Cap I.2 Iacopo da Trezzo
II. La medaglistica nel contesto della produzione di Iacopo
Per la sua capacità di intagliare scene mitologiche e paesaggi acquatici su “tazze, vasi e simili instromenti” Iacopo da Trezzo è ricordato assieme a Francesco Tortorino ed Annibale Fontana da Giovampaolo Lomazzo (1584), che dovette conoscere sue opere rimaste a Milano313. Coerentemente con questo suo profilo di maestro dell’intaglio, né l’attività artistica di Iacopo da Trezzo, né la percezione che ne ebbero la maggioranza dei contemporanei furono focalizzate sulla sua non copiosa produzione medaglistica314. Il nostro ebbe successo soprattutto in virtù della propria dimestichezza con un’arte rara,
311 L’“invención de enginos” per la lavorazione delle pietre dure è un aspetto su cui il carteggio di Iacopo
relativo all’impresa escurialense insiste ripetutamente: cfr. Checa Cremades 1992, p. 244. Secondo Morigia (1592, p. 291; 1595, p. 481) si trattava di una sega collegata ad un mulino ad acqua. Il tabernacolo della Basilica di San Lorenzo El Real fu segnalato persino da un pittore come Federico Zuccari, che il 29 maggio 1586 lo descrisse a un imprecisato “magnifico e sempre osservandissimo” signore in questi termini: “Questo retavolo ha un finimento di mischi e bronzi singularissimi, con 18 colonne in tre ordini, di 22 piedi in circa alte; ma quello che è d’ammiratione notabile quivi, et una si puol dire delle cose più principali e notabili che in tal genere siano giamai state fatte, che è una custodia del Santissimo Sacramento dall’eccellentissimo sigr. Jacomo da Trezzo composta di bronzo, di mischi e delle più pretiose pietre e gioie che si veda, con otto colonne di diaspro finissimo di sei in sette piedi alte, condotte tutte per forza di punta di diamanti. Questa custodia è un tempietto rotondo simile a quel di Bramante a S. Pietro Montoro, di altezza di doi canne in circa, che realmente non fu mai fatta la più degna e singulare opera, e nel corpo di questa custodia, ve ne è un’altra piccolina parimente di singolar bellezza; questa col retavolo solo passa di spesa più di 400 m(ila) scudi” (in Domínguez Bordona 1927, pp. 7-8). Bisognerà però precisare che quando Zuccari vide il retablo, la messa in opera dei suoi elementi figurativi non era ancora terminata.
A dispetto di tanta fortuna, credo nondimeno che Jean Babelon, nel riflettere sullo statuto professionale di Iacopo, attribuisca eccessivo peso alla sua attività architettonica. Sia il contributo nella costruzione della tomba di Giovanna di Portogallo (Madrid, Chiesa del Monasterio de las Descalzas Reales), sia la partecipazione all’impresa del retablo per l’altare maggiore di San Lorenzo El Real (El Escorial), sia infine la realizzazione del tabernacolo in diaspro orientale per la medesima Basilica hanno a che vedere con l’abilità di Iacopo nella lavorazione di pietre dure su grande scala (Babelon 1922, risp. pp. 245-249 e 129-181, ma anche Babelon 1913 (1), pp. 307-316). Il peso di tali condizionamenti tecnici, anche a livello economico, era così rilevante che nel contratto per il retablo, firmato il 3 gennaio 1579, Iacopo fu posto allo stesso livello di Pompeo Leoni (scultore) e Battista Comane (“maestro di canteria”); nondimeno, i tre lavoravano sotto la supervisione dell’architetto Juan de Herrera. Anche quando nel 1582, dopo la morte di Comane, Iacopo si incaricò dell’esecuzione degli elementi architettonici in pietra, egli ebbe soprattutto compiti esecutivi e organizzativi.
