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Ferrara: la fase giovanile e tre giunte emiliane

Cap I.5 Milanesi fuori Milano

II. Pompeo Leon

2. Ferrara: la fase giovanile e tre giunte emiliane

mantenuto con nuovi argomenti anche nella recente monografia di Luc Smolderen591. Non è mia intenzione rovesciare questa conclusione, ma solo notare che l’attribuzione, così come è stata formulata, non convince del tutto. Il taglio lungo ed ampio del busto, il suo scorcio accentuato e la verticalizzazione impressa al torso da alcune direttrici convergenti, ad esempio, non sono mai attestati nel corpus del fiammingo, che mostra scarsa propensione ad innovare le convenzioni rappresentative legate all’impostazione della figura. Anche a voler esaminare dettagli morelliani, in nessuno dei ritratti del prelato fusi da Jonghelinck ritroveremmo il cipiglio aggrottato e concentrato di questo ritratto: nelle proprie opere l’anversate disegnava l’arcata sopracciliare come un’alta parabola, dall’espressione serena e stupita. Il modellato del volto, con la bocca e le narici allineate alla fronte e il naso nettamente profilato, è invece riscontrabile in molte medaglie di Pompeo592.

Attenti a distinguere lo stile e soprattutto le peculiarità epigrafiche di Leone Leoni da quelle del fiammingo, Bernhart e Smolderen si sono lasciati infatti sfuggire una possibilità attributiva legata al perduto ritratto granvellano di questo terzo artista: a mio giudizio, Jonghelinck dovette conoscere l’esemplare di presentazione modellato da Pompeo e, su richiesta del committente, lo riprodusse per calco o lo seguì molto da vicino nel diritto della medaglia in questione, personalizzando tuttavia l’opera con la giunta di un rovescio e con una cesellatura tagliente e fitta593.

Il carteggio di Leone Leoni restituisce diversi esempi di questa divisione del lavoro tra un inventore italiano e un esecutore fiammingo − in genere lo stesso Jonghelinck − che realizzava nuove repliche o riadattamenti della medaglia presso Granvelle: grazie all’acribia di Luc Smolderen l’opera dell’anversate si è anzi rivelata recentemente una messe di riduzioni e varianti eseguite a partire da medaglie o cere altrui594. Simili casi mostrano tutte le panie offerte dal procedimento di fusione, dalle pratiche di bottega e da un concetto di autografia che molti cataloghi continuano a ignorare: il ritratto in questione va invece classificato come una medaglia fusa e rifinita da Jacques Jonghelinck a partire da un modello unilaterale di Pompeo Leoni limitato al solo recto. L’esigenza di una distinzione fluida tra inventori ed esecutori, già imprescindibile per un catalogo come quello di Leone Leoni, si riaffaccia anche col figlio.

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La medaglia è pubblicata da Deschamps de Pas 1857, tav. XV. Smolderen 1996, p. 242, n. 22, attribuisce il pezzo a Jonghelinck, ma nota felicemente che si tratterebbe di un’opera prima.

592 Il taglio del busto, gli occhi serrati e la forma trapezoidale del cranio sono confrontabili con i tratti

corrispondenti nella medaglia di Ercole II, un’opera che Pompeo firmò. L’acconciatura dei capelli è la medesima adottata nel ritratto del principe Carlos, mentre la tunica, scandita da leggere linee artificiosamente verticali, è da accostare al rovescio modellato per l’effigie di Juan Honorato, sulla quale cfr. Armand 1883-87, p. 250, n. 1; Plon 1887, p. 324; Toderi e Vannel 2000, I, p. 68, n. 120; esemplari principali: Cano Cuesta 1994, p. 196, n. 50.

593 Per il rovescio si confronti per esempio la medaglia di Granvelle riprodotta in Smolderen 1996, p. 253, n.

34.

