Cap I.1 Leone Leon
6. Genova, 1541: immagini per Andrea Doria
La competitività della corte romana non risparmiò nemmeno Leone: percepita la sua ultima provvisione nel marzo del 1540161, lo scultore venne arrestato per il ferimento del
160 A tale proposito è di particolare interesse una variante dell’effigie paolina nota solo in un esemplare del
Museo Nazionale del Bargello, nel quale questo ritratto più raro è unito con l’altro recto più comune: Pollard 1984-85, II, p. 982, n. 522 (segnala la firma sul bordo del piviale); Toderi e Vannel 2000, I, p. 42, n. 25 (non riportano la duplice firma del tipo a busto allungato); Toderi e Vannel 2003, I, p. 49, n. 417 (segnalano la doppia firma); Modesti 2002-, II, p. 94, n. 301 (ignora la doppia firma). Forse è della stessa effigie conservata in un diverso ibrido dei Musei Vaticani (riprodotto, ma non schedato in Modesti, 2002-, I, p. 87). Si tratta probabilmente di un tipo rigettato che documenta una precoce sperimentazione nel taglio del busto (allungato per consentire un’articolazione tridimensionale più chiara della torsione del bacino). Esso mostra anche che l’incisore studiò la possibilità di impaginare in maniera più enfatica l’iscrizione autoriale, della quale presenta sulla stessa faccia due diverse versioni: 1. “LEO”, 2,8x0,6mm, rilevata, centrata, ricavata sul taglio della spalla sinistra; 2. “LEO”, 2,4x1,4mm, rilevata e ricavata sulla figura all’estremità inferiore del piviale, con orientamento parallelo all’asse del conio. È possibile che la doppia iscrizione testimoni un primo tentativo di apporre la ‘firma’ in posizione esposta, ma la soluzione dovette essere scartata per problemi di leggibilità. A partire dalla medaglia di Martin de Hanna (1545), nuovi tentativi di ‘firma’ esposta verranno condotti con caratteri liberi proprio sul taglio della spalla, che verrà appositamente inclinato di 45 gradi.
161 Müntz 1884, pp. 322-324, dà la notizia (ripresa anche da Martinori 1917-30, IX, p. 52) di alcuni pagamenti
gioielliere papale Pellegrino di Leuti (del quale null’altro sappiamo) e condannato all’amputazione della mano destra, pena poi commutata in un periodo di lavoro sulle galere per intercessione dei cardinali Archinti, Duranti, Ridolfi e Cesarini162. L’allontanamento del medaglista dalla Zecca di Roma fu però definitivo.
Nel marzo 1541 Andrea Doria, ammiraglio della flotta imperiale, affrancò Leoni dai lavori forzati. Dietro l’iniziativa pare vada rintracciata ancora una volta la mediazione di Pietro Aretino presso Francisco Duarte, provveditore fiscale di Carlo V a Genova163: a intercedere per lo scultore fu l’ennesimo invio, documentato dalle Lettere, di una delle medaglie che Leone aveva coniato per l’Aretino164.
Per l’ennesima volta in cerca di un signore da servire, Leoni fu brevemente attivo come medaglista sotto la protezione dell’ammiraglio (committente di Bronzino, Sebastiano del Piombo, Perin del Vaga, Baccio Bandinelli e Agnolo Montorsoli, ed orientato favorevolmente verso gli artisti di cultura romana)165. Il patronato del Doria in favore del medaglista toscano durò dai primi mesi del 1541 fino al gennaio del 1542, quando Giovan Tomaso Bruno, gentiluomo vicino al governatore di Milano Alfonso d’Avalos, informò l’Aretino che “Lione” era di già ai suoi servizi, e si aspettava in Lombardia “di curto”166. Durante il suo soggiorno Leoni aveva però già coniato tre medaglie del nuovo signore di Genova (note solo in esemplari fusi e con due varietà di recto)167 e fuso almeno tre placchette, sopravvissute in esemplari bronzei (Andrea Doria riverito da Pace e Fama, Andrea Doria in veste di Nettuno placa i mari per il trionfo del nipote Giannettino, Giannettino Doria sacrificante). Probabilmente l’ammiraglio fu anche il committente della medaglia di Carlo V circolata in occasione della seconda visita a Genova dell’Imperatore (1541)168.
