Cap I.4 Arrivi dall’Italia Centrale
I. Pietro Paolo Romano
2. Il catalogo di “PPR”: proposte per gli esord
Ogni tentativo di ricostruire su basi formali la vicenda artistica di Pietro Paolo Romano, che si dispiega per quasi quarant’anni, deve confrontarsi con la ragionevole ipotesi che la sua prima maniera fosse intrisa del repertorio di forme di Benvenuto Cellini − forse ancor più di quanto non mostrino le sue opere mature −, e al contempo già superficialmente aperta ai paradigmi ritrattistici leoniani, che in ambito lombardo dettarono legge per tutti gli anni quaranta. Tali caratteristiche sono rintracciabili in una medaglia del generale milanese Gianfrancesco Trivulzio (1504/9-73)510: essa segue da vicino un modello leoniano del 1541, la medaglia di Andrea Doria, della quale adotta puntualmente anche il taglio e l’impaginazione del busto511.
Marchese di Vigevano e generale di cavalleria dei Francesco I, il Trivulzio appartenne a una delle famiglie di fuoriusciti ‘franciosanti’ più invise al potere sforzesco e spagnolo. Graziato nel 1543 dalla pena di morte pendente su di lui in Lombardia, e protagonista eccellente del nuovo corso conciliatorio della politica di Carlo V, Gianfrancesco fu sicuramente anche tra i contatti d’Ippolito II d’Este al momento della sua difficile possessio verso la cattedra milanese, dalla quale era stato escluso per trent’anni anche in ragione della sua compromissione col sovrano francese. Nulla di più facile che immaginare il Trivulzio, ancora inviso nella capitale lombarda, ricorrere ad un allievo dell’orafo del Cardinale per avere un ritratto da spendere localmente in doni propiziatori. Sulla base di tale considerazione biografica Vannel e Toderi motivano l’ipotesi che la medaglia, sicuramente successiva a quella leoniana del Doria (1541), risalga al 1543. La situazione d’esule del generale non facilita certo la ricostruzione dei suoi movimenti, ma il contesto che andiamo delineando rende probabile che essa fosse fusa entro il 1548, cioè poco prima che il Trivulzio, effigiato come conte di Rheinwald, Stoss e Mesocco, alienasse quest’ultimo titolo (1549): una datazione al 1548-49 troverebbe infatti conferma nell’iscrizione che riporta l’età del generale (trentanove anni)512: l’allusione del rovescio alla Fortuna incostante del milanese non avrebbe perso di validità qualche anno dopo la sua effimera riabilitazione.
Sulla medaglia pende già un’attribuzione a Pietro Paolo Romano sulla quale una parte della critica ha espresso forti riserve, ma che va invece ribadita con forza: in essa ritroviamo infatti gli stilemi propri di “PPR”. Se confrontata con il ritratto del Gran Cancelliere milanese Francesco Taverna, siglato da Pietro Paolo e modellato quando l’effigiato aveva “sessantasei anni” (1554 circa)513, la medaglia del Trivulzio presenta la stessa modellazione schematica delle orbite e del naso, la medesima barba ondulata ed analoghi panneggi dalle creste embricate ed equidistanti. Anche le didascalie (identiche le C, le A, le N…) sono impaginate tra righe incise e interrotte da busti il cui troncamento, ininterrotto dal dorso fino all’abbottonatura dell’abito, tocca il margine inferiore dell’iscrizione con una spalla e tergalmente, mentre di punta si allinea alla curva del margine superiore. Per le fattezze del
510 Bibliografia: Armand 1883-87, II, p. 302, n. 13bis (incompleta e anonima); Fabriczy 1904 (1903), p. 171
(Caradosso); Forrer 1902-30, II, p. 192 (Galeotti); Habich 1924, p. 135, tav. XCVI, fig. 5 (anonimo milanese, “Meister des Cardanus”); Toderi e Vannel 2000, II, p. 506, n. 1502 (Galeotti). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 50, n. 329 (Galeotti); Hill 1930, I, p. 230, n. 505 (anonimo); Álvarez-Ossorio 1950, p. 232, n. 447 (anonimo); Hill e Pollard 1967, p. 67, n. 360a (Galeotti); Sadik 1969 (1965), s.p., n. 42 (Galeotti); Norris e Weber 1976, p. 20, n. 33 (Galeotti); Middeldorf e Stiebral 1983, n. LI (“attribuita a Pier Paolo Galeotti”); Pollard 1984-85, II, p. 800, n. 432 (Galeotti); Donald Myers, in Scher 1994, p. 157, n. 53 (New York, coll. priv., scuola di Leone Leoni); Johnson e Martini 1995, p. 80, n. 2103 (Galeotti); Börner 1997, p. 159, n. 681 (Galeotti); Attwood 2003, I, p. 148, n. 146 (anonimo lombardo, ma “it is not impossible that it is instead by Leone Leoni”); Toderi e Vannel 2003, I, p. 93, n. 816-817 (Galeotti).