594 Nella monografia di Smolderen l’elenco di queste riduzioni e varianti, destinato forse a crescere (cfr. in

proposito anche il capitolo 2.1), riempie un intero capitolo (Smolderen 1996, pp. 417-428, nn. F1-F14). Da una minuta di monsignor de Granvelle apprendiamo per esempio che nel 1551 egli scrisse a Leone Leoni di queste operazioni di finitura, in certa misura routinarie: “Vi mando una medaglia fusa qui da quella che faceste in cera de la bella Felipina [Welser], acciò vediate che non ha avuto mala sorte el orefice, il quale ne ha getato alcune mie tanto nette che mi ha fatto stupire” (in Plon 1887, p. 365; per l’effigie citata cfr. Toderi e Vannel 2000, I, p. 53, n. 72). Una lettera dello scultore ci informa invece che per una delle medaglie del prelato (Toderi e Vannel 2000, I, p. 56, n. 81) l’italiano fornì solo i coni e delle prove in piombo, lasciando alla fonderia del Perrenot l’incombenza della stampa seriale e della cesellatura (Plon 1887, pp. 374-375, lettera del 16 ottobre 1555; per la medaglia in questione cfr. anche i capp. I.1 e II.3).

Del ridotto corpus di Pompeo Leoni considereremo ora alcune opere precoci, realizzate dopo il suo rientro in Italia (1554)595. Esse ci consentono di valutare quanto il credito dimostrato a Pompeo da monsignor de Granvelle avesse trovato riscontro in commissioni principesche prima della partenza dell’artista per la corte reale di Bruxelles (1556). Al contempo, queste prime medaglie danno conto anche di come le menzione generica di Pompeo da parte di Vasari (attenta tuttavia alla produzione di microritratti) non corrispondesse tanto ad una completa estraneità del giovane Leoni al panorama artistico italiano, quanto piuttosto alla mancanza di sue opere monumentali all’interno della Penisola596.

L’unica opera firmata dal giovane Leoni prima del 1556 è una medaglia di Ercole II d’Este (1508-59)597: essa testimonia un passaggio dell’artista per Ferrara (“1554”) di cui né i biografi, né i catalogatori hanno voluto tener gran conto598. Eppure già il milanese autore delle medaglie di Francesco d’Este (forse Iacopo da Trezzo) aveva ricevuto committenze in area ferrarese, ed è legittimo sospettare che gli alti standard garantiti dalla microplastica milanese fossero stati ricercati dagli stati nord-emiliani a più riprese599.

La medaglia in questione, della quale esiste anche una variante scartata in cui il Duca porta una berretta600, ci permette di familiarizzare con la stile singolarissimo di Pompeo, caratterizzato da tagli ritrattistici lunghi, proporzioni elegantemente scorciate, rovesci con virtuosistiche posture frontali, trapassi bruschi tra il rilievo stiacciato e l’aggetto più schietto, ritmi ellittici e un modellato morbido e poco cesellato.

Due ritratti rimasti anonimi inducono inoltre a ritenere che il soggiorno di Pompeo a Ferrara (necessario per ritrarre dal vero i Duchi, le cui medaglie non derivano da effigi

595 La data del rientro di Pompeo Leoni a Milano, finora sconosciuta, si colloca a ridosso di una lettera di

Leoni scritta il 14 marzo 1554: lo scultore vi accenna discretamente al fatto che se il prelato avesse congedato il figlio, che nel frattempo doveva avere terminato il piccolo lavoro affidatogli, le statue commissionate a Leone da Carlo V e Maria d’Ungheria avrebbero potuto essere rinettate più velocemente. L’aretino si dichiara certo che il prelato avrebbe inteso il da farsi: “Circa il voler sapere come mi possa risolver presto del rinettare de le statue di metalo già fondute, non so che responder a vostra Signoria, si non che saran quanto più tosto sarà posibile rinettate, e tanto più presto, quanto non si me mancherà di aiuto, il quale per lo passato è stato debole. Pur, perché mi credo che vostra Signoria illustrissima antivederà a’ miei bisogni, come sempre ha fatto, credo che dentro da uno anno potrò darle fornite del tutto” (BPM, ms. II-2270, c. 253r). Il testo della lettera è rimasto inservibile sia a fini catalogici, sia a scopi biografici, perché pubblicato con data errata (1557) da Pérez de Tudela 2000, p. 264, n. II.