ASR, Camerale I, Mandati, b. 870, c. 320v, rivela tuttavia che l’ultimo pagamento a favore del medaglista risale al primo marzo 1540. Nel 1541 Leoni risulta a Genova, dove Pietro Aretino il 13 luglio gli scrive per complimentarsi della sua liberazione dalle galere papali e per richiedere un esemplare della sua medaglia di Andrea Doria (Aretino 1997-2002, II (1542), p. 299, n. 268).
162
Durante Duranti, datario apostolico, e Filippo Archinti, vicario del Vescovo di Roma, sono menzionati assieme ai cardinali Alessandro Cesarini e Niccolò Ridolfi (protettore di quel Francesco Priscianese, grammatico, che Leoni menzionava come amico nel 1546: Ronchini 1865, p. 24, n. 2) in un resoconto della vicenda stesso da Iacobo Giustiniani: cfr. Aretino 2003-04, II (1552), pp. 110-112, n. 98.
163 Aretino 1997-2002, II (1542), p. 299, n. 268, lettera all’Aretino del 15 maggio 1541. 164
Aretino 1997-2002, II (1542), p. 289, n. 259, lettera al Duarte del 15 maggio 1541: “Degnisi la magnanimità di voi, che sete mente dei negozii cesarei e spirito de le essecuzioni auguste, di accettare e questa lettra e la medaglia di chi gnile indirizza”. La risposta del provveditore non si fece attendere (Aretino 2003-04, II (1552), p. 172, n. 160): “mastro León, el fabro Aretino vostro conoscydo y servidor, [...] dize que es él que hizo los hierros de vostra medalla, me certífica que no fue bien sacada de los moldes”: come a dire che non solo il nesso tra l’invio della medaglia e la raccomandazione del suo artefice era ben presente al Duarte, ma egli era a conoscenza del fatto che la seconda coniazione era stata curata da Battista Baffo. Il Duarte segnalava inoltre all’Aretino la nuova medaglia del Doria e altri lavori commissionati a Leoni da “curiosos y amigos”.
165 Gorse 1995, pp. 260-261 (con bibliografia).
166 Aretino 2003-04, II (1552), p. 146, n. 133, 31 gennaio 1541 (scilicet 1542?). Cfr. anche la lettera di Giovan
Tomaso Bruno del 27 agosto 1541: Aretino 2003-04, II (1552), p. 146, n. 134.
167
La seconda variante, in cui il Doria porta il collare del Toson d’oro (Toderi e Vannel 2000, I, p. 44, n. 34), sembra derivare dalla prima, perché la giunta è stata apportata cesellando materiale ricavato dallo spessore delle pieghe. Analogamente seriore, e di molto, è la variante di modulo maggiore che Toderi e Vannel (2000, I, p. 44, n. 33) classificano come tipo autografo.
168
In una lettera encomiastica al Doria del 13 luglio 1541 l’Aretino, condensando i motivi centrali della strategia di consenso del Doria, si dimostrò al corrente dei topoi e delle occasioni che sono alla base delle placchette (Aretino 1997-2002, II (1542), p. 298, n. 267). L’Aretino non aveva ancora visto le medaglie coniate da Leoni per l’ammiraglio genovese (lo stesso giorno infatti ne richiedeva al Leoni un esemplare: Aretino 1997-2002, II (1542), p. 299, n. 268); egli fu però in grado di dare nuova risonanza alla celebrazione del Doria come secondo Nettuno proposta già negli anni trenta (si pensi all’Orlando Furioso del 1532, canto XV, ottave 30-33, o al ritratto di Andrea in veste di Nettuno dipinto da Agnolo Bronzino, oggi alla Galleria
Questa circostanza è alla base della particolare intonazione diplomatica richiesta dal Doria alle opere genovesi di Leone, nelle quali il ricorso sistematico al codice monetale antico come mezzo comunicativo tradisce la mano esperta di un numismatico non ancora identificato, che secondo Gorse potrebbe essere Paolo Giovio169. La raffinatezza del riadattamento iconografico può essere apprezzata considerando il fatto che i diversi modelli monetali, tutti di età repubblicana, furono prescelti per suggerire un grado di decoro inferiore rispetto a quello “augusteo” impiegato dalla medaglistica imperiale e pontificia. I valori politici esaltati dai rovesci non erano espressione dei poteri goduti dal celebrato, bensì di un accordo e di una onorificenza sottoscritti dalla comunità.