511 Sulle medaglie e le placchette realizzate da Leoni per il Doria cfr. supra, cap. I.1, par. I.6. 512 Attwood 2003, I, p. 148, n. 146.
volto è poi fondamentale il confronto con la medaglia firmata di Johannes Rieter von Corenburg514. Il leggero scarto stilistico tra l’effigie del Trivulzio ed i primi ritratti autografi (caratterizzati da panneggi e chiome più complessi) potrebbe dunque essere interpretato come indizio di una datazione precoce.
Al folto corpus del primo “PPR”, che già come consegnato dal repertorio di Vannel e Toderi risulta uno dei maggiori del secolo XVI, è infine possibile effettuare qualche giunta ulteriore. Innanzitutto le due medaglie di Federico Negri515, la prima delle quali è datata da un’iscrizione al 1552: oltre a presentare i dettagli morelliani tipici dell’opera di Pietro Paolo, il loro recto trova confronti con la medaglia di Federico Asinari516, mentre la figura nel verso del tipo anepigrafo è accostabile per posa ed anatomia a quello di Fabio Visconti e a quella autografa del misterioso “G . M . ROMER”, che è del 1558. Il recto di questa variante è privo di perlinatura e impaginato da tre righi come il microritratto di Cesare Gonzaga siglato da “PPR”517, che presenta forme epigrafiche decisamente affini.
Le medaglie del Negri sono poi inseparabili dall’effigie di Iacopo Antonio Pallavicini, nel cui rovescio Pegaso, parente degli altri grevi equini modellati dal romano, scavalca un’allegoria del Vizio liberamente ispirata a figure antiche come il Gallo caduto Grimani, anche se resa in una sorda rielaborazione dello stile di Cellini518.
A una personalità forse distinta, ma parimenti imbevuta delle impressioni suscitate dalla scopertura del busto di Bindo Altoviti (1549) e vicina al modello di Domenico Poggini, vanno invece ascritte le medaglie di Maria d’Aragona (1552 o poco prima)519, Marcantonio Magno520 e Ippolito Quinzi521, contraddistinte da riccioli minutamente cesellati, dalla
514
Toderi e Vannel 2000, II, p. 529, n. 1594. Secondo i due autori, l’effigiato fu consigliere di Carlo V per gli affari italiani.
515 Bibliografia: Armand 1883-87, II, p. 232, n. 17; Toderi e Vannel 2000, I, p. 106, n. 255. Esemplari
principali: Rizzini 1892, p. 99, n. 699; Attwood 2003, I, p. 150, n. 154 (tutti come opera anonima). Cfr. anche il tipo in Armand 1883-87, III, p. 274, n. L; Habich 1924, tav. XCV, fig. 3 (anonimo lombardo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 106, n. 256 (quest’ultimo esemplare ha un rovescio differente ed anepigrafo).
