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Antonio Abbondio, un esordio emiliano-veneto

Cap I.6 Presunti lombardi: la questione della ‘scuola milanese’ in area veneta ed emiliana

I. Antonio Abbondio

3. Antonio Abbondio, un esordio emiliano-veneto

Per nostra fortuna alcuni pezzi incongruenti stilisticamente possono essere espunti a partire da dati esterni: la doppia verifica ci consentirà di individuare un profilo artistico più coerente di quello che ci è stata tramandata, e perfino di suggerire qualche giunta su cui riflettere negli studi a venire.

Una prima ragione di sospetto sulle attribuzioni passate proviene dalla biografia di un presunto committente di Abbondio, Pietro Piantanida, che può essere ricostruita a partire da un anonimo dossier genealogico a stampa del 1716 (oggi all’Archivio di Stato di Milano)676. Dal libello apprendiamo che Pietro (1513-57), figlio di un Giacomo decurione del Consiglio generale di Milano, fu sergente maggiore di fanteria (1546) e quindi colonnello sotto Alfonso II d’Avalos (1546) e Ferrante Gonzaga (1547-57). Come condottiere, si segnalò liberando Cremona da un assedio, difendendo Piacenza e soccorrendo Volpiano, in Piemonte, da un attacco francese.

Alla luce di tali informazioni, la leggenda sul recto della medaglia (“CAP . PET. PLANTANIDA . AET. AN . XXXVI”) permette di datare il ritratto dopo il 1546 (il grado

(De Nigri). Sulla medaglia di Laura Gonzaga cfr. infra. La medaglia di Narciso Vertumno è un’opera che non ha nulla a che vedere con Abbondio, come già indicato da Attwood 2003, I, p. 469, n. 1188, anche se ritengo possibile che si tratti di un microritratto veneto.

Anche l’attribuzione della medaglia di Faustina “Rom(ana)” meretrice (Armand 1883-87, II, p. 170, n. 32) avanzata da Dworschak (1958, p. 50) è ormai generalmente respinta (Börner 1997, p. 183, n. 792; Attwood 2003, I, p. 158, n. 189; Toderi e Vannel 2000, II, p. 807, n. 2530) o accolta con riserve (Hill e Pollard 1967, p. 89, n. 469a: “Abondio worked in such a variety of style that the attribution is possible”; Pollard 1984-85, III, p. 1273, n. 740).

672 Habich 1924, p. 122 e tav. LXXXIII (traduzione nostra). 673

Habich 1924, p. 135 e tav. XCVI.

674

Hill e Pollard 1967, p. 89.

675 Cfr. in proposito F. Rossi, s.v. Abondi, Antonio, in DBI, I, 1960, pp. 56-58, e da Toderi e Vannel 2000, I,

pp. 160-174.

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Per gli esemplari principali della medaglia del Piantanida rinviamo al cap. I.2. Le date di nascita e di morte sono desunte dall’epitaffio di Pietro Piantanida, sepolto nella Cappella di Santa Maria Rosa e di Sant’Antonio nella Parrocchiale di Sant’Ambrogio a Lonate Pozzolo (presso Busto Arsizio), che fu rinnovata proprio verso il 1560 (cfr. ASM, Famiglie, b. 141, Piantanida).

di capitano è superiore di quello di sergente maggiore) e più precisamente intorno al 1549677. Di conseguenza pare difficile attribuire ad un garzone di una decina di anni, quale doveva essere Antonio Abbondio all’epoca del ritratto, la modellazione sicura di questo microritratto, le frequentazioni parmigianinesche del suo rovescio e la sua rilettura matura dalle prove coeve di Leoni (soprattutto del microritratto metallico di Daniel de Hanna, che è del 1545): la medaglia del Piantanida è un’opera matura di Iacopo da Trezzo, come già sappiamo. A ben vedere, la ragione principale dell’attribuzione di Dworschak è iconografica: la figura di Fides sul rovescio è ripresa nella medaglia di Alonso Pimentel, a sua volta solidamente legata a quella di Iacopo Antonio Boncompagni e alle prime prove firmate di Abbondio (per esempio con la medaglia di Johann Rudolf Blumnecker, del 1565)678. Il confronto tra i due rovesci è però rivelatore del contrario: la figura del Nizolla, ritta e sottile, è conchiusa tra il margine interno dell’iscrizione e due direttrici verticali definite dallo zoccolo, cosicché i punti di massimo aggetto risultano al centro; per contro quella di Abbondio, sinuosa, robusta e interpunta all’iscrizione come in un rebus (il dito affianca il deittico “HOS [artus]”) è posata sopra una mensola sporgente che rasenta l’estremità del tondello (un tratto che ritorna, più accentuato, nella reinterpretazione di Fides data da Antonio sul verso della medaglia di Sigismondo III Vasa re di Polonia, che è del 1587-91)679.