Il primo rovescio della medaglia di Andrea Doria (“LIBERTAS PVBLICA”), più raro, allude alla posizione di primus inter pares che l’ammiraglio assunse rispetto al governo oligarchico di Genova170.
Il secondo rovescio raffigura una galea battente bandiera imperiale171. Al suo fianco naviga una barca e in primo piano, sopra uno scoglio, giace una figura seduta che protende un’asta od un remo (rappresenta Nettuno pacificatore o, come vorrebbe Pollard, una mera parentesi arcadica di tranquillitas piscatoria?)172. Il rovescio è spesso interpretato come la raffigurazione della liberazione di prigionieri avvenuta nel 1540 grazie alla cattura del pirata Dragut; ma anche se il significato puntuale dell’immagine rimane incerto, la derivazione da motivi iconografici della monetazione d’età romana ne fornisce con sicurezza il senso generale: una galea “coi suoi ordini de remi [...] e alcune figure dentro” è
Doria-Pamphili di Roma, per i quali cfr. Parma Armani 1986, pp. 99-101 e 271-272; Boccardo 1989, p. 110; Gorse 1995, p. 260). Non a caso lo stesso motivo encomiastico della prima placchetta (“el illustrissimo príncipe D’Oria, nostro nuevo Neptuno, y general cesareo”) era stato opportunamente ricordato dal provveditore imperiale Duarte in una lettera all’Aretino del 3 giugno 1541 (Aretino 2003-04, II (1552), p. 172, n. 160). La lettera dello scrittore e le opere metalloplastiche del suo protetto applicavano alle celebrazioni genovesi il loro sperimentato principio di complementarità tra letteratura ed arti visive.
169 Gorse 1995, p. 261 (ma su questo problema ritorneremo più diffusamente nel corso del cap. II.1). In due
dei tre tipi l’assenza d’iscrizioni sul rovescio, alquanto anomala, va senz’altro letta come un indizio dell’esistenza di un codice celebrativo ampiamente condiviso.
170 Sul tipo con “LIBERTAS PVBLICA cfr. Armand 1883-87, I, p. 164, n. 10, e III, p. 68, n. m; Casati 1883,
p. 50, n. 3; Plon 1887, p. 257; Toderi e Vannel 2000, I, p. 44, n. 35. Esemplari: Johnson e Martini 1994, p. 117, nn. 2233-34; Börner 1997, p. 173, n. 746; Attwood 2003, I, p. 96, n. 9. Come modelli per la didascalia segnalo in particolare un denario ed un dipondio di Galba (Vico 1548, c. 35v, in RIC, I, p. 203, n. 35 e p. 205, n. 59). L’iconografia dipende invece dall’asse claudiano riprodotto da Vico 1548, c. 28r (RIC, I, p. 130, n. 69), che presenta Libertas con pileo nella destra ed il braccio sinistro estroflesso e legenda “LIBERTAS AVGVSTA”. La scelta di contaminare i due modelli correggendo sulla base del primo la didascalia del secondo, più attraente dal punto di vista figurativo, prova che la committenza intese presentare la sopravvivenza della repubblica di Genova come il prodotto di un processo politico interno, e non come concessione di Carlo o di Andrea.
