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I cammei di Filippo II ed alcune gemme medicee

Cap I.2 Iacopo da Trezzo

VI. Excursus sulla produzione glittica di Iacopo

2. I cammei di Filippo II ed alcune gemme medicee

Il periodo spagnolo di Iacopo da Trezzo fu caratterizzato da una cospicua produzione glittica, basata non di rado sulla traduzione di modelli approvati già usati per medaglie, sia nel recto che nel verso. È questo il caso del cammeo viennese con Giovanna d’Austria (Kunsthistorisches Museum), del topazio parigino con iscrizione “· PHI(lippus) · REX · HISP · // · CARO(lus) · PHIL(ippi) · FILI(us) · 1566 ·”381 e del cammeo, pure al Cabinet des Médailles, raffigurante la Fontana della Scienza − invenzione riproposta in formato maggiore anche sul rovescio della medaglia di Giannello Torriani382.

Un calcedonio a strati rossi, bianchi e blu con Il carro di Aurora (Wien, Kunsthistorisches Museum), già attribuito al Nizolla da Joseph Arneth e da Ernst Babelon, è invece ascritto ora più convincentemente ad Alessandro Masnago, che avrebbe adattato un rovescio di Iacopo qualche lustro dopo la sua prima circolazione383. Rimane infine discussa la paternità di una Lucrezia su agata rossastra e bianca (Wien, Kunsthistorisches Museum) che Paola Venturelli è recentemente tornata ad attribuire al Nizolla, ma con datazione tarda (1570): il parere contrario di Ernst Kris è stato invece rilanciato con nuovi e convincenti argomenti dal Distelberger384.

Tocchiamo in effetti un campo di studi estremamente sdrucciolevole, nel quale si rende necessario distinguere la dipendenza di alcune opere dalle invenzioni del Nizolla e l’effettiva, completa responsabilità esecutiva dell’artista. Soprattutto attorno ai ritratti di Filippo II, la mancata messa a fuoco dello stile del Nizolla ha infoltito il suo catalogo di attribuzioni indiscriminate, come nel caso di un’onice a due strati già scorporata da Ernst Kris (Londra, Victoria and Albert Museum)385, ma anche di un piccolo cammeo con lo

381 Chabouillet 1858, n. 2489; Babelon 1922, p. 241 (Iacopo da Trezzo); Kris 1929, p. 172, tav 79, fig. 322. 382 Esempi della fortuna seicentesca della medaglia da cui deriva la figurazione sono invece i cammei schedati

in Babelon 1922, p. 291, nn. 613 e 614, tav. LVI (Parigi, Bibliothèque Nationale), pure intagliati su calcidoni. Kris 1925-26, pp. 171-173, segnala anche un’ulteriore replica non autografa al Landesmuseum di Gotha. 383 Cfr. Arneth 1858, p. 108, tav. II, fig. 40 e tav. XIV (montato su oro smaltato, h. x l.: 54x57mm); Babelon 1922, pp. 235-236 e tav. VII, fig. 3 (ritiene il pezzo una commissione di Ippolita Gonzaga anteriore alla medaglia con lo stesso soggetto); Eichler e Kris 1927, p. 117, n. 202; Kris 1929, tav. 79, fig. 325; Hackenbroch 1979, fig. 555; Rudolf Distelberger, in Fučiková 1997, p. 483, n. II.52.

384 Sul cammeo cfr. Eichler e Kris 1927, p. 118, n. 204; Hackenbroch 1979, fig. 556; Venturelli 1996, p. 53, e

Rudolf Distelberger, in Fučiková 1997, p. 483, n. II.54: ai fini dell’attribuzione a Iacopo convincono poco i panneggi circolari avvolti attorno al busto.

