Cap I.3 La ‘scuola milanese’ a Milano: Annibale Fontana
III. Nuove attribuzioni di medaglie
In un importante articolo del 1975 Ulrich Middeldorf ebbe modo di notare che, anche in ragione di una conoscenza assai parziale della scultura lombarda del Cinquecento, il secolo successivo all’uscita della monografia su Leone Leoni di Eugène Plon (1887) aveva visto proliferare le attribuzioni in suo favore437.
Gli anni che ci separano dalle considerazioni del Middeldorf hanno visto solo un’accentuazione del fenomeno, che nel corpus delle medaglie rinascimentali di Toderi e Vannel (2000) ha conosciuto un’ulteriore espansione dovuta all’attribuzione a Leoni di nuovi tipi, ma anche di ibridi e varianti seriori. Proprio tra le medaglie ascritte all’aretino è così possibile trovare pezzi che, ad un confronto più serrato, si rivelano opere del più
432 Questa forma di studio, certo facilitata dall’iconografia non aristocratica del ritrattato, non pare estranea
all’evoluzione descritta dal genere del ritratto dipinto tra gli anni cinquanta e sessanta, quando l’opera di Sofonisba Anguissola fu promossa a Milano grazie all’apprezzamento del Duca d’Alba (traggo la notizia da Mina Gregori, Sofonisba Anguissola, in Gregori 1985, p. 172).
433 Registrando le sperimentazioni inquiete di Fontana, basate su problemi spaziali e sull’uso della cera,
foggiata con ductus libero ma accurato, e ricompattata in forme mosse per ottenere barbe e suoli vibranti, Lomazzo scrive di Fontana nel Trattato che “i nudi, i capelli, i giri e le pieghe sono così maravigliosi e con tanta facilità espressi, che si stima che altri difficilmente possa agguagliarlo” (Lomazzo 1973-74 (1584), p. 534).
434 Morigia 1595, p. 292, e Morigi 1619, p. 471: “Questo virtuoso e archivo di virtù fu eccellente in diverse
nobili virtù; primieramente fu raro e divino nell’intagliar figure, paesi, prospettive et altre bizzarrie nel cristallo [...]; fu ancora eccellente nelle medaglie e nella scultura di basso rilievo, la qual è una scienza appartata [...]; nella virtù poscia della scultura fu miracoloso, percioché teneva il primiero luogo nella nostra Italia e più oltre”.
435 Cfr. Cheribizo, Somario di tutte le professione e arte milanese, con diversi sonetti in lingua rozza…, per
Giuseppe Meda, Milano 1624, riedito in Novati 1912, p. 14, e in Isella 2005, p. 131, con commento e attribuzione.
436 Pellegrini ed. 1990, p. 359.
sfortunato Fontana, sul quale, oltre al problema delle diverse sigle autografiche, pesa ancora il taglio catalogico ottocentesco stabilito da Armand.
Prima però di discutere tali medaglie dovremo accennare ad un importante busto, oggi alla Pierpont Morgan Library di New York, la cui attribuzione risulta condizionante per almeno altre due opere. Grazie alla documentata provenienza dalla collezione napoletana degli Avalos, il ritratto è stato identificato con quello di Alfonso II d’Avalos, governatore asburgico di Milano e marchese di Vasto438. Cadendo all’interno di una mappatura stilistica assai incerta, la preziosa informazione sull’effigiato ha però impedito fino ad oggi il riconoscimento della paternità del bronzo, ascritto ancora nel 2002 a Leone Leoni, che dell’Avalos realizzò entro il 1546 una medaglia. Questo ritratto leoniano fu identificato da Eugène Plon con un tipo oggi conservato al Cabinet des Médailles di Parigi, al Museo Nazionale di Capodimonte e al Kunsthistorisches Museum di Vienna439, e da allora solo Ulrich Middeldorf ha messo seriamente in dubbio tale tesi, evidenziando una consistente divergenza di stile e mettendo in guardia sulla reversibilità degli argomenti attributivi legati alla medaglia440.