171 Bibliografia: Armand 1883-87, I, p. 164, n. 9, e III, p. 68, n. l; Plon 1887, p. 256; Fabriczy 1904 (1903), p.
200, tav. XXXIX, fig. 1; Habich 1924, pp. 131-134, tav. XCI, fig. 1; Jones 1979, figg. 132-134 (pubblica i presunti disegni preparatori per il recto, oggi alla J. Pierpont Morgan Library di New York); Cano Cuesta 1994, p. 174, n. 29; Gorse 1995, p. 260; Toderi e Vannel 2000, I, p. 43, n. 31. Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 36, n. 235; Álvarez-Ossorio 1950, p. 132, n. 164; Hill e Pollard 1967, p. 82, n. 431 (con collare); Valerio 1977, p. 137, n. 94; Pollard 1984-85, III, p. 1218, n. 711; Johnson e Martini 1994, pp. 117-120, nn. 2236-2240 (senza collare i nn. 2236-37); Börner 1997, p. 172, n. 745 (con collare); Attwood 2003, I, p. 94, n. 5, Toderi e Vannel 2003, I, p. 50, nn. 424-427.
172 Erizzo riproduce nel 1559 il verso di una “medaglia” di Nerone che rappresenta una simile figura tutelare
(pp. 166-167): “ha per riverso un porto con alquante navi, et di minutissima figura scolpite; et una figura nel porto sedente, di Nettuno, che con la destra appoggia un temone in terra, e con la sinistra abbraccia un delfino”. L’emissione celebrava la costruzione del porto di Ostia: “[...] per Nettuno sopra il porto sedente intendiamo la quiete del mare. Et il temone cacciato a terra ci dà segno della navigatione nel porto” (cfr. RIC, I, pp. 151-152, nn. 88-108, tav. X, fig. 168).
infatti il soggetto di un sesterzio adrianeo che reca l’iscrizione “FELICITATI AVG”173. Per il recto è invece valido l’accostamento di Gorse con una moneta che ritrae Pompeo Magno, padre di Sesto, nei tratti di un Alessandro Magno divinizzato dal tridente, da un delfino (presenti anche nella medaglia di Doria) e dall’iscrizione “Neptuni” (figlio di Nettuno)174. A tale lettura possiamo aggiungere che non solo il repertorio di Enea Vico prova la disponibilità del tipo adrianeo durante il secolo XVI, ma che esso mostra anche quali tratti semantici motivassero l’interpretazione e il riuso dell’iconografia antica nella medaglia del Doria: l’incisore parmense scrive infatti che “Sesto Pompeio si fè chiamare figliuolo di Nettuno per la buona fortuna ch’egli più volte hebbe in mare”; perciò egli “scolpì nella sua moneta”, un denario, “la imagine e forma di Nettuno”175.
Il terzo rovescio associato all’immagine di Andrea Doria raffigura una testa virile176. Il ritratto, tradizionalmente identificato con quello di Leoni, è stato associato di conseguenza alla sua liberazione dalle galere, che in realtà non avvenne per merito specifico di Andrea, rappresentato sul recto177. Al contrario, la menzione d’una medaglia di Giannettino (Giovanni) Doria in una lettera allo scultore del 1548 induce a pensare che quest’ultima effigie, finora non identificata, possa essere quella pervenutaci sul rovescio in questione178: il volto del giovane capitano sarebbe allora incorniciato dai ceppi e dalle catene da cui liberò i prigionieri del pirata Dragut, e i segni infranti della prigionia sarebbero qui esibiti a
173
Erizzo 1559, p. 273 (RIC, II, p. 431, n. 703.3).
174 Il doppio parallelo con Sesto Pompeo e con Nettuno allude alla tutela degli imperiali sui mari: la fusta
raffigurata, oltre che una nave da corsa, era un’imbarcazione mercantile, impiego che pare più consono alla bandiera che esibisce sul cassero. Sull’iconografia di Andrea Doria rinvio a Lingua 1984, pp. 105 e ss.; Parma Armani 1986, pp. 63 e ss.; Boccardo 1989, pp. 105-118; Gorse 1995, pp. 255-265.
