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Una medaglia perduta di Antoine Perrenot de Granvelle

Cap I.5 Milanesi fuori Milano

II. Pompeo Leon

1. Una medaglia perduta di Antoine Perrenot de Granvelle

di Giovannantonio un eccezionale Ritratto di uomo barbato su onice grigio-bruna con riporti dorati e smaltati (Milano, collezione privata, già collezione Marlborough) che si lascia accostare così felicemente alle medaglie di Enrico II e Paolo IV da far presumere che essa sia un’opera precedente il soggiorno fiorentino di de’ Rossi582. Alla maturità di costui va invece ascritto un cammeo con testa virile (London, British Museum) la cui erronea identificazione con il Focione di Alessandro Cesati menzionato da Giorgio Vasari ha ritardato sino ad oggi una corretta valutazione stilistica. Già Kris prese però le distanze dall’attribuzione al Grechetto, e nel 1978 Hill e Pollard notarono che essa non trovava nessun appiglio formale: in effetti, i migliori riscontri morelliani con l’onice londinese sono offerti dal Cosimo I del gran cammeo mediceo583.

La nostra rassegna su de’ Rossi può concludersi infine con una nota documentaria relativa ad un cammeo di Carlo V con Marte al rovescio (Firenze, Museo degli Argenti), già attribuito su basi stilistiche dal Kris584. Lo stato frammentario del pezzo ci induce ora a identificarlo con un pezzo menzionato da Alfonso del Testa in una lettera a Francesco I de’ Medici del 22 febbraio 1585:

Mando a vostra Altezza serenissima […] il cameo di Carlo Quinto imperatore, fatto mentre che viveva [scil. ante 1558], et è compagno di quello che già li mandai in un lapislazzuli di Filippo [il Bello] d’Austria, padre di esso Carlo […]; sebbene ha un poco di rottura nella testa si può facilmente accomodare585.

Il cammeo, già proprietà del Cardinale da Carpi, era passato alla collezione dell’agente romano, che lo aveva donato infine al Granduca di Toscana. La provenienza romana del pezzo e la sua datazione agli anni cinquanta offrono dunque nuovi argomenti per valutare la proposta attributiva del Kris, collocando la realizzazione dell’opera nei primi anni romani di Giovannantonio: tale dato potrebbe infatti giustificare la maggiore crudezza del Carlo V rispetto al gran cammeo mediceo. Chi scrive ritiene tuttavia che l’ipotesi che qui sia piuttosto all’opera la bottega di Giovannantonio (o forse un giovanissimo Domenico Compagni) rimanga attualmente la più ragionevole.

II. Pompeo Leoni

1. Una medaglia perduta di Antoine Perrenot de Granvelle

581 Ad una maniera vicina al de’ Rossi, se non alla stessa mano, si lasciano ricondurre anche un cammeo a due

facce con busti di Ercole e Onfale (Wien, Kunsthistorisches Museum: Eichler e Kris 1927, p. 148, n. 320, tav. XLV) ed un’agata con Figura femminile (Firenze, Museo degli Argenti: Kris 1929, p. 142, tav. 181, fig. 618) accostati da Kris e Eichler allo stile di Ottavio Miseroni, ma giustamente ritenuti di mano distinta: tra le opere del de’ Rossi essi trovano confronto per la stilizzazione dei capelli e della barba nelle medaglie di Carlo Borromeo e Marcello II e nel cammeo con Cosimo I e la sua famiglia (si noti in particolare la resa delle palpebre, del bulbo oculare e della pupilla).

582

Il cammeo è illustrato e datato in Hackenbroch 1979, p. 38, fig. 74 e tav. II, che lo attribuisce però a Leone Leoni.

583 Dalton 1915, p. 55, n. 403 (che rifiuta l’identificazione con Focione); Kris 1929, pp. 60, 74 e 170, n. 304;

Hill 1920 (2), p. 94 (Hill e Pollard 1978, p. 90). Per il passo in questone cfr. Vasari 1966-87 (1568), IV, p. 629: “Vedesi ancora molti altri intagli di sua man [scil. di Cesati] in cammei […]; ma quello che passò tutti fu la testa di Focione ateniese, che è miracolosa et il più bello cameo che si possa vedere”.

584 Kris 1929, p. 80, tav. 78, fig. 315 (de’ Rossi); Piacenti Aschengreen 1968, p. 182, n. 981; Valerio 1977, p.

151, n. 122 (“prodotto di bottega, probabilmente milanese”); Gennaioli 2007, p. 265, n. 254 (bottega di de’ Rossi). Il modello dell’effigie, non realizzata dal vero, è probabilmente una delle due medaglie leoniane realizzate nel 1541.