385

Davenport 1900, tav. 19, fig. 4; Kris 1929, tav. 79, fig. 327; Babelon 1922, pp. 241-242, tav. VII, fig. 4. Un’indicazione sul possessore del gioiello viene fornita dal ritratto dell’infanta Isabella Clara Eugenia con la nana Magdalena Ruiz (cfr. supra), dipinto tra gli anni settanta e ottanta del secolo XVI e attribuito con incertezze al tardo Alonso Sánchez Coello e ai suoi collaboratori. Tra le dita inanellate della Principessa figura infatti il nostro cammeo, riconoscibile dal fondo scuro, dal taglio del busto, dalla forma del naso e degli occhi e dalla riproduzione esatta dell’armatura e del collare. L’intaglio è montato su una cornice in oro e avorio (o smalto bianco), e un anello consente di utilizzarlo come pendente (Checa Cremades 1992, p. 443 offre un utile ingrandimento, riprodotto a colori anche nella sovraccoperta della riedizione del 1993). La tela di Coello induce a pensare che l’opera sia stata realizzata in Spagna nell’ultimo quarto del XVI secolo e nella cerchia degli artisti di corte. Una replica metallica ovale e unilaterale che presenta esattamente la medesima figura del cammeo, ma in controparte (Bernhart 1925-26, p. 86: pb, h. x l., 47,5 x 59mm), potrebbe essere un primo stato del riadattamento che ha condotto la medaglia trezziana del 1555 al nuovo formato e alla traduzione in pietra dura, che rispetto alla versione metallica ha mantenuto un orientamento rovesciato. La sigla “IAC(obi) . TR(ici) . OP(us)” apposta sull’ovale metallico, anomala sia per il dettato (la trascrizione è di Vannel e Toderi 2000, I, p. 63, n. 103), sia per la realizzazione ad incisione, si spiegherebbe allora non come indicazione autografica, ma come segnale della derivazione da un prototipo.

stesso soggetto accostabile a nostro giudizio alla maniera di Giovampaolo Poggini (Londra, British Museum)386.

Un altro cammeo estraneo sicuramente all’attività del Nizolla è una sardonice con il volto del Re di Spagna ascritta a Iacopo per la prima volta da Cyril King e già segnalata in una collezione privata inglese: l’effigie deriva dalla medaglia con Carlo V al recto e Filippo II al rovescio realizzata da Jacques Jonghelinck nel 1557, e non offre quindi alcun argomento a sostegno dell’autografia trezziana387.

Incerta appare anche l’autografia di un cammeo a tre strati raffigurante Filippo II loricato (Windsor Castle, Royal Collection) e riconducibile al tipo fissato dalla medaglia di Iacopo da Trezzo del 1555 e diversamente tradotto nei ritratti di Giovampaolo Poggini388. Il taglio a mezzo busto (il cui andamento curvilineo raccorda lo spallaccio figurato con un triangolo di corazza e con il drappeggio anteriore del mantello allineato al bordo) non è assimilabile a quello delle medaglie trezziane di Johann Khevenhüller e Ascanio Padula: bisogna però ricordare (giacché non è stato mai notato) che nello stilare l’inventario in morte di Filippo II (1598) Iacopo si attribuisce anche un cammeo del sovrano che ha un taglio e una dominante cromatica molto simili a quelli dell’onice inglese (“del pecho arriba, el rostro de camapheo blanco y los demás pardo”)389.

Discussa è anche l’attribuzione di un ritratto fiorentino di Filippo II ascritto al lombardo ancora da Kris e dalla Aschengreen Piacenti, ma non dalla McCrory390, che lo identifica invece con un “camée d’agate orientale au portrait de Philippe II d’Espagne et de son fils”, venduto il 7 ottobre 1562 da Gaspare Miseroni a Cosimo I391. La paternità del Miseroni, per

386 Dalton 1915, p. 52, n. 382 (già Carlisle Collection, onice montata in oro nel XVIII secolo, d. 20mm ca.),

cataloga il cammeo come anonimo. Pur vicino per data e tipo alla medaglia matrimoniale di Iacopo da Trezzo (1555), il ritratto di Filippo presenta capelli lavorati a file di ciocche, fronte ampia, naso leggermente all’insù e un’espressione penetrante prodotta dalla palpebra inferiore alzata, dall’occhio sporgente, dal ciglio più corto e dall’orbita più infossata, tutte caratteristiche presenti nell’opera medaglistica di Poggini per Filippo II (Toderi e Vannel 2000, II, p. 484, n. 1426).

387

King 1872, I, p. 426; Christie, Manson and Woods 26.9.1899, p. 101, n. 586; e Babelon 1922, pp. 241-242 (già Bessborough Collection, quindi Oppenheimer Collection; cammeo in sardonice bianco su base di sarda; al v/: Aquila con serpente e motto “NIHIL EST QVOD NON TOLLERET QVI PERFECTE DILIGIT”). Per la medaglia di Jonghelinck cfr. Smolderen 1996, pp. 222-223, nn. 10 e 11. In simili casi resta piuttosto difficile stabilire se la vasta produzione di Iacopo comportasse anche la traduzione di modelli non suoi. Il ritratto potrebbe essere stato intagliato in quegli ambienti brabantini e spagnoli nei quali era disponibile la medaglia del giovane protetto del Vescovo di Arras, e Iacopo da Trezzo resta senz’altro un candidato possibile.