Ai dubbi sollevati dall’autorevole studioso mi è parso possibile trovare in altra sede una soluzione avanzando per la paternità del busto e della medaglia la candidatura di Annibale Fontana441. Il catalogo delle sue medaglie offre infatti confronti dirimenti per l’attribuzione del busto di Alfonso: soprattutto il viso si sovrappone con facilità, nelle sue morbide volumetrie facciali, a quelli di Tommaso Marini e di Francesco Ferdinando d’Avalos. In secondo luogo, durante il soggiorno di Fontana in Sicilia nel 1570-71, il Viceré dell’isola fu Francesco d’Avalos (1569-71), figlio dell’effigiato e già committente del nostro a Milano, dove fu Governatore tra il 1558 e il 1560442: probabilmente è tra questi due limiti cronologici che l’artista realizzò il ritratto bronzeo, che risulta inventariato a Napoli nel 1571443.
La medaglia presenta le medesime fattezze fisionomiche del busto, ma non la forma del troncamento e dei panneggi; questi ultimi, caratterizzati da pieghe embricate morbidamente afflosciate al centro, trovano però riscontri palmari nelle medaglie fontaniane di Francesco
438 Sul busto, alto 66cm, largo 59cm e profondo 35cm, cfr. Plon 1883, pp. 339-340; Bode 1910, I, p. XXIX;
II, p. 6, n. 124; Plon 1887, p. 302; Middeldorf 1975 (1), p. 84 (ed. 1980, pp. 27-28).
439 Tutta la bibliografia (con la significativa eccezione di Middeldorf 1975 (1), p. 84, ed. 1980, pp. 27-28)
accetta l’attribuzione della medaglia a Leone Leoni: cfr. Ilg 1887, p. 76 (il quale nota la vicinanza stilistica tra il busto di Alfonso e la medaglia del figlio Francesco, che confonde però col padre); Plon 1887, p. 257; Armand, 1883-87, III, p. 65, n. f; Kenner 1892, p. 59; Toderi e Vannel 2000, I, p. 48, n. 52. Esemplari principali: CMP, AV n. 1855; De Rinaldis 1913, p. 50, n. II-100, e Pannuti 1996, pp. 253-303, p. 288, n. 8.103. Esemplari della versione anepigrafa (per la quale cfr. in generale Toderi e Vannel 2000, I, p. 48, n. 53) sono in Kenner 1892, p. 59; De Rinaldis 1913, p. 101, n. II-101, e Pannuti 1996, p. 285, n. 8.104; Pollard 1984-85, III, p. 1502, n. 884, e Vannel e Toderi 2003, I, p. 51, n. 438; Bernardelli e Zironda 2007, p. 80, n. 350 (un ibrido nel quale l’effigie è erroneamente identificata con una Madonna).
440 Middeldorf 1975 (1), p. 84, ed. 1980, pp. 27-28. La pista battuta dal Midderldorf (diversa dal quella qui
percorsa) è la seguente: posta fuori di ogni dubbio la stringente somiglianza tra il microritratto e il busto, non è pero certo che essi siano della stessa mano, perché la medaglia (che lo studioso tedesco ritiene leoniana) potrebbe derivare dal ritratto a tutto tondo (il cui autore cadrebbe allora nell’anonimato).
441
Cupperi 2007 (2). Fa riferimento al busto con la medesima attribuzione (formulata indipendentemente e in forma di ipotesi) anche un articolo di Andrea Bacchi in corso di stampa (Leone Leoni and Benvenuto Cellini: difficult relations, in Il nostro bel Cinquecento: Italian Sculpture of the Sixteenth Century, Boston, 8 novembre 2003).