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L’episodio è documentato in un dossier reso noto da García de la Fuente (1935, pp. 269-271); l’esemplare rinvenuto è oggi conservato nella Biblioteca Real del Escorial (ivi, p. 263, n. 2156).
313 Lomazzo 1973-74 (1584), p. 300. 314
La discussione più accurata del catalogo di cammei di Trezzo resta quella di Ernst Kris, la cui trattazione ha introdotto una fondamentale distinzione tra dipendenza iconografica e relazione stilistica: Kris 1929, pp. 81-82 e tav. 79, figg. 321-326 (con bibliografia): ma su questo problema rinviamo infra al par. VI. Sull’attività del Nizolla come intagliatore di vasi in pietra dura e vascelli in cristallo cfr. soprattutto Hayward 1976, pp. 193-197, che illustra anche la diffusione delle opere glittiche milanesi in Spagna e avanza alcune proposte attributive per l’attività di Iacopo come argentiere, che non è tuttavia attestata da fonti documentarie. Ad un possibile lavoro d’oreficeria del lombardo, un medaglione in oro e smalto del Museo Nazionale del Bargello, accenna Venturelli 1996, p. 155.
praticata a Milano per la disponibilità di materie prime e perché incoraggiata dagli Sforza, anche se rivolta poi all’apprezzamento internazionale. I vasi in cristallo o in lapislazuli rendevano bene e garantivano all’artefice gli elogi conviviali dei prìncipi senza che costui avesse bisogno di apporre firme, mentre la medaglia era un genere fortemente concorrenziale, e le repliche realizzate dall’autore erano trascurabili rispetto a quelle diffuse dai copisti315. Fu del resto l’attività di intagliatore a garantire a Iacopo una fama duratura nella Dactyliotheca di Abraham van Goorle (1601), nella penna di Leone Allacci (che nel 1642 ricorda un suo diamante con figurazione araldica, forse quello oggi perduto con l’arme di Carlo V) e, naturalmente, nelle opere di Orlandi (1719), Mariette (1750) e Gori (Dactyliotheca Smithiana, 1767)316.
Nell’immaginario cinquecentesco, Iacopo era un intagliatore, un conoscitore, un promeneur che si poteva incontrare mentre cercava pietre da lavorare sui sentieri montani o sul greto di un fiume castigliano, come ricorda l’umanista Ambrosio de Morales nel 1575. Del resto, in Lombardia la tendenza a trasfigurare l’artista nella superiore dignità del naturalista era stata avviata addirittura da Leonardo e Donato Bramante, che nel 1538 il grammatico novarese Gaudenzio Merula ricordava dedito ad analoghe, lucrose passeggiate alle pendici delle Alpi, sugli stessi percorsi battuti dagli umanisti in cerca di iscrizioni317. Non è dunque senza ragione che sia nel caso di Iacopo, sia nel caso dell’architetto urbinate, fossero i testi d’antiquaria (che si richiamavano in questo alla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio) a ricordare i risvolti scientifici, ingegneristici e periegetici della professione dell’intagliatore. Ancora nel 1595 il concittadino Paolo Morigia celebrava Iacopo non per la raffinatezza della sua maniera, ma per avere inciso in un diamante l’arme di Carlo V318, scoprendo un procedimento ignoto alla glittica antica e già perduto tra i contemporanei del gesuato milanese. Per questo l’intagliatore
appresso fu in tanta stima, caro e grato alla Maestà del re Filippo nostro Signore, che in Bruscelle si servì di lui in molte cose e poi, scoprendo di giorno in giorno l’eccellenza del suo divino ingegno, però sempre lo volse appresso di lui in Spagna, e col suo consiglio si prevalse assai, e della sua opra, nella rara fabrica al mondo dello Scuriale, […] e sua Catholica Maestà sempre si servì non solo dell’opera, ma anco del parere, e divin giuditio del nostro Trezzo319.
