p. 159, n. 414 (Abbondio). Esemplari principali: Börner 1997, p. 183, n. 791 (maniera di Abbondio). Dal nostro punto di vista, sebbene la medaglia trovi indubbie tangenze con l’opera di Antonio, la presa di distanze della Börner sembra la più equilibrata.

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Le medaglie di Pierpaolo Maffei e di Niccolò Vicentino verranno trattate più ampiamente infra; per quella di Francesco Martinioni, attribuita ora ad Annibale Fontana, cfr. il cap. II.3. Per la medaglia di Alessandro Cacurio, cfr. qui il cap. II.2, dove abbiamo attribuito la medaglia a Iacopo da Trezzo giovane.

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Faceva eccezione a tale datazione precoce l’attribuzione di medaglie come quella di Giulio Cesare Gonzaga di Bozzolo, fatta risalire al primo ritorno in Italia di Abbondio (anni settanta) o nel 1583 (Dworschak, in Habich 1929-35, II, 2, p. 495, n. 3384), e quella del finalese Alfonso del Carretto (†1583: Dworschak in Habich 1929-35, II, 2, p. 492, n. 3364). Diverso il percorso proposto da George Francis Hill (1928, p. 11), che ampliò il gruppo delle medaglie italiane giovanili a partire dal ritratto firmato di Niccolò Madruzzo: ad esso lo studioso inglese accostò un’effigie unilaterale con didascalia “ L . CH . T . M . EXEMPL . PVDICICIAE” e firmata “AB”. Nonostante in questa forma la sigla dell’artista sia anomala e precoce, l’attribuzione di questo pezzo ha avuto seguito nella bibliografia successiva (Habich 1929-35, II, 2, p. 496, n. 3395; Dworschak 1958, p. 50; Toderi e Vannel 2000, I, p. 158, n. 408).

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Dworschak rivenne, applicata a tergo sulla cera che ritrae l’ignoto Johann Manlich (Wien, Österreichische Museum für Kunst und Kunstgewerbe), un’iscrizione di dedica tracciata in corsivo su un cartellino cartaceo. Il testo da lui trascritto è il seguente: “Alexander de Abundiis Anton(ii). F(ilius). Alex(andri). N(epos). Nobilis Tridentinus Divis Impp(eratoribus). Rodolpho, Matthiae et Ferdinando nec non Maximiliano Bavariae electori princ(ipi). a Consiliis benevolae memoriae ergo Imaginem Johannis Mannlichij caerae insculpsit Aug(ustae). Vind(elicorum) Mense Maio MDCXXXV” (in Habich 1929-35, II, 2, p. 533, n. 3623 e fig. 578b).

670 A riprova della consapevolezza con cui tale ampliamento fu condotto bisogna almeno notare che

Dworschak distinse gerarchicamente le attribuzioni di questi due gruppi: tale cautela scomparve però dalla più compendiaria monografia divulgativa del 1958 (Dworschak 1958, p. 50).

671 Per il primo gruppo rimandiamo alla trattazione delle rispettive medaglie nei capp. I.2 (Piantanida), I.3

insieme, prossimo alla maniera “delicata” e “accurata” di Cellini, ma tipico “di uno sviluppo culminante in Milano e Venezia”672, era già stato messo da Habich in relazione con il clima che aveva accompagnato gli esordi di Abbondio673. La fluidità dei corpora anonimi ed il profilo di Antonio, incagliato in un’intricata rete di rapporti formali e di relazioni poco documentate (Leoni, Fontana, Galeotti e il trentino Alessandro Vittoria), rivelavano le debolezze di un quadro storiografico statico e imperniato su di un solo regista, Leone Leoni, e sull’idea che gli stili a lui prossimi dovessero essersi originati nel suo stesso territorio o addirittura nella sua medesima bottega.

Attorno al nome di Antonio Abbondio si è così venuto consolidando un catalogo in cui le prime prove, non siglate ed estremamente differenziate fra loro, non sono né sempre comparabili alla produzione matura, molto più caratterizzata e omogenea, né accostabili in qualche modo alle opere ceroplastiche sopravvissute. Bisogna però valutare attentamente se lo “stile eclettico” di Antonio (Hill e Pollard) sia una caratteristica sua o piuttosto un effetto dei criteri oscillanti con cui è stato ricostruito il suo corpus674: alcuni dei ritratti italiani tuttora attribuiti ad Abbondio sulla scorta del Dworschak appaiono molto più vicini alle loro diverse e supposte fonti che riconducibili a una mano unica. Il catalogo del trentino, anche nella veste ridotta proposta da Vannel e Toderi sulla base di verifiche morfologiche più attente, pare ancora viziato da bizzarrie, come quella che ne fa l’unico esponente di una presunta produzione medaglistica di Trento675.

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