Accertata la diversa paternità delle due medaglie, il loro confronto può essere spinto un poco oltre per mettere meglio a fuoco le peculiarità dello stile di Abbondio e scorporare altre medaglie attribuitegli in maniera poco convincente. La forma chiusa del busto di Piantanida, le capigliatura a ciocche regolarmente spartite, la decorazione a sottili racemi del pettorale e perfino il panneggio morbido e sgualcito, ritmato da solchi aguzzi e fitti, tradiscono infatti la disciplina dell’intagliatore; il ritratto di Pimentel (come quello del Boncompagni) si concede invece tutti i vezzi del ceroplasta: i capelli sono graffiti e arruffati, i panneggi larghi e definiti con tratti di stecca, e l’aggetto del rilievo è schietto anche lungo i bordi del disco. Per questo medaglie come quella di Alessandro Cacurio, ascritta ad Abbondio ancora da Toderi e Vannel, sono senz’altro più vicine alla maniera del Nizolla, mentre una medaglia di Laura Gonzaga Trivulzio (1525/30-1560 ca.) si avvicina piuttosto ai modi (se non alla mano) del cremonese Giovambattista Caselli, e va considerata un’opera della prima metà del XVI secolo680.

677 Dato che il motto (“DVM SPIRITVS HOS REGET ARTVS”) è tratto da Aen., 4, 336 (“nec me meminisse

pigebit Elissae / dum memor ipse mei, dum spiritus hos regit artus”), cioè dalla frase in cui Enea prende congedo da Didone promettendo di serbarne eterno ricordo, il rovescio, che è in forma di impresa, non allude a un episodio particolare della vita di Piantanida, ma solo a una professione di fede o di lealtà imperitura da intendersi in chiave coniugale o politica: Fides, con diadema e calice, addita il cielo finché vita le reggerà le membra.

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Toderi e Vannel 2000, I, p. 160, n. 417. Si ritiene che la medaglia fosse eseguita a Innsbruck, dove il Blumnecker era senatore.

679 Nel primo caso le iscrizioni sono ininterrotte, vergate con lettere fini e modulo quadrato, incorniciate tra

margini incisi e regolarmente spartite con gusto epigrafico da punti centrali equidistanti o stelle uncinate; l’indicazione cronologica, in numeri romani, è fornita dall’età dell’effigiato. Nella medaglia di Abbondio troviamo invece aste spesse e talora rastremate, moduli differenti tra il recto e il verso, ‘O’ ovalizzate, interpunzione irregolare; ritratto e figura invadono le righe, creando distanziamenti irregolari (r/: “. D . ALONS [testa] PIMINTEL . 1562”; v/: “DVM SPIRITVS [mano] HOS [testa] REGET ARTVS [foglia acanto]”); la datazione, come nella medaglia di Iacopo Antonio Boncompagni di Sora, è per anno solare ed è espressa in numeri arabi.

680 La fresca età dell’effigiata e la probabile funzione di dono di fidanzamento (v/: “SEMPER . ILLAESA”) −

confermate anche dalla raffigurazione del fiume Mincio, allusione alla città natale di Laura Gonzaga –, inducono a datare l’opera intorno al 1540-55: ancora una volta si ha l’impressione che la medaglia sia anteriore agli esordi di Abbondio, del cui stile non presenta comunque tracce peculiari. La data di morte di Laura indicata a testo si desume dall’inventario del suo guardaroba (ASM, Trivulzio, Archivio Milanese, b. 209). Sulla medaglia cfr. in generale: Armand 1883, II, p. 206, n. 14 (anonima); Habich 1924, tav. XCVI, fig.

Nel catalogo di Antonio si delinea così una prima fase in cui trovano finalmente pertinenza anche la medaglia di Pierpaolo Maffei − rifiutata da Toderi e Vannel, ma assolutamente abbondiesca nella fisionomia, nel troncamento del busto, nell’impaginazione del rovescio e nell’epigrafia681 − e l’effigie del misterioso Fabio Anghiera, recentissimamente pubblicata come anonima e legata strettamente alla precedente682. Allo stesso momento è infine da ascrivere la medaglia del musicista Nicola Vicentino (1511-72)683, collocata talora tra le opere degli anni settanta, ma già datata da Toderi e Vannel al 1561 o poco dopo su basi esterne684.

A questo punto, allontanati i riferimenti ingannevoli all’effigie di Piantanida e individuato attorno alla medaglia firmata del Boncompagni un gruppo di opere giovanili di solida coerenza formale, non ci rimane che diradare il campo da alcuni tipi pseudo-abbondieschi che hanno invece a che vedere con le opere ed i seguaci di Annibale Fontana.