596 Vasari 1966-87 (1568), VI, p. 204: “Un figliuolo di costui [scil. Leone Leoni], chiamato Pompeo, il quale è

oggi al servizio del re Filippo di Spagna, non è punto inferiore al padre in lavorare conii di medaglie d’acciaio e far di getto figure maravigliose. Onde in quella corte è stato concorrente di Giovanpaulo Poggini fiorentino […]”. La produzione medaglistica scompare invece affatto nell’encomio di Trezzo scritto da Paolo Morigia, unico ad avere visto dal vero le statue bronzee del retablo del Escorial (1579-90) prima che venissero inviate in Spagna (Morigia 1595, p. 284): “Pompeo suo figliolo [scil. di Leone Leoni] nacque in Milano [...]. Cavagliere honorato, è creato statuario del nostro potentissimo Re Catholico; questo non solo è raro, ma divino nelle sue statove, onde nel Scuriale di Spagna si veggono molte statove di bronzo maggiori del naturale, lavorate con grandissima diligenza e maestranza e disegno, e con tanta eccellenza d’anatomia, di gesti, di atti e di panni che veramente paiono vive e moventi”.

597 Bibliografia: Armand 1883-87, I, p. 250, n. 5; Plon 1887, p. 322, tavv. XXXIX, figg. 4 e 5; Boccolari

1987, p. 136, n. 114 (ante 1556); Toderi e Vannel 2000, I, p. 70, n. 124. Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 53, n. 347; Hill 1930, I, p. 206, n. 446; Hill e Pollard 1967, p. 85, n. 446; Pollard 1984-85, III, p. 1266, n. 735; Johnson e Martini 1995, p. 132, n. 2293.

598

Plon 1887, pp. 132 e ss., non contempla neppure la possibilità che Pompeo avesse realizzato a Ferrara la medaglia firmata di Ercole II, anche se il padre, che era stato al servizio della Zecca estense negli anni trenta, poteva avere mantenuto contatti a corte nonostante la sua indecorosa fuga da Ferrara (cfr. supra, cap. I.1).

599 Boccolari 1987, p. 136, n. 114 (con bibliografia), segnala che il rovescio del mezzo scudo d’argento

estense, attribuito a Pastorino da Siena e databile nell’anno dei suoi primi pagamenti alla Zecca ferrarese (1554), presenta una figurazione derivata dalla medaglia firmata di Pompeo. Per una sintesi suoi rapporti medaglistici tra Milano e Ferrara nel periodo qui considerato cfr. infra, cap. I.7.

precedenti) sia stato più prolifico di quanto finora sospettato. Entrambi i tipi che ci accingiamo a considerare rappresentano il figlio di Ercole II, Alfonso (1533-97), in epoca anteriore alla sua successione al padre (1554). Il primo, confrontabile con quello di Ercole II sopra citato per il taglio degli occhi, è disegnato applicando gli stessi criteri di proporzione: pupille, zigomi e baffi sono allineati ad una direttrice immaginaria che scende dall’attacco del naso fino al mento, e la testa è alta quasi quanto il busto; la sua struttura modulare e squadrata, già molto evidente nelle ultime medaglie di Leone, è ulteriormente esaltata601. L’argomento decisivo in favore dell’attribuzione a Pompeo proviene però dalla figura del rovescio, Fortitudo, i cui sottili veli sollevati dal vento tracciano lo stesso gioco di pieghe della Patientia raffigurata sul rovescio dell’effigie del Duca e della Charitas modellata su una medaglia appena più tarda, quella del benedettino Diego de Lerma, databile tra 1556 e 1559 sulla base dei dati forniti dalla legenda602.

La fortuna immediata del primo ritratto di Alfonso modellato da Pompeo costituisce una riprova efficace del suo apprezzamento: l’anno seguente (“M. D. LV.”) lo stesso Alfonso si fece infatti raffigurare in una medaglia che fu modellata sotto la suggestione iconografica e stilistica del modello offerto da Pompeo603. Il profilo del volto e dell’occhio e la consuetudine di apporre la data sul troncamento del busto e con orientamento opposto alla didascalia rendono verosimile che il pezzo sia di Pastorino, che nel 1554 risulta impiegato presso la Zecca di Ferrara604.