Ansioso di lavorare in proprio, Pompeo Leoni (?, 1530 circa - Madrid, 1608) lasciò la bottega milanese del padre Leone a vent’anni o poco più per intraprendere un viaggio a Roma. Compiuta questa esperienza formativa, si mise al servizio del ministro imperiale Antoine Perrenot, al quale era stato raccomandato da una lettera del genitore risalente al 1551586. Il testo della missiva (il primo documento pervenutoci su questo singolare figlio d’arte) è assai interessante, perché dimostra che a tale data Pompeo era già considerato da Leone uno scultore esperto:

[Pompeo] servirà ne la vostra presentia [per] rinetar l’ovato che in metalo vi mando587; il quale peso de rinetarlo pure lo farà lui, scaricandomene io sopra qualche altra opera. Esso lo farà tanto diligente, che mi avanzerà, et sicuramente vostra Signoria si serva di lui in qualsivoglia cosa de l’arte o grande o piciola, che egli per lo grande acquisto ch’ ha fatto, bravamente vi riuscirà588.

La prima notizia di un’opera realizzata autonomamente da Pompeo è del 1552, quando il ministro Granvelle comunica a Leone che “la medaglia che [vostro figlio] ha fatto [qui ad Innsbruck] e di che nelle vostre si fa menzione mi piace, per la età sua”589. L’effigie del Perrenot, che colloca gli esordi ritrattistici del giovane Leoni presso uno dei più notevoli committenti di opere microplastiche dell’Europa transalpina e al seguito della corte cesarea, non è però mai stata identificata, anche perché la produzione medaglistica di questo artista, dopo l’affondo dato da Eugène Plon (1887), è tornata a destare attenzione solo recentemente e con risultati notevoli, limitati però al suo periodo maturo e ad una prospettiva attribuzionistica590.

Ora, tra i ritratti metallici del prelato, un medaglione che rappresenta al rovescio Granvelle nei panni di Ulisse legato di fronte alle sirene ha travagliato particolarmente la critica: Plon era propenso a vedervi la mano di Leone Leoni, Simonis chiamò in causa Antoine

586 Sulla biografia e l’opera di Pompeo cfr. Plon 1887, in part. 33 e ss. e 322 e ss.; Forrer 1902-30, III, pp.

412-415; Estella Marcos 1993, pp. pp. 133-149; Cano Cuesta 1994, pp. 163-167; W. Cupperi, Leoni, Pompeo, in DBI, 2005, LXIV, pp. 610-612; Michael P. Mezzatesta, in DA, XIX, pp. 203-204. Una giunta all’opera grafica di Pompeo (che consiste di due disegni per il San Giovanni e la Vergine del retablo escurialense conservati al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe di Firenze) è proposta da Mary Newcome Schleier, in Checa Cremades 1998, p. 541, n. 184, che gli attribuisce un disegno per il cenotafio di Filippo II nella Basilica di San Lorenzo all’Escorial. Sulla collezione madrilena di Pompeo cfr. Helmstutler di Dio 2006, pp. 137-167.

La notizia sui natali milanesi di Pompeo, fornita da Morigia 1595, p. 284, non trova riscontro altrove. Da un documento del 1585 risulta indirettamente l’iscrizione di Pompeo alla Scuola di Sant’Eligio, necessaria per ottenere dopo otto anni di attività orafa la facoltà di esporre l’insegna “della cadena”, che è descritta in quest’occasione (Romagnoli 1977, p. 157).

587 L’ovato bronzeo di Carlo V proveniente dalla collezione Granvelle è custodito al Kunsthistorisches

Museum di Vienna: cfr. Planiscig 1924, p. 129, n. 224. È quindi in errore Helmstutler di Dio 2006, p. 138, che crede di identificare l’“ovato” (menzionato anche in una lettera di Ferrante Gonzaga a Granvelle del 14 gennaio 1552 pubblicata dalla stessa Helmstutler di Dio 2006, nell’app. I, 1 della versione web del suo intervento, http://jhc.oxfordjournals.org) con la medaglia del prelato fusa da Pompeo. L’interpretazione della studiosa americana va emendata anche in un secondo punto: sebbene Pompeo si recasse a Roma per motivi di studio, nel 1552 Granvelle si trovava in Tirolo, e non nell’Urbe.

588

Plon 1887, p. 365, n. 31.

589

Plon 1887, p. 268, n. 36. Sull’iconografia medaglistica del prelato sono fondamentali Gauthier 1900 (1), pp. 90-109; Gauthier 1900 (2), pp. 305-351; Bernhart 1920-21, pp. 101-119, e Smolderen 2000, p. 293-315. Sulla medaglia del prelato cfr. Plon 1887, p. 322 (non identificata), mentre un tentativo di associare la menzione epistolare di Granvelle con un tipo esistente è stato avanzato sulla base di un esemplare mediocre (MANM) da Cano Cuesta 1994, p. 193, n. 45; per quel tipo però rimane a nostro avviso convincente l’attribuzione tradizionale a Leone (Toderi e Vannel 2000, I, p. 55, n. 80).