A quest’ultimo va sicuramente ascritta la medaglia anepigrafa con ritratto maschile e una raffigurazione di Diana con cane al rovescio, già attribuita al trentino da George Francis Hill685; ma nella tavola del repertorio di Toderi e Vannel che raccoglie le opere d’Abbondio datate intorno al 1565-67 stride palesemente anche una medaglia di Giovanni Ludovico Madruzzo (1532-1600), figlio del Niccolò ritratto da Antonio686. La linea ferma del profilo, la capigliatura ordinata e la ponderazione del panneggio risultano estranee alla stecca nervosa del primo Abbondio, e a ben vedere l’attribuzione è basata soltanto sulla parentela dell’effigiato con un committente di Antonio e sull’idea, radicata in tutta la bibliografia, che il giovane artista di Riva oscillasse per scarsa solidità tra la maniera di Leone Leoni, i toscanismi di Pier Paolo Romano e la pastosità fantasiosa di Fontana.

Proprio Annibale Fontana risulta attivo per Cristoforo Madruzzo tra il 1556 e il 1557, cioè nel periodo in cui Giovanni Ludovico fu coadiutore del prelato, e nulla esclude che qualche anno più tardi, prima che si consolidasse un nuovo rapporto di committenza tra i Madruzzo

4; Dworschak in Habich 1929-35, II, 2, p. 486 (accosta il pezzo alla medaglia di Pierpaolo Maffei, che giudica opera di Abbondio); Dworschak 1958, p. 50 (Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, p. 103, n. 241 (ignorano l’attribuzione di Dworschak). Esemplari principali: Hill e Pollard 1967, p. 95, n. 506 (non attribuita); Börner 1997, p. 222, n. 995 (anonimo); Attwood 2003, I, p. 149, n. 147 (anonima, ma nota somiglianze con l’opera di Leone Leoni degli anni quaranta). Laura era moglie di Giangiacomo Trivulzio (1549): supponendo che il ritratto velato raffigurato sul recto della medaglia alludesse ad una vedovanza, tale data è sempre stata interpretata come un post quem per l’opera. Se ciò è vero, è però probabile che il terminus sia ante quem: lo stile non può risalire molto oltre alla metà del secolo, la Gonzaga è ancora nel fiore degli anni, e sappiamo che quelle con Giangiacomo furono solo le sue seconde nozze.

681 Hill 1911, p. 24 (anonimo intorno al 1550); Habich 1929-35, II, 2, p. 486 (Abbondio); Dworschak 1958, p.

50 (Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, p. 199, n. 552 (anonimo veneto); Attwood 2003, I, p. 158, n. 188 (anonimo assai vicino alla maniera di Abbondio).

682

Toderi e Vannel 2000, II, p. 903, n. 2831 (anonimo); Attwood 2003, I, p. 150, n. 150 (anonimo lombardo).

683 Gaetani 1761-63, I, p. 271, tav. LIX, fig. 5; Armand 1883-87, II, p. 229, n. 24 (anonimo) e III, p. 271, n. f;

Habich 1924, tav. XCVII, fig. 3 (maniera di Leoni); Dworschak 1958, p. 50; Toderi e Vannel 2000, I, p. 109, n. 271 (come anonimo milanese). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 99, n. 695; Hill e Pollard 1967, p. 196, n. 508 (anonimo: riferiscono un’attribuzione ad Alessandro Vittoria di H. C. Allen); Börner 1997, p. 188, n. 821 (anonimo milanese o influenzato dalla scuola milanese); Attwood 2003, I, p. 159, n. 193 (anonimo). Resta notare che l’identità di stile tra la medaglia di Nicola e quella del Maffei non è mai stata negata né da chi propendeva per attribuire entrambe ad Abbondio (Habich, Dworschak), né da chi, più recentemente, le attribuisce ad un autore ignoto (Toderi e Vannel).

684

Due termini post quem per il rovescio (in cui Nicola si proclama “PERFECTAE MVSICAE DIVISIONIS . Q . INVENTOR” e raffigura le sue due invenzioni, l’“ARCHICEMBALVM” e l’“ARCHIORGANVM”) sono forniti dalla pubblicazione de L’antica musica ridotta alla moderna prattica, Roma 1555, che descrive il primo strumento musicale, e dall’uscita della Descrizione dell’arciorgano, che è del 1561.

685 Bibliografia: Hill 1915 (3), p. 242 (Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, p. 159, n. 413 (Abbondio).

Esemplari principali: Attwood 2003, I, p. 158, n. 190 (anonimo).

e Pier Paolo Romano, Giovanni Ludovico abbia voluto a sua volta un ritratto (forse incompiuto) modellato dal prestigioso scultore687. Purtroppo le condizioni mediocri degli esemplari a me noti, la rarità del pezzo e l’anomalia dell’impaginazione e dell’iscrizione inducono a sospettare che quest’opera sia solo il ricordo di un’opera del Fontana, cui riconducono tuttavia sia la forma del colletto, sia le fattezze del volto, simillimo a quelle dello zio.

4. Per una nuova interpretazione, geografica, dei rapporti tra Abbondio e la

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