516 Toderi e Vannel 2000, II, p. 527, n. 1586. 517 Toderi e Vannel 2000, II, p. 512, n. 1527.
518 Un accostamento del pezzo alla maniera di “Galeotti” è già in Attwood 2003, I, p. 153, n. 165, che però
classifica la medaglia come opera di un “anonimo lombardo”. Da respingere l’attribuzione a Pompeo Leoni avanzata da Hill 1915 (1), tav. L, fig. 1, e ripresa da Johnson e Martini 1995, p. 134, n. 2299, e da Toderi e Vannel 2000, I, p. 71, n. 133, sebbene già sconfessata dallo stesso Hill: cfr. Hill 1916, p. 59, e Hill 1920-21, p. 28, n. 237. Le somiglianze tra il rovescio ed il Gallo Grimani aumentano se si considera che la scultura antica, dal 1523 custodita nel Palazzo presso Santa Maria Formosa a Venezia, rimase priva delle braccia e della gamba destra fino al 1587, quando fu integrata da Tiziano Aspetti (Bober e Rubinstein 1986, p. 184, n. 149; oggi al Museo Archeologico di Venezia). “PPR” poté forse conoscere lo schema iconografico indirettamente, attraverso le numerose riprese di cui fu oggetto presso gli allievi di Raffaello (cfr. p.e. la scena periniana con Giosué che ferma il sole e la luna nelle Logge Vaticane, in Dacos 1977, p. 192, n. X.3, e tav. 40).
519 Armand 1883-87, II, p. 163, n. 2 (anonimo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 158, n. 1450 (anonimo: si trova in
esemplari ibridi o unilaterali). Esemplari principali: Habich 1924, p. 131 e tav. XCVII, fig. 5 (Leoni o la sua bottega); Álvarez-Ossorio 1950, p. 92, n. 163 (Leoni); Pollard 1984-85, III, p. 1402, n. 810 (stile di Leoni); Attwood 2003, I, p. 147, n. 142 (anonimo, forse Leoni); Toderi e Vannel 2003, I, p. 158, n. 1450. L’effigie fu riprodotta alla c. 74r della Lettura di Girolamo Ruscelli sopra un sonetto dell’illustriss. marchese della Terza alla divina signora Marchesa del Vasto (Giovan Griffio, Venezia 1552: cfr. Croce 1953, pp. 359-365). La xilografia, che dichiara l’effigiata trentaquattrenne, permette inoltre di collocarne intorno al 1507-08 la data di nascita, finora ignota (cfr. Giuseppe Alberigo, Aragona, Maria di, in DBI, III, 1961, pp. 701-702).
520 La medaglia del letterato veneziano, provveditore generale di Galeotto Carafa a Napoli dal 1526 e morto
nel 1549, dovrebbe risalire alla fine degli anni quaranta. Bibliografia: Armand 1883, III, p. 273, n. J; Habich 1924, p. 131 (stile di Leoni); Voltolina 1998, I, p. 412, n. 364; Toderi e Vannel 2000, II, p. 507, n. 1503 (anonimo). Esemplari principali: Middeldorf e Stiebral 1983, n. LXXIX (scuola veneziana); Johnson e Martini 1995, p. 126, n. 2269 (Leone Leoni); Börner 1997, p. 159, n. 680 (Galeotti); Attwood 2003, I, p. 149, n. 148 (anonimo lombardo).
definizione delle palpebre e dalla rigida interpretazione lineare di un tipo di troncamento introdotto dalla medaglia leoniana di Carlo V del 1543. Non è da escludersi che possa trattarsi di un altro artista di formazione toscana, magari del Cesare Romano che accompagnava Pietro Paolo nel 1567; ma per il momento l’anonimo (già accostato a Galeotti per la medaglia di Marcantonio Magno) è destinato a rimanere tale. Va però notato che se la localizzazione milanese è guidata da ragioni formali, la biografia di due effigiati su tre, Maria d’Aragona e Marcantonio Magno, riconduce anche ad ambienti napoletani. 3. Il linguaggio di “PPR” e la committenza milanese
Dalla rapsodica biografia di Pietro Paolo Romano e dal suo catalogo riveduto emerge una produzione medaglistica copiosa e fortemente localizzata. Queste due circostanze (che neppure l’identificazione con Galeotti muterebbe di molto) conferiscono all’opera di quest’orafo e aspirante scultore romano un’indubbia ripetitività formale e un grado avanzato di tipizzazione.