175 Vico 1555, p. 109 (RRC, I, p. 495, n. 483).
176 Bibliografia: Armand 1883-87, I, p. 164, n. 8, e III, p. 68, n. k; Plon 1887, p. 256; Fabriczy 1904 (1903), p.
204, tav. XXXIX, fig. 1; Habich 1924, pp. 131-134; Boccardo 1989, p. 110; Cano Cuesta 1994, p. 172, n. 28; Toderi e Vannel 2000, I, pp. 43-44, n. 32. Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 36, n. 234; Hill 1912, p. 53, n. 30; Hill 1915 (1), p. 16, tav. XLVII, fig. 1; Álvarez-Ossorio 1950, p. 133, n. 170; Hill e Pollard 1967, p. 82, n. 430; Valerio 1977, p. 137, n. 93; Pollard 1984-85, III, p. 1216, n. 712; Gorse 1995, p. 260; Philip Attwood, in Scher 1996, p. 152, n. 50; Johnson e Martini 1994, p. 119, nn. 2242-45; Börner 1997, p. 172, n. 744; Attwood 2003, I, p. 95, n. 6; Toderi e Vannel 2003, I, p. 49, nn. 421-423.
177 La lettura ottocentesca (Plon 1887, p. 256) secondo cui il libero artista celebrerebbe nella medaglia il
proprio benefattore e alluderebbe con essa, celliniamente, al proprio passato canagliesco (peraltro a spese del mecenate che pagava l’opera) collide con tutto ciò che sappiamo del ritratto d’artista in medaglia: una scorta al bel libro dedicato all’argomento da George Francis Hill (1912) – che pure accetta accetta pronamente l’ipotesi che la figura sul rovescio della testa di Andrea Doria sia Leoni – chiarisce che in questo genere figurativo l’artefice non si ritrae mai col suo patrono, e non omette mai di dichiarare il proprio nome nella legenda. Una sola eccezione mi è nota: la medaglia con ritratti iugati di Alessandro Bassano e Giovanni da Cavino: ma il Bassano non era un principe, e l’associazione di antiquario ed artefice in una medaglia anticheggiante (di cui sono quasi coautori) ha ben altra pertinenza di significato. Chi era poi Leoni, ancora senza impiego e con una condanna pendente, nel 1541? Giova infine osservare che l’unico ritratto certo di Leone Leoni (Armand 1883-87, I, 168, n. 26; Plon 1887, p. 256; Hill 1912, p. 53, n. 31; Toderi e Vannel 2000, I, p. 51, n. 62: Milano, Biblioteca Ambrosiana), una medaglia di tiratura assai inferiore e risalente al 1549 circa, cioè di soli otto anni più tarda, non presenta nessuna somiglianza significativa col rovescio della medaglia di Doria. Quanto all’autografia della medaglia dell’Ambrosiana, attribuita a Leoni da Plon (1887, p. 256), il panneggio tormentato della tunica e la stereometria del volto lasciano molti dubbi sul fatto che essa costituisca un autoritratto: chi scrive ritiene piuttosto che l’effigie debba essere accostata ad una personalità come “PPR”: l’impaginazione del tondello e la barba, spugnosa e irregolamente folta, sono quelle della medaglia di Giovampaolo Lomazzo; i panneggi e qualche tratto del viso richiamano da vicino la medaglia di Giovambattista Castaldo siglata da “PPR”, e la resa approssimativa e spericolata delle spalle scorciate ricordano il microritratto di Noël Carpentier (tutte opere riconosciute universalmente a “PPR”: cfr. Toderi e Vannel 2000, II, risp. p. 517, n. 1554; p. 514, n. 1534; p. 517, n. 1552).
mo’ di trofeo179. Se tale ipotesi è corretta, anche la scena rappresentata in funzione attributiva dietro la nuca del personaggio, secondo la consuetudine monetale antica, dovrebbe riferirsi alle sue gesta: ad un esame ravvicinato si vedono in effetti àncore, ganci ed una figura stante che forza con un’asta un lucchetto di foggia arabeggiante il cui gambo, ruotato sulla sinistra, è stato aperto180. Il volto dello zio Andrea sarebbe insomma stato associato a quello del nipote, suo successore nelle cariche cittadine e militari, adottando la convenzione monetale del tondello a due facce: ciò avrebbe chiarito, anche in assenza di iscrizione, l’identità e la posizione del giovane raffigurato sul rovescio.
