• Non ci sono risultati.

Cap I.1 Leone Leon

12. Dopo il 1556: la committenza lombarda

Morti Carlo V (1558), Maria d’Ungheria (1558), e Ferrante Gonzaga (1557), Leoni prese a lavorare soprattutto a Milano, riuscendo a declinare un’imminente quanto sgradita convocazione alla corte spagnola grazie all’intercessione di monsignor de Granvelle e all’emergere di un degno sostituto, il figlio Pompeo Leoni (cfr. cap. I.5). I nuovi committenti dell’aretino furono personalità già legate alla corte cesarea e ai modelli ritrattistici proposti agli Asburgo, come il generale Giovambattista Castaldo259 e il terzo Duca d’Alba260, che richiesero al nostro dei busti. Una statua ritratto di Ferrante Gonzaga (1560-94) fu invece fusa per il figlio Cesare Gonzaga tra il 1564 e il 1565. Si assiste insomma, per le sculture a grandezza naturale, ad un fenomeno emulativo simile a quello che si verificò per le medaglie: le tipologie di ritratto allegorico fissate dai ritratti imperiali vennero emulate dagli ufficiali asburgici italiani, che per motivi di prestigio e di vicinanza fecero cadere la propria preferenza sull’artista cesareo.

L’attività di Leoni come medaglista andò così riducendosi a vantaggio di quella di scultore monumentale: dopo il 1556 a Milano egli ritrasse su tondelli metallici solo i governatori

255

In Plon 1887, p. 366, n. 31 (lettera di Leoni a Granvelle databile al 1551). Vorrei richiamare in particolare l’attenzione sul fatto che l’espressione “li ho fatto piover piombo” non è necessariamente un indizio dell’autografia leoniana: essa potrebbe riferirsi semplicemente ai rapporti carnali intercorsi tra lo scultore e Danae, o al fatto che, se l’oro si addice a Giove, il piombo è adatto a descrivere una condizione sociale nettamente inferiore.

256 Così viene definito da Leone in una raccomandazione rivolta in favore di Battista a monsignor de

Granvelle: la lettera, datata 9 luglio 1551, è pubblicata in Plon 1887, p. 366, n. 31.

257 Patrizi 1905, p. 76.

258 La lettera è pubblicata in Helmstutler di Dio 2006, app. I, 1 della versione web

(http://jhc.oxfordjournals.org).

259 Sulla committenza del Castaldo (per il quale Leoni avrebbe scolpito un busto oggi in Santa Maria al Monte

a Nocera dei Pagani) cfr. Zezza 1999, pp. 29-41; per la medaglia leoniana del Castaldo, cfr. Müller 1921-22, p. 41, n. 1; Bernhart 1925-26, p. 73, e Toderi e Vannel 2000, II, p. 53, n. 69, e infra, cap. II.4. L’unico esemplare noto alla bibliografia (SMM), qui riprodotto per la prima volta, conferma l’attribuzione formulata dal Bernhart: esso trova infatti confronti dirimenti nella medaglia leoniana di Ferdinando d’Asburgo e in quella di Andrea Doria.

260

Per l’identificazione dei tre ritratti cfr. Middeldorf 1975 (1), pp. 84-91. Il primo marzo 1558 il Duca d’Alba fece pagare Leoni per tre busti bronzei raffiguranti Carlo V, Filippo II e lo stesso Duca (Windsor Castle, Royal Collection), commissionati verosimilmente nel 1555-56 (APLM, caja 222, c. 7r: cfr. Fernando Bouza Álvarez, in Checa Cremades 1998, p. 414, n. 104, e Cupperi 2008, pp. 35-36.

Ferrante Gonzaga (1556)261, Consalvo de Córdoba (1560 circa)262 e forse Ferdinando Francesco d’Avalos263, a lui legati da rapporti personali.

In questi casi la medaglia veniva spesso replicata in esemplari completamente autografi e distribuita dallo stesso artista, che attraverso di essa si faceva latore di messaggi diplomatici collegati alle contingenze ricordate dal rovescio. Il carteggio con monsignor de Granvelle ci informa ad esempio che la medaglia di Ferrante (che lo raffigurava nelle vesti di Ercole che sottomette i Giganti, l’Invidia ed il Vizio) fu portata dallo scultore a Bruxelles e fatta circolare in anteprima alla tavola del ministro per suscitare commenti sulla recente destituzione del Gonzaga dalla massima carica milanese e per valutare gli appoggi politici in suo favore in vista di una rivalsa264. Il ritratto del Duca di Sessa fu invece spedito da Milano assieme a una lettera dell’aretino: l’artista riferiva al ministro Granvelle le dichiarazioni di fedeltà del nuovo Governatore e le sue adulatorie richieste di medaglie del prelato (che evidentemente le distribuiva a sua volta entro un circuito esclusivo di beneficiari)265.