Non sorprende dunque che la produzione medaglistica di “PPR” sia stata poco considerata dalla storia dell’arte522. Le sigle che caratterizzano il modellato di “PPR” non presentano neppure la qualità plastica che ha fatto la fortuna di un autore altrettanto prolifico e ripetitivo come Pastorino da Siena, capace però di valorizzare la freschezza del tratto impresso nella cera. I ritratti del romano, facilmente riconoscibili dai piccoli occhi affossati, socchiusi e graniformi, non presentano nemmeno la vivacità delle medaglie di Leoni, piene di carattere e prontezza: la retorica delle medaglie di “PPR” non è quella che Pietro Aretino aveva dispiegato per il suo conterraneo, tessuta per forgiare di capolavoro in capolavoro nuovi eroi e imprevedibili ninfe, ma quella di un decoroso corteo civico di pari, strettamente aderenti a convenzioni etiche e formali. In effetti, se la fermezza glittica riscontrabile nelle superfici decorate di Iacopo da Trezzo può essere ricollegata ai lussi della corte governatoriale, le opere di Pietro Paolo Romano rispecchiano le esigenze di una committenza nuova, quella del patriziato cittadino, emersa proprio all’indomani del secondo e più duraturo approdo a Milano dell’orafo, nella seconda metà degli anni cinquanta523.
Proviamo ora, attraverso qualche esempio, ad entrare nell’officina di Pietro Paolo Romano e nell’orizzonte dei suoi committenti. Il primo fattore da tenere presente è che il nostro “PPR” si accreditò soprattutto come araldo di linguaggi centroitaliani investiti del blasone celliniano. Abituato ad accontentare richieste calibrate sulla maniera del maestro e orientate dai suoi modelli, “PPR” fece precocemente sue le arti mimetiche del deuteragonista. La medaglia di Iacopo Antonio Pallavicini può offrire un valido esempio dell’orizzonte figurativo del suo artefice: l’invenzione del cavallo trionfante sopra una figura atterrata (“SVPERAT OMNIA VIRTVS”) – uno schema che trae la sua prima origine dai sarcofagi romani e, per la figura giacente, dal Gallo caduto Grimani del Museo Archeologico di Venezia – è tuttavia più strettamente imparentata col rovescio della medaglia celliniana di Francesco I (databile intorno al 1538)524. Le medesime ascendenze culturali si rintracciano infatti sul piano stilistico: le pieghe del panneggio, tracciate fitte e per linee spezzate, racchiudono il ritratto del Pallavicini in forme del tutto analoghe a quelle del busto bostoniano di Bindo Altoviti.
521
Armand 1883, III, p. 274, n. P (anonimo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 114, n. 295 (anonimo milanese). Esemplari: Armand 1883-87, III, p. 274, n. P.
522 Solo Habich 1924, p. 136, trattando di Galeotti/”PPR”, ne apprezzò le qualità di paesaggista idilliaco e di
ritrattista impareggiabile nei dettagli minuti, riconoscendo tuttavia che le maggiori eleganze esecutive di “PPR” traevano alimento da un retroterra più ricco e inventivo, quello dei maestri milanesi.
523 Sulla committenza dei patrizi milanesi ci soffermeremo nel cap. II.4. 524 Per la medaglia celliniana cfr. Toderi e Vannel 2000, II, p. 467, n. 1380.
Sulla scia delle prime prove milanesi di Leoni (per esempio della sua medaglia di Ippolita Gonzaga, che è del 1550-51), “PPR” abbandona però l’impostazione monetale dei rovesci celliniani, aprendo un basso rilievo a perdita d’occhio attraverso l’oblò dell’iscrizione. Il torso del Pallavicini, allungato e con la spalla sinistra di profilo, si adatta docilmente ai nuovi tipi leoniani, per esempio alla medaglia di Consalvo Hernández de Cordoba (1561)525. Analogamente, la figura contemplante sul rovescio della medaglia di Giovanmichele Zerbi (1549 circa) è una deduzione iconografica da quella di Ippolita Gonzaga fusa da Iacopo da Trezzo (1549-50 circa), un’opera che “PPR” rimedita anche negli andari del panneggio.
Molte medaglie fanno supporre che i clienti di “PPR” approdassero al microritratto metallico come ad un genere di rappresentanza di base, senza coltivare particolari esigenze di differenziazione formale e apprezzando anzi la conformità a prove riconosciute526. È chiaro che in tale processo di assimilazione le esigenze comunicative dei committenti sposavano l’abitudine dell’artista ad attingere ad un linguaggio già disponibile: tale convergenza limitava l’invenzione artistica ai momenti di mecenatismo più alto, e tendeva a configurare forme di serialità iconografica527.
