Cap I.5 Milanesi fuori Milano
II. Pompeo Leon
4. Note sul periodo spagnolo di Pompeo (1556-1608)
Il trasferimento a Bruxelles (poi a Valladolid) e le nuove incombenze di statuario di corte, nelle quali subentrò al padre (1556)621, non paiono aver arrestato del tutto l’attività medaglistica di Pompeo. A differenza di quanto sappiamo di Leone, il figlio mantenne una cospicua attività orafa anche all’apice della propria carriera, come dimostra il perduto crocifisso in oro smaltato commissionatogli dal principe Carlos e valutato nel 1569622. Anche l’unica opera glittica firmata da Pompeo Leoni, un’agata con una Concordia placcata in argento (Wien, Kunsthistorisches Museum)623, risale probabilmente a questo periodo, ma sappiamo anche di un suo specchio in cristallo di rocca per la principessa
618 Sulla tomba di Giovanna di Portogallo rimangono fondamentali Plon 1887, pp. 334-335, e Babelon 1913
(1), pp. 307-316; Proske 1956, p. 12.
619 Sulle fasi della complessa gestazione del gruppo statuario cfr. Cupperi 2002 (1), pp. 94-102. 620 Plon 1887, p. 365, n. 31.
621
Nel 1556 conduce a Bruxelles i ritratti asburgici fusi in bronzo dal padre a Milano e non ancora compiuti (le figure intere di Carlo V che calca il Furore, Isabella, Filippo II, Maria d’Ungheria, un busto dell’Imperatore e un bassorilievo perduto con il profilo dell’Imperatrice), ma anche un busto marmoreo finito di Carlo V (conservato come i precedenti al Museo del Prado di Madrid: cfr. supra, cap. I.1); con essi è la prima scultura autonoma di Pompeo, la statua marmorea di Filippo II già ricordata, che verrà terminata nel 1568 (Aranjuez, Palacio Real). Sulla scia di queste buone prove le statue di Leone vennero affidate a Pompeo per essere portate a compimento in Spagna. Dal 1557 Pompeo diviene dunque scultore reale e risulta attivo prima alla corte di Valladolid, presso Maria d’Ungheria, e poi a Madrid, presso Filippo II.
622 I relativi documenti sono pubblicati in Plon 1887, p. 393, nn. 84-86, e Martín González 1991, p. 69. Cfr.
anche Coppel Aréizaga 2001, p. 80.
Giovanna (1563), di un perduto zaffiro inciso (1583) e di un ritratto di Filippo II che egli donò a Ferdinando I de’ Medici (1588)624: a fronte dell’esiguità della produzione microplastica di Pompeo appare evidente che le opere con cui egli nel 1557, secondo le parole del padre, andava “servendo quei signori e signore con accuranza” dovevano essere soprattutto intagli e oggetti di piccolo formato625; persino a Milano, da cui rimase assente per poco meno di tre decenni, egli mantenne l’iscrizione all’università degli orefici fino al 1585. In questa prospettiva considererei anche l’ipotesi che altre opere glittiche, per esempio il cammeo col Giudizio di Paride di Vienna (Kunsthistorisches Museum), siano da ascrivere al nostro626.
Mentre numerose commissioni per statue funebri e retablos impegnavano la vasta bottega627, la produzione medaglistica dell’italiano, limitata a commesse della famiglia reale e del suo più stretto entourage, si mantenne rarefatta e innovativa sia nella tipologia dei busti, sia nella qualità disegnativa, sbrigliata su tondelli di grande formato: ne sono un esempio le due medaglie sopravvissute tra le quattro − due con ritratto di don Carlos (una delle quali è perduta), due con quello del suo istitutore Juan Honorato (una delle quali, non rintracciata, lo ritraeva come vescovo) commissionate a Pompeo dall’infante di Spagna628. Alla seconda metà degli anni cinquanta è riconducibile una medaglia di Carlo V già convincentemente attribuita a Pompeo da Marina Cano629. È forse possibile identificare con questa medaglia l’ultima di quelle contenute in una teca lignea portatile che Carlo V tenne con sé nel monastero di Yuste fino alla morte: in tal caso l’opera in questione dovrebbe essere datata al 1556 o poco prima, dato che essa compare già nell’inventario dei beni imbarcati per la Spagna insieme all’Imperatore630. Artefice e committente concepirono una medaglia adatta ad affiancare il ritratto del principe Filippo realizzato nel 1549 da Leone Leoni e tale da non sfigurare accanto all’artificioso busto cesareo elaborato nella medaglia del 1550, ai quali la nuova immagine avrebbe dovuto essere accostata nella teca.