Morillon, mentre Max Bernhart lo ascrisse a Jacques Jonghelinck, sotto il cui nome è stato mantenuto con nuovi argomenti anche nella recente monografia di Luc Smolderen591. Non è mia intenzione rovesciare questa conclusione, ma solo notare che l’attribuzione, così come è stata formulata, non convince del tutto. Il taglio lungo ed ampio del busto, il suo scorcio accentuato e la verticalizzazione impressa al torso da alcune direttrici convergenti, ad esempio, non sono mai attestati nel corpus del fiammingo, che mostra scarsa propensione ad innovare le convenzioni rappresentative legate all’impostazione della figura. Anche a voler esaminare dettagli morelliani, in nessuno dei ritratti del prelato fusi da Jonghelinck ritroveremmo il cipiglio aggrottato e concentrato di questo ritratto: nelle proprie opere l’anversate disegnava l’arcata sopracciliare come un’alta parabola, dall’espressione serena e stupita. Il modellato del volto, con la bocca e le narici allineate alla fronte e il naso nettamente profilato, è invece riscontrabile in molte medaglie di Pompeo592.

Attenti a distinguere lo stile e soprattutto le peculiarità epigrafiche di Leone Leoni da quelle del fiammingo, Bernhart e Smolderen si sono lasciati infatti sfuggire una possibilità attributiva legata al perduto ritratto granvellano di questo terzo artista: a mio giudizio, Jonghelinck dovette conoscere l’esemplare di presentazione modellato da Pompeo e, su richiesta del committente, lo riprodusse per calco o lo seguì molto da vicino nel diritto della medaglia in questione, personalizzando tuttavia l’opera con la giunta di un rovescio e con una cesellatura tagliente e fitta593.

Il carteggio di Leone Leoni restituisce diversi esempi di questa divisione del lavoro tra un inventore italiano e un esecutore fiammingo − in genere lo stesso Jonghelinck − che realizzava nuove repliche o riadattamenti della medaglia presso Granvelle: grazie all’acribia di Luc Smolderen l’opera dell’anversate si è anzi rivelata recentemente una messe di riduzioni e varianti eseguite a partire da medaglie o cere altrui594. Simili casi mostrano tutte le panie offerte dal procedimento di fusione, dalle pratiche di bottega e da un concetto di autografia che molti cataloghi continuano a ignorare: il ritratto in questione va invece classificato come una medaglia fusa e rifinita da Jacques Jonghelinck a partire da un modello unilaterale di Pompeo Leoni limitato al solo recto. L’esigenza di una distinzione fluida tra inventori ed esecutori, già imprescindibile per un catalogo come quello di Leone Leoni, si riaffaccia anche col figlio.

2. Ferrara: la fase giovanile e tre giunte emiliane

591

La medaglia è pubblicata da Deschamps de Pas 1857, tav. XV. Smolderen 1996, p. 242, n. 22, attribuisce il pezzo a Jonghelinck, ma nota felicemente che si tratterebbe di un’opera prima.

592 Il taglio del busto, gli occhi serrati e la forma trapezoidale del cranio sono confrontabili con i tratti

corrispondenti nella medaglia di Ercole II, un’opera che Pompeo firmò. L’acconciatura dei capelli è la medesima adottata nel ritratto del principe Carlos, mentre la tunica, scandita da leggere linee artificiosamente verticali, è da accostare al rovescio modellato per l’effigie di Juan Honorato, sulla quale cfr. Armand 1883-87, p. 250, n. 1; Plon 1887, p. 324; Toderi e Vannel 2000, I, p. 68, n. 120; esemplari principali: Cano Cuesta 1994, p. 196, n. 50.

593 Per il rovescio si confronti per esempio la medaglia di Granvelle riprodotta in Smolderen 1996, p. 253, n.

34.

594 Nella monografia di Smolderen l’elenco di queste riduzioni e varianti, destinato forse a crescere (cfr. in

proposito anche il capitolo 2.1), riempie un intero capitolo (Smolderen 1996, pp. 417-428, nn. F1-F14). Da una minuta di monsignor de Granvelle apprendiamo per esempio che nel 1551 egli scrisse a Leone Leoni di queste operazioni di finitura, in certa misura routinarie: “Vi mando una medaglia fusa qui da quella che faceste in cera de la bella Felipina [Welser], acciò vediate che non ha avuto mala sorte el orefice, il quale ne ha getato alcune mie tanto nette che mi ha fatto stupire” (in Plon 1887, p. 365; per l’effigie citata cfr. Toderi e Vannel 2000, I, p. 53, n. 72). Una lettera dello scultore ci informa invece che per una delle medaglie del prelato (Toderi e Vannel 2000, I, p. 56, n. 81) l’italiano fornì solo i coni e delle prove in piombo, lasciando alla fonderia del Perrenot l’incombenza della stampa seriale e della cesellatura (Plon 1887, pp. 374-375, lettera del 16 ottobre 1555; per la medaglia in questione cfr. anche i capp. I.1 e II.3).

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