442
Plon 1887, p. 354. Fontana, classe 1540, non poté mai ritrarre dal vivo Alfonso d’Avalos, e probabilmente si avvalse di una maschera funeraria tratta da Leoni per una statua del generale (si badi, non un busto), della quale non si ha più notizia dopo il 1568: cfr. Vasari 1966-87, VI, p. 203 (il passo, pubblicato nel 1568, si basa come abbiamo visto su informazioni che l’autore aveva ricevuto a Milano nel 1566). In una lettera del 1546 alla Marchesana del Vasto, Girolamo Muzio (2000 (1551), p. 289) ne menziona solo il bozzetto (“picciola statua, che di creta ha formata Leone d’Arezzo per modello di quella”).
d’Avalos e di Ottaviano Ferrari. Anche l’iconografia del microritratto di Alfonso II (un busto a mezza spalla perfettamente laterale, scorciato da due raggiere di pieghe allineate allo spallaccio), pur derivando in ultima analisi dalla medaglia leoniana di Pietro Aretino, conosce qui uno sviluppo in ampiezza, rilassatezza e movimento che risulta estraneo all’opera di Leoni.
Dalla ricostruzione proposta discendono diverse conseguenze: la medaglia leoniana del Marchese di Vasto e quella della Marchesa, come abbiamo visto in un capitolo precedente, sono da identificarsi con tipi diversi da quello appena discusso. Esse furono realizzate entro gli anni quaranta, ma già negli anni sessanta, sotto il governatorato di Francesco Ferdinando, un nuovo tipo fu approntato da Fontana per offrire ai milanesi (o ai napoletani) un segno di continuità tra il committente ed il suo illustre padre.
La medaglia dei genitori non fu probabilmente l’unica opera di restituzione richiesta da Francesco Ferdinando: già nel suo corpus del 1930 George Francis Hill segnalò che una medaglia di Isabella d’Aragona (1470-1524), antenata dell’Avalos per via di madre, doveva essere stata realizzata verso la metà del XVI secolo444. Diversi dettagli ci inducono a ritenere che essa sia collegabile all’opera di Fontana o alle conseguenze dirette della sua presenza nel regno di Napoli: per la stilizzazione della muscolatura e l’assottigliamento dei bacini, le Tre Grazie del verso trovano infatti confronto rispettivamente nelle medaglie di Francesco Ferdinando (Ercole), di Consalvo Hernández (si veda in particolare il milite di spalle sulla destra) e di Giampaolo Lomazzo (Mercurio); il panneggio di Isabella è arrotolato sul busto e simile a una corda come nel microritratto di Lomazzo445. È un peccato che la qualità non eccelsa dell’esemplare bresciano qui considerato impedisca di sciogliere in un’attribuzione sicura la rete di confronti che ravvisiamo. Anche il valore legittimante del ritratto, che effigiava un’antenata già duchessa di Milano, tornerebbe assai bene nel contesto delle strategie di consenso che l’Avalos dispiegò a Milano durante il proprio governatorato446.
Un secondo corollario di quanto esposto finora è che una medaglia fontaniana, quella di Alfonso II, si è insinuata per più di un secondo nel catalogo leoniano. Tra i microritratti ascritti all’aretino è così possibile trovarne alcuni che, ad un confronto più serrato, si rivelano opera di Annibale.
Il primo tipo fuori posto è una medaglia che ritrae il provveditore fiscale Bernardo Spina, attivo per il braccio spagnolo a Milano dal 1543 al 1553, anno della sua morte447. L’attribuzione a Leoni, formulata dubbiosamente da Plon sulla base dei documentati rapporti di amicizia intercorsi tra lo scultore e il funzionario calabrese, è stata poi accettata acriticamente fino ad oggi. Un evidente iato di stile separa però questo modellato mobilissimo dalle forme salde dello scultore aretino; stupiscono inoltre lo straordinario spessore della spalla e della testa, l’aggetto abrupto dello spallaccio troncato e le dimensioni del cranio, che violano precise convenzioni della medaglistica leoniana e trezziana: la nostra impressione è che qui sia all’opera una generazione successiva.
Nel rovescio poi, la figura sottomessa da Virtus è una deduzione iconografica michelangiolesca piuttosto smaccata: Leoni ignora completamente approcci così imitativi, specialmente nei confronti di contemporanei ed antichi rivali. L’autore della medaglia
444 Bibliografia: Hill 1930, I, p. 168, n. 652bis (avvicina la medaglia a Domenico Poggini); Toderi e Vannel
2000, I, p. 113, n. 292. L’unico esemplare noto è schedato in Rizzini 1892, p. 71, n. 480.