Il secondo microritratto di Pompeo, conosciuto in un solo esemplare unilaterale, potrebbe essere una prova scartata605: l’attribuzione a Pastorino Pastorini con la quale è noto, accolta dubbiosamente da Boccolari, Vannel e Toderi, discende da un’affinità stilistica effettiva, ma il taglio del busto, il panneggio del paludamento, l’impaginazione del tondello, i caratteri epigrafici, la stilizzazione dei lunghi ciuffi sulla nuca e l’evidenza dell’ossatura all’interno del setto nasale e della mascella conducono a Leoni figlio606. Anche questa terza medaglia di Alfonso è stata presa a modello da Pastorino in un ritratto firmato (“1554”)607: viste le consuetudini imitative del senese (con le quali abbiamo già preso confidenza nei capitoli dedicati a Leone e Iacopo da Trezzo), la data potrebbe essere prudentemente

601 Bibliografia: Armand 1883-87, II, p. 193, n. 2 (anonimo); Boccolari 1987, p. 148, n. 126 (anonimo:

riferisce il rovescio con Firmitudo alle prove di resistenza offerte dal principe durante la partecipazione alla battaglia di Amiens e la conquista del castello di Renty); Toderi e Vannel 2000, I, p. 400, n. 1186 (anonimo). Esemplari principali: Armand 1883-87, II, p. 193, n. 2 (già Paris, Coll. Vasset); Attwood 2003, I, p. 150, n. 170 (attribuisce ad anonimo lombardo e riconosce l’affinità stilistica con la medaglia di Alfonso de Guevara, che crediamo di Pompeo Leoni: cfr. infra). Rispetto alla descrizione fornita da Toderi e Vannel sulla base di una scadente copia seriore, l’esemplare BML inv. A 170a, permette di precisare che la didascalia non è “AE. XXI”, bensì “A(nno)R(um) XXI” e che la Firmitudo del verso non è appoggiata a una roccia, ma ne sostiene sul dorso il peso.

602 Bibliografia: Toderi e Vannel 2000, I, p. 69, n. 122. Esemplare: Cano Cuesta 1994, p. 19, n. 52. 603

Cfr. in particolare la medaglia del senese Giovambattista de’ Vecchi, datata “1555” e firmata “P”: Toderi e Vannel 2000, II, p. 400, n. 1187.

604 Sulla biografia e l’opera di Pastorino cfr. qui il cap. I.7. Il modello offerto dalla medaglia di Pompeo fu

inoltre riutilizzato dal senese anche in un secondo ritratto estense più piccolo (d. 40mm) che gli è tradizionalmente riconosciuto (lo si trova schedato in Toderi e Vannel 2000, II, p. 607, n. 1860).

605

Iscrr. r/: “ALF [triangolo] ESTEN [triangolo e testa] FERR [id.] PRINCEPS”. Bibliografia: Hill 1920-21, p. 17, n. 82 (riferisce di una precedente attribuzione a Domenico Poggini); Müller 1921-22, p. 41, n. 2 (Pastorino); Boccolari 1987, p. 151, n. 131 (data intorno al 1556 e attribuisce a Pastorino); Toderi e Vannel 2000, II, p. 608, n. 1863 (riferiscono con dubbi a Pastorino e datano 1554). Esemplari principali: Hill 1920- 21, p. 17, n. 82 (coll. priv.).

606 Nel catalogo di Pompeo i confronti più diretti sono la medaglia di Ercole II e quella firmata di Ferdinando

Castaldo (morto nel 1563): su quest’ultimo tipo cfr. Armand 1883-87, I, p. 249, n. 1; Plon 1887, p. 323; Toderi e Vannel 2000, I, p. 71, n. 132. Il triangolo interpuntivo si ritrova anche nell’iscrizione della statua autografa di Filippo II (Aranjuez, Palacio Real) scolpita da Pompeo nel 1556 e attribuita da Sancho 1994, p. 79.

assunta come un ante quem per la medaglia di Pompeo, nella quale non compare ancora la lunga barba della versione derivata.

All’attività di Pompeo in Emilia può essere infine collegata anche la medaglia di Lucia dell’Oro in Bertani. La costruzione modulare del volto squadrato ed il busto alto e rastremato della poetessa bolognese sono facilmente riscontrabili in tutta la produzione giovanile del nostro; ma sull’autografia dell’opera (che non offre possibilità di confronto risolutive con quelle di paternità accertata) preferirei non pronunciarmi qui in maniera risoluta: rimane infatti possibile che qualche altro artista si sia lasciato sedurre dalla maniera del giovane Leoni608. L’elemento più interessante di questo pezzo consiste piuttosto nel suo stretto rapporto con due precedenti di Leone Leoni: per il recto, la medaglia di Ippolita Gonzaga (1549-50 circa)609; per il verso, la raffigurazione con Le tre Grazie ed amorini che accompagna il microritratto dell’imperatrice Isabella d’Aviz (1545- 49)610.

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