Nel 1560, a cavallo di un viaggio a Roma, Leoni fuse quelli che possiamo considerare i suoi ultimi microritratti, la medaglia di papa Pio IV, piuttosto rara266, e quella di Michelangelo267, replicatissima e investita di un valore autopromozionale che emerge anche dalla enorme ‘firma’ epigrafica apposta in piena figura sulla medaglia dello scultore fiorentino (realizzata come omaggio personale all’interno di un rapporto di amicizia). Il settimo decennio vide in effetti numerose iniziative volte a sottolineare il nuovo rango signorile di Leoni ed i suoi contatti altolocati: la riqualificazione della sua residenza

261 Bibliografia: Armand 1883-87, I, p. 164, n. 12; Casati 1884, p. 51; Plon 1887, pp. 127 e 267; Habich 1924,

tav. XCII, n. 5; Mateu y Llopis 1977, fig. 28; Toderi e Vannel 2000, I, p. 57, n. 85; Pérez de Tudela 2000, p. 251; Cupperi 2002 (1), pp. 85-86 e 106. Esemplari principali: Álvarez-Ossorio 1950, p. 168, n. 161; Valerio 1977, p. 142, n. 104; Cano Cuesta 1994, p. 185, n. 40; Rossi 1995, p. 441, n. V.89; Johnson e Martini 1995, p. 121, n. 2251-55; Börner 1997, p. 173, n. 747; Attwood 2003, I, p. 108, n. 50.

262 Bibliografia: Armand 1883-87, III, p. 67, n. E; Plon 1887, p. 269 (attribuisce a Leoni); Seaver 1997, p. 12;

Toderi e Vannel 2000, I, p. 58, n. 89. Esemplari principali: Valerio 1977, p. 143, n. 106 (ibrido); Attwood 2003, I, p. 110, n. 58.

263

La questione della paternità di questa medaglia, assai vicina allo stile di Pompeo Leoni, verrà trattata nel cap. I.5.

264 Cfr. Cupperi 2002 (1), pp. 88-86. 265

Plon 1887, p. 381, 382, nn. 64-65 (lettere al Granvelle dell’8 luglio 1558 e del 6 gennaio 1559).

266 Iscr. r/: “PIVS · IIII · PON · OPT · MAX · D ·ANNO · I · PONT · MDLX”; v/: “DESIDERIO

DESIDERAMVS”. Bibliografia: Bonanni 1699, I, p. 289, n. XXXII (“rarissima numisma ex gaza serenissimi ducis Parmae”: l’antiquario riconduce il tipo all’elezione papale sulla base dell’edificio sullo sfondo, che identifica con Castel Sant’Angelo illuminato da fuochi festivi); Venuti 1744, p. 110, n. II (i pulcini fuggono dall’incendio di un edificio anonimo sullo sfondo); Plon 1887, p. 268 (attribuisce a Leoni); Armand 1883-87, III, p. 70, n. L; Toderi e Vannel 2000, I, p. 57, n. 87. Esemplari principali: Johnson e Martini 1995, p. 126, n. 2280. Il motto del verso è tratto da Psalm., 50, 15, 1, mentre il motivo della chioccia, come mi segnala Marco Collareta, è tratto dal lamento di Cristo su Gerusalemme (Mt. 23, 37): “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto!”.

267 La dottoressa Philine Helas mi segnala l’esistenza di un disegno di Michelangelo (Oxford, Ashmolean

Museum, inv. 1846.50) nel quale è già attestata (seppur con posa ed abiti differenti) l’invenzione del vecchio con cane rappresentata nella medaglia. La circostanza accredita l’ipotesi (formulata da Joannides 2007, p. 111, n. 14) che il rovescio leoniano fosse basato su un perduto disegno michelangiolesco che rielaborava il motivo attestato dal carboncino oxoniense. Ciò spiegherebbe anche l’anomala muscolatura della figura rappresentata sul verso della medaglia, impropria sia rispetto all’età dell’effigiato, sia rispetto all’iconografia prescelta, che è quella del pellegrino (come chiarisce Helas 2007). Sul significato del rovescio, che “suona come un programma missionario nel nome dell’ormai assodata «divinità» del Buonarroti”, cfr. Collareta 1998, p. 68. Per gli esemplari principali cfr. supra.