Una medaglia di Giovanna d’Asburgo, diversa da quella che abbiamo nuovamente attribuito a Iacopo da Trezzo ed eseguita quando Giovanna era già vedova, cioè dopo il 1554, è già stata accostata a Pompeo Leoni da Ernst Kris631; all’entourage artistico dei
624 Sulle prime due opere cfr. Plon 1887, pp. 317-321; Hayward 1976, pp. 197-198; Venturelli 1996, p. 57.
Una lettera di ringraziamento per la gemma intagliata da Pompeo fu inviata da Ferdinando de’ Medici il 19 gennaio 1588: cfr. Barocchi e Gaeta Bertelà 2002-, I, p. 320, n. 23. Il ritratto, portato da un figlio dello scultore, potrebbe essere un cammeo, ma non è identificato.
625 Lettera di Leone al Perrenot del 29 giugno 1557, in Plon 1887, p. 80, n. 62; cfr. anche Martín González
1991, pp. 39-40.
626 L’intaglio (Eichler e Kris 1927, tav. 24, n. 180), che presenta panneggi assai vicini a quelli delle medaglie
di Pompeo, è riprodotto come opera anonima da Venturelli 1996, p. 90, fig. 1.
627 Recenti sintesi sulle numerose opere devozionali e funerarie che videro il coinvolgimento di Pompeo in
spagna sono raccolte da Estella Marcos 1993, pp. 133-149; Estella Marcos 1994 (1), pp. 29-62, ed Estella Marcos 1994 (2), pp. 105-139; sul ruolo di Pompeo nella realizzazione del retablo escurialense cfr. soprattutto Cano de Gardoqui y García 1994, pp. 358-363.
628 Martín González 1991, p. 71. Sulle medaglie di Carlos e Juan Honorato sopravvissute cfr. supra.
629 Bibliografia: Van Mieris 1732-35, III, p. 299 (ibrido con rovescio araldico); Armand 1883-87, III, p. 238,
n. G (anonimo); Cano Cuesta 1994, p. 196, n. 49 (attribuisce la medaglia a Pompeo Leoni, ma non distingue il tipo originale da quelli ibridi ivi catalogati alle pp. 194-195, nn. 47 e 48); Toderi e Vannel 2000, I, p. 68, n. 117 (Pompeo Leoni). Esemplari principali: Armand 1883-87, III, p. 238, n. G (già coll. Rossi); Regling 1911, p. 51, n. 625 (erroneamente identificato con Armand 1883-87, II, p. 180, n. 1); Bernhart 1919, p. 89, n. 218 (Innsbruck, già coll. Enzenberg), dove però l’illustrazione è erroneamente associata a un’altra medaglia (p. 79, n. 176); Álvarez-Ossorio 1950, p. 120, n. 155 (Leone Leoni), p. 118, n. 148, e p. 122, n. 157 (ibridi).
630 Un estratto del primo inventario fu pubblicato da Pinchart 1856, pp. 227-229; per il secondo cfr. Gachard
1858, II, pp. 80-93, n. 90. Cfr. anche infra, cap. II.2. La datazione proposta trova conferma anche nell’età avanzata dell’effigiato e nel soggetto del rovescio, l’impresa “VIRTVTIS PRAEMIVM VIRTVS”.
631 Bibliografia: Herrgott 1752, p. 115, n. 114, tav. XXVII, fig. 114; Kris 1923-25, pp. 163-166. Esemplari
sovrani riconduce anche una medaglia di Alfonso de Guevara già attribuita a Pompeo Leoni da Leonard Forrer, ma trascurata da Vannel e Toderi e data per anonima da Philip Attwood632. Va infine ascritta al nostro anche la medaglia di Francesco de Moncada (1569- 1653), figlio del generale Antonio, principe di Paternò e Duca di Montalto: il giovane siciliano dovrebbe essere stato ritratto durante un soggiorno alla corte di Spagna, che era spesso scelto come forma di debutto e di candidatura ad incarichi militari633.
Come già il padre, la figura del giovane Leoni −che riassumeva in sé le abilità del ceroplasta, dell’orafo, dell’intagliatore e dello scultore monumentale versato nella lavorazione del legno, del marmo e del bronzo −operò una nuova sintesi della tradizione artistica italiana e la propose in Spagna alle autorità politiche asburgiche. Il suo linguaggio finì così per rivestire un ruolo centrale anche per l’arte della corte castigliana, nella quale rinnovò gradualmente tutti i generi e le tecniche. Con Pompeo Leoni la corte di Madrid entrò nel Seicento all’insegna della cultura italiana, e ne mantenne viva una vena asciuttamente aulica che non lasciò traccia alcuna nella plastica lombarda, segnata per tutto l’ultimo quarto del secolo XVI dalla cifra di Annibale Fontana.