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Cap I.5 Milanesi fuori Milano

II. Pompeo Leon

3. Le medaglie italiane di Pompeo

Stilemi come l’accentuazione degli hanchements, l’assottigliamento delle figure e la concentrazione di fitti panneggi attorno a gesti da enfatizzare consentono anche di precisare i termini dell’esperienza visiva italiana di Pompeo. Partito da una formazione che possiamo immaginare vicina alle espressioni più recenti della scuola giuliesca di Mantova611, nel suo viaggio romano il giovane Leoni si concentrò soprattutto sulla produzione di Francesco Salviati, la cui svalutazione critica otto-novecentesca, come è noto, non corrisponde affatto all’importanza riconosciutagli dai suoi contemporanei: il successo che le sofisticate invenzioni del Salviati incontrarono nel mondo delle arti congeneri (testimoniato anche, come vedremo, da una medaglia pontificia di Alessandro Cesati, per la quale il pittore fiorentino disegnò il rovescio con Alessandro Magno che si inginocchia davanti al sommo sacerdote) fu infatti affiancato da una loro precoce fortuna a stampa612. La lezione di virtuosismo impartita dai panneggi serrati di Cecchino e dai suoi drappi librati fu insomma disponibile sotto forma di incisione già dalla metà del secolo, e probabilmente contribuì non poco ad orientare le successive scelte figurative di Pompeo: anche quando lo scultore scelse di riadattare invenzioni altrui (come la Pazienza vasariana per il rovescio di Ercole

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Bibliografia: Armand 1883-87, II, p. 219, n. 28 e III, p. 268, n. k (anonimo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 453, n. 1367 (anonimo). Esemplari principali: Hill 1930, I, p. 221, n. 486 (anonimo italiano del terzo quarto del secolo XVI); Hill e Pollard 1967, p. 94, n. 486; Attwood 2003, I, p. 297, n. 698 (anonimo, “in Emilian style”).

609 Toderi e Vannel 2000, I, p. 53, n. 70.

610 Toderi e Vannel 2000, I, p. 50, n. 57. Sono particolarmente eloquenti le varianti iconografiche del rovescio

rispetto al modello: la medaglia della Bertani mostra un netto allungamento delle tre figure centrali, il cui rimodellamento rispetto al verso leoniano è dimostrato dalla scomparsa del seno della Grazia sinistra, ora occultato dal braccio della compagna. Il putto a sinistra si pone maggiormente di scorcio, ruotando il busto di tre quarti, è virtuosisticamente scoperto ed è abbellito da un ricciolo frontale. L’esergo è ricavato più in basso, e anche il modellato delle Grazie pare essere stato sottoposto a sottili sottolineature: la figura a sinistra sostiene dei fiori sciolti e non un serto, mentre ai piedi degli amorini mancano le ceste di fiori. Si noti peraltro che il soggetto delle Tre Grazie fu impiegato da Pompeo in una medaglia perduta commissionata da don Carlos d’Asburgo (Martín González 1991, p. 72) e basata forse su di una matrice preesistente.

611 Cfr. per esempio le prime stampe di Giorgio Ghisi da Giulio Romano (IB, XXXI (XV, 4), a cura di

Suzanne Boortsch e John Spike, risp. pp. 18 e 21, nn. 11 e 14).

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Possibili punti di contatto tra l’opera di Salviati e la formazione di Pompeo sono costituiti dal frontespizio per la Vita di Maria Vergine di Pietro Aretino, dedicata alla Marchesa del Vasto (1539), ma anche dalla stampa di Nicolas Beatrizet col Sacrificio di Elena (1553) e da quella, anonima, col Massacro dei Niobidi (1541): le si veda risp. in Alessandro Cecchi, Catherine Monbeig-Goguel e Philippe Costamagna in Monbeig- Goguel 1998, p. 326, n. 135; p. 312, n. 129, e p. 208, n. 205 (dove l’incisione è attribuita a Girolamo Faccioli). Sullo straordinario cenacolo di artisti riuniti dalla committenza degli Avalos negli anni milanesi torneremo nel cap. II.4.