Non bisognerà infatti dimenticare che all’occorrenza il Nizolla (come pure Leone e Pompeo Leoni) forniva i suoi servigi di agente per acquisti d’arte: fu lui nel 1584 a comprare per conto del re l’Annunciazione di Robert Campin oggi al Museo del Prado320. E fu a titolo di scopritore del diaspro spagnolo e di intermediario per l’acquisto di diamanti, oltre che in qualità di intagliatore, che Iacopo si ripropose ai Medici nel gennaio 1572, mentre a Madrid i documenti mostrano il lombardo impegnato a stimare gemme, una voce di compravendita cospicua e delicata del bilancio reale321.
315 Cfr. in proposito la lettera di Iacopo da Trezzo del 21 dicembre 1554 più volte citata (la si può leggere qui
nell’app. II).
316 Van Goorle 1601, p. 10; Allacci 1642, p. 49; Orlandi 1719, p. 275; Mariette 1750, I, p. 151; Gori 1767, p.
CCXXXV. Sul “diamant des armes” cfr. infra.
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Cfr. Morales 1575, c. 46r, citato in Babelon 1922, pp. 38-39. Per il gustoso ritratto di Bramante cercatore di pietre dure cfr. invece Merula 1538, p. 154.
318 La lavorazione del “diamant des armes”, fatto incastonare e montare come anello ad Anversa su
commissione dell’artista nel maggio 1559, è attestata nel 1562 da un memoriale di Iacopo da Trezzo (Babelon 1922, p. 29). Un diamante con lo stemma del casato asburgico è conservato nel Museo degli Argenti a Firenze (Piacenti Aschengreen 1968, p. 205, n. 1734).
319 Morigia e Borsieri 1619, p. 480. 320
De Antonio 1998, p. 518, n. 218, e p. 413.
321 Nel 1568 Iacopo presenziò all’apertura dei sigilli che custodivano i preziosi di Carlos d’Asburgo, defunto
in quell’anno. Nel 1569 Iacopo effettuò una perizia su alcuni busti di imperatori e sovrani asburgici venduti a Filippo II da Niccolò e Giovambattista Bonanome e destinati all’Alcázar e alla Casa de Campo di Madrid;
Il Nizolla, memorabile ai nostri occhi soprattutto per la qualità disegnativa dei suoi nudi e dei suoi panneggi plasmati, fu ricordato molto più spesso dai suoi contemporanei come colui che aveva lavorato i materiali scultorei più duri, aprendo nuovi orizzonti alla policromia lapidea. Per la letteratura artistica il capolavoro di Iacopo fu il tabernacolo della Basilica dell’Escorial, scolpito in diaspro orientale e tempestato di smeraldi (1579-85), al quale egli appose il proprio nome a perpetua memoria322. È altresì indicativo che le legende dei progetti di Juan de Herrera pubblicati a stampa tra il 1583 ed il 1589 da Pieter Perret attribuissero a Iacopo il cosiddetto “sacrario” della Basilica dell’Escorial, un ambiente alla cui realizzazione egli aveva contribuito largamente lavorando e gli elementi in pietra. La specialità di Iacopo (coerentemente con i suoi natali prealpini) fu dunque la lavorazione delle pietre semipreziose e dei coni d’acciaio; essa fu anche la ragione principale per cui, sottraendosi alla concorrenza di scultori come Pompeo Leoni e Giovampaolo Poggini, egli fu assunto stabilmente come “entallador de camafeos y cristales de su Magestad”323 e fu remunerato con un salario regolare e ulteriori pagamenti a cottimo per ciascuna delle gemme che eseguiva (impressionante in tal senso la “libranza” effettuata dal re in suo favore nel 1568 attraverso la concessione di un balascio “grande, prolongado, con el retrato de su Alteza [Carlos], una letras en en bisel al lado del retrato”)324. Solo nel 1584, quando Girolamo Miseroni giunse a corte, l’attività di Iacopo come fornitore di elementi in diaspro per il cantiere dell’Escorial divenne prevalente.