La soggezione dimostrata da Pietro Paolo Romano rispetto alla non folta produzione microritrattistica di Annibale Fontana la dice poi lunga su quale artista fosse il punto di riferimento dei milanesi dopo il ritiro di Leone Leoni dalla medaglistica agli inizi del settimo decennio: una gerarchia formale confermata anche dal fatto che molti dei ritratti di Annibale furono destinati a governatori, da sempre più vicini alle innovazioni. Da un punto di vista strettamente stilistico, tuttavia, il “Romano” non assimilò tout court il linguaggio del rispettato collega: nell’opera di “PPR” i tratti fontaniani affiorano piuttosto qua e là nelle capigliature infoltite e nell’ammorbidirsi della pelle, meno schematicamente turgida, come avviene nel ritratto firmato di Giovanni Luigi Confalonieri, da confrontare comunque con chiari precedenti leoniani528. Nelle medaglie di Girolamo Figino (1562)529 e di Giovampaolo Lomazzo (1562)530 si ha invece l’impressione che ad avvicinare Pietro Paolo ai modi di Fontana (che emergono sia nel ritratto lomazziano, sia nell’Atena modellata per il rovescio del Figino), non sia stato soltanto l’esistenza di un precedente come la medaglia modellata da Annibale per Lomazzo, ma anche la sensibilità figurativa dei due pittori, il cui giudizio esperto dovette indurre Pietro Paolo a cercare di emulare il rivale. Come vedremo nel cap. II.4, anche il committente più altolocato di Pietro Paolo, il governatore di Milano Cristoforo Madruzzo (1556-57), cercò di valorizzare l’abilità di “PPR” all’interno di una logica di paragone: i differenti busti del prelato, realizzati in formati vari dai due artisti più accreditati a Milano nel settimo decennio del secolo XVI, “PPR” e Annibale Fontana,
525 La medaglia dell’Hernández si trova in Toderi e Vannel 2000, I, p. 58, n. 89. Il rapporto con i rovesci
leoniani è prevedibilmente costante: segnalo in tal senso la figura allegorica (Cerere?) raffigurata sul rovescio del ritratto che “PPR” realizzò per Franco Lercari (Toderi e Vannel 2000, II, p. 515, n. 1539), da porre in stretta relazione con il tipo Toderi e Vannel 2000, I, p. 53, n. 70 (Ippolita Gonzaga).
526
Nei casi in cui i committenti disponessero già di una medaglia anche i tratti del volto potevano essere copiati nelle nuove versioni in forme che vanno dalla fedeltà fino al calco ritoccato, come avviene nel caso della medaglia di Tommaso Marini (Toderi e Vannel 2000, II, p. 514, n. 1536, siglata “PPR”), che è pressoché sovrapponibile a quella di Annibale Fontana (Toderi e Vannel 2000, I, p. 75, n. 140). Un rapporto analogo, ma con maggiori varianti, è offerto anche dal recto e al verso di una medaglia di Giovambattista Castaldo: cfr. Toderi e Vannel 2000, risp. II, p. 514, n. 1534, e I, p. 76, n. 145.
527 Cfr. infra, il cap. II.4. 528
Cfr. il ritratto del Confalonieri (Toderi e Vannel 2000, II, p. 514, n. 1535) con le due medaglie leoniane (Toderi e Vannel 2000, I, p. 50, n. 59, e p. 55, n. 78).
529 Toderi e Vannel 2000, II, pp. 517-518, n. 1554. 530 Toderi e Vannel 2000, II, p. 517, n. 1553.
configurano infatti un rapporto di concorrenza che finì per orientare l’opera di Pietro Paolo anche nel periodo successivo531.
Assai più notevole è il fatto che “PPR” risponda alle sollecitazioni fornite dal giovane Pompeo Leoni, la cui produzione ‘romaneggiante’ era stata uno dei fenomeni più dirompenti degli anni cinquanta. La medaglia del governatore di Cremona Francesco Giussani532, fusa da Pietro Paolo nel 1566, adegua infatti il diritto al modello del governatore milanese Consalvo Hernández de Córdoba533, realizzata da Leone intorno al 1561, ma dilata rispetto alle sue consuetudini sia nell’altezza della testa, sia in quella della possente Iustitia modellata sul rovescio: la figura, solcata da una tenue trama di pieghe tra gamba e gamba e affiancata da drappeggi impalpabili, è spiegabile solo a confronto con le allegorie di Pompeo, che fu imitato persino nell’impaginazione e nei caratteri epigrafici allungati534.