II) o di giocare la carta delle deduzioni iconografiche colte (l’Apollo per la medaglia firmata di don Carlos, seppure stilizzato assai liberamente, rielabora un tipo antico), egli privilegiò temi affini alla ricerca formale tosco-romana di Salviati, ivi compresa la squadratura delle teste che abbiamo già avuto modo di osservare613.

Il pittore di punta della Roma degli anni cinquanta dovette peraltro conoscere personalmente la famiglia dei Leoni, presso cui fece tappa a Milano durante il suo viaggio in Francia nel 1557. Già dagli anni quaranta, del resto, Salviati intratteneva rapporti cospicui con l’editoria veneziana e la cerchia dell’Aretino, che lo aveva segnalato a Leoni padre in una celebre lettera del 1539 che abbiamo già ricordato614. Abbiamo inoltre avuto modo di notare che la conoscenza delle prime opere romane di Salviati pare rintracciabile anche nelle medaglie di Leone Leoni maturo.

L’accostamento a Francesco Salviati ci aiuta anche a comprendere come negli anni cinquanta l’opera medaglistica di Pompeo fosse quanto di più sfolgorantemente aggiornato e formalmente romanizzante si potesse concepire nella microplastica padana, e non stupisce che lo stesso padre Leone ne risultasse stimolato: confrontando la medaglia di Ercole II con quella del rivale Ferrante Gonzaga, realizzata e consegnata da Leone nel 1556615, si coglie infatti come lo scultore aretino abbia adottato un taglio del busto inusualmente aggettante, seguendo le suggestioni prodotte dall’opera del figlio anche nelle proporzioni ingigantite della testa, impaginata per la prima volta a cavallo della didascalia.

Alla luce di questo rapporto, forse non univoco, vale la pena di riflettere anche su di un’opera di paternità più incerta come la medaglia raffigurante Francesco Ferdinando d’Avalos (1531-70), terzo marchese di Pescara e secondo governatore milanese di quel casato (1568-71)616. Il ritratto, menzionato in una lettera di Leone Leoni del 15 marzo 1561 al ministro Granvelle, gli è stato finora attribuito senza ulteriori verifiche:

Le medaglie son quattro ch’io mando a vostra Signoria: il Pontefice [Pio IV, 1561], Michelagnolo [Buonarroti, 1561], il Signore Marchese et il Duca di Sessa [Consalvo Hernández de Córdoba, 1561][…] Il Marchese è l’originale, rovescio non s’è fatto, le due d’argento per la faccia sono assai nette. La picola di piombo è di mano d’uno ma[estro] eccellente […]617.

Quand’anche si identifichi il “Marchese” con Francesco Ferdinando, come appare probabile dato che egli era appena divenuto Governatore di Milano, rimangono aperti due ordini di problemi. Per quanto riguarda l’attribuzione del recto, il modellato del volto e

613 Il rovescio con la Pazienza (come ha notato Waldman 1994, pp. 53-63) deriva molto fedelmente da

un’invenzione vasariana, ma l’Apollo, messo in relazione dallo stesso studioso con il Paride giudicante di un celebre sarcofago a Villa Medici (Bober e Rubinstein 1986, pp. 149-150, n. 119), vale solo come riferimento iconografico. L’affinità tra lo stile di Salviati e l’interpretazione di quel nudo antico data da Pompeo può essere colta confrontando la medaglia di don Carlos con il bozzetto michelangiolesco per un Giovane nudo (Firenze, Casa Buonarroti) che dovette colpire sia Cecchino, sia Pompeo: cfr. Michel Hochmann, in Monbeig- Goguel 1998, pp. 102-104, nn. 11-12.