388

King 1872, I, p. 426; Fortnum 1876, p. 22, n. 266, tav. IV; Babelon 1922, pp. 241-242; Kris 1929, tav. 79, fig. 324 (cammeo su onice orientale a tre strati chiaro, bianco opaco e marrone, ovale, concordemente attribuito dai tre studiosi a Trezzo).

389 Sánchez Cantón 1956-59, II, pp. 173-178, n. 3546. 390

Babelon 1922, tav. VII, fig. 5; Kris 1929, tav. 79, fig. 321; Piacenti Aschengreen 1968, p. 182, n. 984; Valerio 1977, p. 147, n. 113; McCrory 1979, p. 513; M. A. McCrory, in Barocchi et al. 1980, p. 153, n. 283 (calcidonio, h. x l.: 35 x 25mm, al rovescio: Busto dell’infante Carlo d’Asburgo); Almudena Pérez de Tudela, in Checa Cremades 1998, p. 548, n. 191; Gennaioli 2007, p. 259, n. 145. Il documento è pubblicato in Fock 1976, p. 147.

391

Cfr. Toderi e Vannel 2000, II, pp. 483-484, nn. 1424-1425. Diverse altre opere non presentano invece nessuna relazione tangibile con l’attività di Iacopo da Trezzo, nonostante esse gli siano state via via attribuite. Ad esempio, un cammeo parigino di soggetto incerto (CMP, onice blu e bianca, h. x l.: 39 x 29mm) pare della stessa mano del ritratto laureato, loricato all’antica e paludato, ritenuto dubitativamente di Alfonso I o Alfonso II d’Este e riprodotto in Dalton 1915, p. 52, n. 383 (BML, agata, h: 32mm ca., triplice bordo perlinato). Rispetto agli intagli di Iacopo questa seconda opera è di lavorazione infinitamente più cruda, ruvida e sommaria: Sulle sue vicende attributive cfr. Babelon 1897, p. 365, n. 979, tav. LXX (anonimo); Babelon 1922, tav. VII, fig. 7 (Iacopo da Trezzo); Hill 1923 (2), p. 166 (esprime dubbi sull’identificazione del soggetto); Kris 1929, tav. 78, fig. 316 (ipoteticamente attr. a de’ Rossi). L’effigie loricata, che va identificata con quella di Rodolfo II, riconduce all’ambito degli incisori della corte viennese e può essere accostata per taglio e stile alle medaglie di Antonio Abbondio (cfr. per es. la medaglia di Rodolfo II in Toderi e Vannel

il quale non sono documentate opere di ‘minuteria’, rimane meramente ipotetica e indicativa, e a complicare la questione si aggiunge anche la possibilità che Miseroni possa essere stato allievo di Iacopo (come sostenuto da Paolo Morigia). Quel che è certo è che l’effigie filippina in questione deriva − con qualche riadattamento nel nodo del mantello e nello spallaccio − da una serie di medaglie di Giovampaolo Poggini; l’immagine di Carlos è tratta invece dalla medaglia di Pompeo Leoni, che risale al 1557392. A giudizio di chi scrive i panneggi sottilissimi e rigidi del mantello trovano riscontro in opere trezziane firmate come la medaglia di Ippolita Gonzaga del 1551-52, e la tradizionale attribuzione a Iacopo, morfologicamente ineccepibile, non costituisce un ostacolo all’ipotesi che Miseroni (la cui expertise doveva essere ritenuta preziosa per acquisti così costosi) commerciasse in cammei altrui: come abbiamo visto Iacopo stesso comprava gemme, e di lì a poco avrebbe tentato personalmente di vendere ai Medici degli intagli da lui realizzati.

Possiamo però concludere questa rassegna con due note positive. È questo il caso di ritratto di Filippo II maturo su calcedonio zaffirino conservato nelle collezioni fiorentine e correttamente ascritto al lombardo da Jean Babelon393, come mostra l’eloquente confronto fotografico con l’altro Filippo II in calcedonio al Museo degli Argenti proposto in un recente intervento della Casarosa Guadagni, che pure non ha tratto dall’accostamento le debite conseguenze394.

In secondo luogo, a quanto apprendiamo da lettere dello stesso Nizolla, il 10 gennaio 1572 Iacopo inviò a Firenze uno zaffiro montato in un anello e intagliato con le armi di Francesco I de’ Medici e della moglie Giovanna d’Austria395. Il sigillo, identificabile con uno zaffiro bianco presente ancora nella collezione di Cosimo III, sembra perduto dal XIX

2000, I, p. 170, n. 470).