Un altro procedimento linguistico di larga influenza, l’assimilazione encomiastica a figure mitiche o eroizzate attraverso criptoritratti, emerge in forma più conclamata nelle placchette di Leoni, genere in cui il riconoscimento di ritratti ed iconografie dalla valenza politica è piuttosto raro181. Vale dunque la pena di esaminare questo secondo esperimento genovese, anche perché esso è senz’altro uno dei precedenti alla base dei rovesci mitologici che emergono nelle committenze medaglistiche imperiali e milanesi dopo il 1542.
Nella prima (“ANDR · PATRIS · AVSPITIIS · ET / PROPRIO LABORE”), Giannettino Doria trionfa sul mare con un carro trainato da ippocampi e draghi182. Il capitano regge un
179 Suffraga quest’ipotesi anche il fatto che la testa del rovescio leoniano non sia l’unica effigie contornata da
catene della medaglistica cinquecentesca: nel riprodurre un tipo del 1554 che celebrerebbe l’approdo di Filippo II in Inghilterra, già Van Mieris 1732-35, III, p. 349, interpreta le catene in riferimento alla monetazione di Nerone e al suo adventus marittimo; e a p. 395 del medesimo volume una catena circonda il campo di una medaglia che celebra il viaggio di Carlo V del 1556.
180 Cfr. in proposito Prochnow 1968, s.n., tavv. 25 e 76. Le fattezze del ritratto sul rovescio sono identiche a
quelle della figura assisa nella prima placchetta, Trionfo di Giannettino Doria sotto gli auspici di Andrea Doria, alla quale già Hill attribuiva un significato dinastico (Hill 1929, pp. 500-501); per giunta, esse sono vicinissime anche al Giannettino sacrificante effigiato in una placchetta pubblicata di recente in un articolo (Thornton 2006, p. 831) che ignora però la nostra proposta di identificazione a proposito della medaglia (Walter Cupperi, in DBI, LXIV, 2005, p. 594, e in Avagnina, Binotto e Villa 2005, pp. 242-243, n. 285). L’unico ostacolo alla lettura che proponiamo per la medaglia è costituito dal ritratto di Giannettino – difficilmente confrontabile col nostro, perché quasi frontale – conservato negli appartamenti privati di Palazzo Doria Pamphili a Roma: la forma estremamente regolare del naso, le nari sottili e il taglio delle palpebre del dipinto potrebbero in effetti essere quelli effigiati nella medaglia del 1541, ma il dipinto presenta tratti più appensantiti, un’acconciatura differente ed un mento ovalizzato e sbarbato. Dall’attribuzione della tavola ad Agnolo Bronzino (messa in dubbio solo da Emiliani 1960, pp. 77-78, che riporta un’attribuzione orale di Roberto Longhi a Francesco Salviati) è conseguita per esso una datazione intorno al 1546 sostenuta da due fattori contestuali: 1. il ritratto bronzinesco di Andrea Doria oggi alla Pinacoteca di Brera risale al suo soggiorno romano di quell’anno; 2. la data soddisfa anche il terminus ante quem costituito dalla data di morte di Giovanni (1547: cfr. McComb 1928, p. 81; Becherucci 1952, [p. 11]; McCorquodale 1981, p. 125). Rimane però il fatto che l’identificazione del soggetto, mai impugnata, risiede su un dato di tradizione. Per giunta, quand’anche si voglia tenere per buono la vulgata che riconosce Giannettino nel ritratto romano, sappiamo troppo poco sulla genesi del ritratto per poterne valutare l’attendibilità, e non ci risultano ad oggi altri ritratti del giovane capitano che consentano di dirimere la questione. Basterà notare che, se solo il ritratto risalisse al 1547 o al 1548, esso andrebbe considerato un’opera di restituzione.