Per la medaglia firmata di don Carlos cfr. Armand 1883-87, I, p. 249, n. 2; Plon 1887, p. 323; Toderi e Vannel 2000, I, p. 69, n. 123. Esemplari principali: Herrgott 1742, p. 173, n. 1, tav. XXXVII, fig. 1 (variante con inscrizione “F . POMP . 1557”); Pollard 1984-85, III, p. 1267, n. 737; Cano Cuesta 1994, p. 198, n. 51; Johnson e Martini 1995, p. 131, n. 2290; Marina Cano Cuesta, in Checa Cremades 1998, p. 556, n. 199; CMP, AV tiroir 1/51, s.n. (ae, es. d’epoca, buono, d. 65mm, sp. 2,2-5mm, 69,49g, 180°).

614 Lettera di Aretino a Leone Leoni dell’11 luglio 1539 (Aretino 1997-2002, II (1542), p. 128, n. 118). 615

Toderi e Vannel 2000, I, p. 57, n. 85. Per due documenti relativi alla commissione e alla consegna della medaglia cfr. Cupperi 2002 (1), pp. 83-124 e p. 105, nn. 1 e 2.

616 Bibliografia: Plon 1887, pp. 269-270 (Leone Leoni); Armand 1883-87, III, p. 66, n. C (variante epigrafica);

Toderi e Vannel 2000, I, p. 58, n. 88 (Leone Leoni). Esemplari principali: Plon 1887, pp. 269-270 (Milano, Biblioteca Ambrosiana); Armand 1883-87, III, p. 67, n. E (KMW); Johnson e Martini 1994, p. 117, n. 2232 (Leone Leoni); Attwood 2003, I, p. 110, n. 59 (Leone Leoni); CMP, AV n. 984 (ae, patina marrone scura, forato e seriore, d. 62mm, sp. 1,2-3,5mm, 0°).

soprattutto delle ciocche presentano alcune tangenze con il ritratto leoniano di Ferrante Gonzaga (1556), cioè con la fase in cui l’opera medaglistica matura del maestro si avvicina a quella del figlio desumendone i busti più lunghi, l’impaginazione della testa oltre il bordo dell’iscrizione e le leggende a 360 gradi. Nondimeno, i caratteri epigrafici e il taglio sinuoso e appuntito della corazza rimangono nuovi al catalogo dell’aretino. In secondo luogo nel rovescio, aggiunto dopo il 1561, esiste un’indubbia affinità tra il panneggio spezzato e mobile del mantello di Minerva quello della statua dell’infanta Giovanna d’Asburgo scolpita da Pompeo Leoni (Madrid, Real Monasterio de las Descalzas Reales, 1571)618; l’opera medaglistica di Leone non presenta esempi simili, anche se la sua statua di Ferrante Gonzaga (Guastalla, Piazza Mazzini), modellata in questi anni619, rivela in lui un’evoluzione formale simile a quella mostrata dal figlio. Si tratta dunque dell’estrema facies stilistica di Leone, sollecitato dalle Fiandre via lettera, o piuttosto intervenne Pompeo dalla Spagna? Se la prima ipotesi rimane la più probabile, la seconda non può essere scartata.

La medaglistica italiana di Pompeo Leoni ci restituisce insomma un artista di primo rango, capace di assimilare con voracità sintesi raffinate dello scenario figurativo tosco-romano e di condizionare in misura notevole il lavoro del padre: già nel 1552 Leone, sensibilizzando il Perrenot al “grande acquisto” che Pompeo aveva fatto nella sua arte, aveva profetizzato che l’allievo lo avrebbe presto “avanzato”620. A maggior ragione, anche una figura duttile e ricettiva come Pastorino Pastorini, attentissima alla produzione di Leone durante tutti gli anni quaranta, guardò poi a Pompeo nel corso degli anni cinquanta. L’allontanamento del giovane artista da Milano non fu dunque una periferizzazione, ma la conseguenza di una ricerca figurativa che ambiva ad orizzonti più ampi di quelli concepibili nello scenario della scultura e della committenza lombarda. Consapevole delle proprie possibilità, Pompeo si sprovincializzò allo scopo di aggiornare quei plurimi riferimenti visivi che avevano fatto la fortuna del genitore: da tali esperienze discende anche il credito di cui avrebbe goduto come scultore, agente artistico e conoscitore di Filippo II.

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