392 Per la medaglia cfr. Toderi e Vannel 2000, I, p. 69, n. 123, e infra, cap. II.5. 393

Babelon 1922, p. 242, tav. VII, fig. 6 (Iacopo da Trezzo); Piacenti Aschengreen 1968, p. 182, n. 982, calcidonio ‘zaffirino’, h. x l.: 28 x 22mm; Valerio 1977, p. 151, n. 123 (opera anonima, probabilmente milanese, del 1560-65); Casarosa Guadagni 1997, p. 88 (anonimo); Almudena Pérez de Tudela in Checa Cremades 1998, p. 665, n. 284 (come anonimo, ma proponendo in maniera assai poco convincente il nome di Annibale Fontana); Gennaioli 2007, p. 267, n. 257 (senza attribuzione). Il soggetto va identificato tradizionalmente con Filippo II, nonostante i dubbi espressi in proposito da Hill 1923 (2), p. 166.

394 Casarosa Guadagni 1997, p. 88, fig. s.n. La studiosa rifiuta l’attribuzione a Iacopo del calcidonio zaffirino,

mentre dà per buona l’attribuzione con riserve a Gaspare Miseroni formulata per il secondo cammeo da McCrory 1979, p. 513.

395 Un’ultima fase delle relazioni di Iacopo con i Granduchi è infine testimoniata da alcune lettere a Francesco

de’ Medici, nelle quali l’artista segnala la scoperta di una varietà spagnola di diaspro che lo lascia sperare in qualche commessa da Firenze. In particolare, il 26 dicembre 1575 a Nativitate, l’artista si ripropone a sua Altezza, appena insediata e “sempre amica di gioye […], perché io tengo aparechio bono de oficiali e lasciarò ogni cosa, [… e] perché in ogni modo volio farle qualche opera de mia mane prima che mori”: la lettera accenna in effetti all’invio di “diverse mostre” di “bellissimi diaspri” (Babelon 1922, pp. 273-276, app. 4 e 6). Credo che l’editore delle lettere sia vittima di una svista nel ritenerle indirizzate a Cosimo I: nella prima il destinatario è infatti chiamato “principe”, mentre la seconda fu scritta dopo la morte di Cosimo, sopraggiunta il 21 aprile dello stesso 1574. Nel primo caso il dono coinciderebbe con le nozze tra Francesco I e Giovanna d’Austria; nella seconda lettera è invece probabile che l’artista ripetesse la propria offerta perché l’interlocutore nel frattempo era divenuto Granduca. A questa fase dei rapporti tra Iacopo e i Medici potrebbe risalire anche uno smeraldo (20 x 20mm) con ritratto di Filippo II attribuito a Iacopo da Trezzo, a mio avviso correttamente, da Babelon 1922, p. 242 (ma cfr. diversamente Piacenti Aschengreen 1968, p. 182, n. 988; e Gennaioli 2007, p. 268, n. 259, che lo schedano come opera anonima).

Sulla committenza e l’acquisto di gemme da parte di Cosimo I e Francesco I cfr. Collareta 1980, pp. 215-236 (con schede dello stesso e di Cornelia W. Fock); Barocchi e Gaeta Bertelà 1993, in part. p. X, 206 e ad indicem, voce Cammeo; e Casarosa Guadagni 1997, pp. 73-93. Forse Iacopo aveva avvicinato il futuro Granduca già durante il viaggio spagnolo di Francesco I (1562-65), del quale sembra assecondare gli interessi naturalistici e tecnici (per la biografia del principe cfr. Berti 2002 (1967), in part. 68 e ss.).

secolo, ma rimane documentato dal disegno di un calco donato da Iacopo Niccolò Guiducci all’Accademia Colombaria di Firenze nel 1746396.

396 Aloisi 1931, pp. 349-358, pubblica un estratto degli Annali manoscritti dell’Accademia (vol. XII, 120, ad

a. 1746-47) che descrive il calco come “Arme della Casa de’ Medici e della Casa d’Austria” e lo riconduce erroneamente ad un diamante, inducendo in errore anche il suo editore. Gli inventari delle collezioni medicee consultati da Aloisi registrano però il pezzo come uno zaffiro fino al 1837, e la somiglianza tra le due pietre emerge anche dalla lettera di Iacopo da Trezzo: “uno zafir intaliato l’arme de vostra Eccellenza e de la Prencesa, […] anchor che qui in corte da questi gioieleri fosse tenuto per bonissimo diamante”. Dal 1878 la gemma risulta mancante da Palazzo Pitti, ed è probabile che sia stata sottratta durante un furto risalente al 1860. Non concordo invece con l’attribuzione a Iacopo dell’onice con Testa maschile del Museo degli Argenti di Firenze, recentemente formulata da Gennaioli 2007, p. 260, n. 246, ma basata su di un’idea di Mariarita Casarosa Guadagni.

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