445
Anche l’impaginazione della didascalia tra due linee incise, interrotta dal busto e lambita nei suoi estremi da elementi della figurazione che seguono accuratamente i suoi margini, è attestata in medaglie di Fontana.
446 Si veda infra, il cap. II. 4.
447 Bibliografia generale: Armand 1883-87, II, p. 165, n. 11 (non attribuita) e 1887, III, p. 73, n. T (attribuisce
a Leoni); Plon 1887, p. 273 (attribuzione con riserve a Leoni); Toderi e Vannel 2000, I, p. 54, n. 73 (Leoni). Esemplari principali: Gaetani 1761-63, I, p. 213 e tav. XLVIII, fig. 4, e Rizzini 1892, p. 37, n. 244; CMP, cab. n. 232 (ae, d. 46,1mm, sp. 2,2,-6,1mm, 5°, forato, buono).
potrebbe invece essere Fontana, alla cui maniera sono accostabili la ritmica delle pieghe, l’ampio busto e il trattamento dei capelli. Figure di caduti molto simili a quella che celebra la Virtus dello Spina compaiono sia sul rovescio fontaniano con “LIPPA CAPTA”, sia soprattutto in quello della medaglia di Consalvo Hernández, che presenta un cavaliere quasi sovrapponibile. Considerata l’età di morte dell’effigiato, le incertezze d’impaginazione e la modellazione della barba (simile nella sua natura pastosa a quella del ritratto fontaniano di Ottaviano Ferrari), si potrebbe pensare ad una delle prime opere di Annibale, da accostare alle effigi di Castaldo e di Consalvo Hernández, che costituiscono non a caso i confronti fisionomici più convincenti. Questa commissione verrebbe così a cadere nel periodo in cui Leoni, occupato su “cose più grandi che le medaglie non sono” (Vasari), andava cedendo terreno ai giovani anche nelle commissioni delle famiglie a lui più vicine.
Possiamo infine concludere la nostra revisione del catalogo di Fontana con due note più assertive. Si tratta di una medaglia di Cristo la cui attribuzione a Leoni, accolta già da Hill con scarsa convinzione, è tuttavia ribadita nel repertorio di Toderi e Vannel, che considerano d’altronde leoniana anche la medaglia di Alfonso d’Avalos sopra attribuita ad Annibale Fontana448.
Per comprendere l’iconografia del ritratto è forse più utile spostarsi sulle illustrazioni del volumetto che Hill dedicò a questo particolarissimo genere di ritratti di restituzione, Medallic Portraits of Christ: tra le pagine 60 e 61 se ne deduce infatti la dipendenza da un tipo ivi attribuito dubitativamente a Giovannantonio de’ Rossi, ma in realtà assai anteriore e legato forse all’ambito di Giovanni Bernardi449. La rielaborazione che qui esaminiamo presenta però anche i tratti inconfondibili della ritrattistica matura di Fontana: il taglio del busto, i tratti turgidi, i capelli arricciati e quasi oleosi, la qualità inconfondibilmente lombarda dei panni del verso con la Crocifissione.
Una seconda giunta non problematica può essere individuata in una bellissima effigie anepigrafa, pervenutaci in un solo esemplare al British Museum: essa ritrae un anonimo militare e lo associa, nel rovescio, all’immagine di Diana con cane450. Attribuita da Hill ad Antonio Abbondio in un momento in cui al catalogo di questo artista erano accorpate indebitamente le opere di diversi artisti milanesi, la medaglia trova invece riscontri puntuali nel corpus storico del Fontana: la figura sul rovescio va confrontata con il Mercurio della medaglia di Lomazzo e con la Fortuna cui il pittore viene ivi presentato; il busto sul recto va accostato ai microritratti di Giovambattista Castaldo e in quello di Francesco Ferdinando d’Avalos, con il quale condivide il modellato lanoso delle ciocche e la stilizzazione del mantello e della gorgiera.