milanese come palazzo gentilizio (1562-66)268, l’acquisto di opere d’arte e l’allestimento di una raccolta di calchi di provenienza romana e fiorentina esibivano in quegli anni il legame privilegiato tra l’artista toscano e i possessori degli originali, gli stessi Pio IV e Michelangelo. Analogo significato ha il fatto che a Roma Leoni si adoperasse come agente per i suoi mecenati: egli si offrì ad esempio come mediatore nel caso che la commissione per il sepolcro di Carlo V fosse caduta su Michelangelo, il quale avrebbe fornito un disegno dell’architettura e ne avrebbe lasciato l’esecuzione ai Leoni269.

L’elezione di un pontefice milanese, il summenzionato Pio IV, sembrò poi forzare per un lustro la reciproca diffidenza tra Leoni e le istituzioni ecclesiastiche milanesi, radicata sia nelle origini laiche e forestiere dei sostenitori dello scultore, sia nel carattere più conservatore di molte fabbriche chiesastiche. Nel 1560 il Pontefice convocò infatti a Roma lo scultore cesareo e lo coinvolse con Michelangelo nell’invenzione di un monumento funebre ai propri fratelli, Gabriele e Giangiacomo de’ Medici di Marignano (1560-63, Milano, Duomo): si trattava significativamente di due generali, come gli altri committenti leoniani di parte asburgica. La coerenza di una scelta come quella di Leoni, che proprio in quanto outsider aveva garantito prestigio internazionale ai governatori nei decenni precedenti, si può ancora misurare da quanto sopravvive del sepolcro, che nella materia e nelle partizioni risulta dimostrativamente centroitaliano270.

Con la realizzazione di due perduti busti-reliquario per il giuspatronato gonzaghesco di Santa Barbara a Mantova (1568-69), e con il coinvolgimento nel retablo l’altare maggiore di San Lorenzo El Real (El Escorial), affidato dal 1580 a Pompeo Leoni e a Iacopo da Trezzo, la longeva carriera artistica di Leoni padre volse al termine: lo scultore sarebbe morto a Milano il 22 luglio 1590, lasciando eredi dell’arte il figlio Pompeo e il nipote Michelangelo, e trasmettendo la bottega al genero Giovambattista Suardi271.

268 Sugli interventi condotti da Leoni nel suo palazzo milanese, la ‘Casa degli Omenoni’, cfr. Vasari 1966-87

(1568), VI, p. 203, e V, p. 529; Plon 1887, pp. 186-191; Motta 1908, pp. 75-81; Conti 1991, pp. 338-345; Conti 1995 (1), pp. 39-40; Cupperi 2004 (2), pp. 166-169.

269 Racconta le diplomazie di Leoni in favore di Michelangelo una lettera di Antoine Perrenot a Gonzalo Pérez

del 28 luglio 1560, dalla quale risulta anche che la proposta leoniana fu sottoposta al “fraile del Plomo”, cioè a Guglielmo della Porta: cfr. Plon 1887, pp. 155-156 e p. 383, n. 70.

270

Cfr. Spiriti 1995, pp. 11-13 (con bibliografia) e Cupperi 2002 (1), p. 84.

271 Sappiamo poco della famiglia di Leoni: entro il 1540 egli sposò Diamante Martini (†1591), che lo avrebbe

seguito a Milano e gli avrebbe dato due figli, Pompeo e Cinzia; Quest’ultima sarebbe andata in moglie allo scultore Giovambattista Suardi, che successe ai Leoni nella carica di incisore della Zecca in una data imprecisata degli ultimi lustri del secolo (cfr. Lomazzo 1973-74 (1584), p. 370; Forrer 1902-30, V, p. 713; Paolo Arrigoni, Suardi, Giambattista, in Thieme e Becker 1907-50, XXXI-XXXII, p. 265). Della restante attività artistica del Suardi si conosce poco: nel 1581 egli risulta retribuito dal Monastero milanese di San Maurizio per il tabernacolo della chiesa benedettina di Legnano (Malaguzzi Valeri 1908, p. 337) e nel 1585 lavora ad una “caroza intagliata” per il duca Carlo Emanuele I (Motta 1908, pp. 81-82). Non è infine da escludersi che Giovambattista Suardi sia identificabile con il monogrammista “BS” autore di una medaglia di Prospero Visconti datata “1582” (Toderi e Vannel 2000, I, p. 87, n. 179).

Outline

Documenti correlati