Pare invece meno accreditabile (anche per ragioni di abito) l’ipotesi che il personaggio ritratto nella medaglia sia il quarantenne Dragut, come indurrebbero a credere di primo acchito i ceppi aperti e le catene che circondano il volto.
181 Le tre placchette hanno lo stesso formato: esse decoravano forse, tradotte in pastiglie o in cuoio sbalzato, il
campo di una coperta libraria o i due lati maggiori di una cassetta o di un calamaio (come suggerisce Thornton 2006, p. 832). Bisogna però notare che nelle tre figurazioni sopravvissute la scala dei personaggi è disuguale: è dunque legittimo chiedersi se esse fossero davvero destinate a decorare più lati di uno stesso oggetto, o piuttosto non facessero parte di una serie in senso stretto.
182 L’attribuzione a Leoni, formulata da Molinier (1886, II, p. 19, n. 352) su basi stilistiche e biografiche, ha
trovato consenso in tutta la critica successiva: cfr. Bange 1922, p. 122, n. 929; Maclagan 1924, pp. 71-72, nn. 167-1864 e 267-1864 (ottimo il n. 267-1864, 90 x 76mm); De Ricci 1931, p. 260, n. 392; Santangelo 1964, p. 38 (altro esemplare a Roma, collez. Doria); Pope-Hennessy 1965, p. 27, n. 75; Cannata 1982, p. 67, n. 60; Pollard 1989, p. 240, n. 162; Toderi e Vannel 1996, p. 68, n. 110; Davide Gasparotto, in Banzato, Beltramini
tridente e rivolge la testa verso la figura in secondo piano, che rappresenta Andrea Doria nudo, barbato e paludato come Nettuno. In piedi sul proprio carro, Nettuno-Doria, dopo avere placato i flutti col proprio tridente, affida alla figura loricata il governo dei mari ormai placati e si inabissa. Il cielo è solcato da un arcobaleno e dal volo di alcuni uccelli. La lettura proposta da Molinier, che interpreta l’iscrizione come “ANDR(ea) PATRIS AVSPITIIS […]” (“Andrea, sotto gli auspici del padre [Nettuno]…”) e il soggetto come Andrea Doria accompagnato da Nettuno, è stata condivisibilmente impugnata dallo Hill, che ha sciolto la parte abbreviata della legenda in “ANDR(eae) PATRIS AVSPITIIS […]” (“sotto gli auspici del padre Andrea”), identificando Nettuno con Andrea Doria e la figura sul carro con Giannettino, suo nipote e figlio adottivo. Una conferma alle tesi di Hill proviene dal possibile modello numismatico della placchetta, un denario augusteo la cui legenda (“CAESAR . DIVI . F .”) potrebbe esser stata ripresa qui sia nel collegamento legittimante tra Augusto e Caio Giulio (cioè tra Giannettino e Andrea), sia nel riferimento encomiastico al divus Nettuno, effigiato con tridente nel rovescio della moneta183. La placchetta è un’allegoria della vittoria conseguita da Giannettino sul pirata Dragut nel 1540184.
Se ricongiungiamo questa placchetta alla seconda, raffigurante Andrea tra Pace e Fama (London, British Museum), la lettura che proponiamo trova ulteriori conferme185. Andrea Doria, vestito d’una corazza anticheggiante, è raffigurato mentre riceve un ramoscello di ulivo da Fama genuflessa; un secondo ramo gli viene offerto da Pace. Le allegorie alludono in chiave legittimante alle gesta che hanno consolidato la sicurezza esterna e la prosperità economica di Genova: la recente cattura del pirata Dragut (1540), la più lontana vittoria sui Mori a Tunisi (1535) e la liberazione della Repubblica dai Francesi (1528). La legenda (“VIRTVS . MAIORA . PARAT”) e l’imbarcazione in secondo piano, pronta a salpare, fanno riferimento alle prossima impresa di Algeri (1541)186.